Il problema dell’ascrivibilità dei diritti della personalità agli enti è stato affrontato con metodo formalistico in quanto la soluzione era esclusivamente condizionata dal riconoscimento o dalla negazione della soggettività giuridica che incidevano sull'affermazione o negazione di tali diritti ai soggetti diversi dalla persona fisica. L’indagine è stata condotta secondo una impostazione generalizzante che accoglieva una concezione neutrale e unitaria della soggettività fondata da ultimo su una mistificante interpretazione estensiva dell'art. 2 cost. che si caratterizzava per il seguente sillogismo: se la persona fisica è soggetto che ha tutela, se la persona giuridica è soggetto, ergo la persona giuridica ha diritto alla stessa tutela della persona fisica. Una diversa impostazione metodologica, in una prospettiva relativizzante e assiologia, impone di distinguere la soggettività giuridica e di rifiutare l’equiparazione tra soggetti, impone non un unico fondamento normativo per tutti i soggetti giuridici bensì una pluralità di fondamenti anche costituzionali secondo i diversi interessi concreti in gioco (artt. 2, 18, 41 cost.) e al tempo stesso di non considerare gli enti quale blocco unitario e omogeneo in virtù di un pluralismo fondato caratterizzato dalla differenziazione. Individuata la diversa soggettività, l'indagine non si dissolve nell'affermare o nel negare i diritti della personalità agli enti a seconda della soggettività giuridica anche costituzionale, ma si indirizza, nel rifiuto di ogni generalizzazione e di là dal paradigma diritti della personalità, all'analisi delle fattispecie concrete al fine di individuare i peculiari interessi in gioco e quindi la disciplina più adeguata al caso concreto. Questo approccio metodologico ha permesso di affermare che l'interesse in gioco non era quello di tutelare un aspetto dell'ente o tanto meno del singolo uti universi, bensì quello di garantire il libero e corretto esercizio dell'attività dell'ente per la realizzazione della finalità in un sistema pluralistico e concorrenziale quindi nel rispetto della non confondibilità, della differenziazione e soprattutto della concorrenza leale che non è soltanto economica ma anche politica, sindacale, culturale, ecc. Pertanto i principi che operano in tutti i campi dell'agire collettivo sono il principio di differenziazione e non confondibilità e il principio di leale concorrenza dei quali le disposizioni in materia di segni distintivi e di concorrenza sleale ne sono parziale attuazione. L’ipotizzata operatività della disciplina dei segni distintivi e della concorrenza sleale anche nei confronti dei soggetti diversi dalle persone fisiche che non svolgono attività economica organizzata riscontra ulteriori motivi di giustificazione ora nel ruolo svolto dagli organismi collettivi al di fuori dello schema societario che sollecita e necessita la rimeditazione del fenomeno associativo inteso in senso ampio, ora nell’operatività del c.d. principio di unitarietà dei segni distintivi, sancito espressamente dall’art. 22 c.p.i., il quale separa l'operatività della tutela del segno distintivo da un preciso ambito oggettivo riconoscendo l'idoneità di ciascun segno a essere leso o a ledere segni di tipo diverso in rapporto di concorrenza e lì dove rinomato anche in settori non affini di là da un rapporto di concorrenza. Tale principio, quale espressione dell'esigenza di garantire l'effettività della tutela, va sganciato anche da un preciso ambito soggettivo sì da essere esteso a tutti i soggetti pregiudicati nella loro attività dall'uso indebito che altri facciano dei loro segni identificativi sì da condurre ad affermare che «chiunque (soggetto collettivo o individuale) che svolga attività anche non economicamente rilevante e che per primo ha adottato un segno distintivo ha diritto di essere protetto nei confronti di chi si trova in rapporto di concorrenza in quanto svolge attività uguale o affine tale da incidere sulla clientela dell'altro e adotti un segno uguale o simile all'altrui segno tale da indurre in confusione». In questo modo si dovrebbe discorrere di un sistema di tutela dei segni distintivi e della concorrenza rivolto ai soggetti che svolgono attività economica o non economica sia verso chi esercita attività di impresa sia verso chi esercita attività diversa nei confronti di chi fa uso indebito del proprio segno distintivo in rapporto di concorrenza e qualora il segno distintivo sia rinomato anche a prescindere dal rapporto di concorrenza nel mondo reale e nel mondo virtuale. Inoltre il tema dell'estensione dei diritti della personalità agli enti conduce sul terreno impervio del risarcimento del danno non patrimoniale e del danno morale. Il riconoscimento del danno morale agli enti è stato frutto ora della dissoluzione del concetto di persona giuridica ora dell’assorbimento 2 del rapporto organico nella rappresentanza in senso stretto che ha permesso l’estensione, alla rappresentanza organica, della disciplina della rappresentanza volontaria. In particolare l’applicabilità dell’art. 1391 c.c. relativo agli stati soggettivi il cui il contenuto è stato oltremodo esteso fino ad includervi sofferenze psicologiche, morali turbamenti dell'animo sì da imputare all'ente «gli effetti degli stati psicologici» dell'organo al fine di ottenere il risarcimento del danno morale. Al contrario la consapevolezza di arginare la frenesia risarcitoria alla luce di una diversa concezione della persona giuridica e in particolare del rapporto organico ha condotto ad escludere il riconoscimento del danno morale agli enti. Se l’organo è lo strumento tecnico essenziale che permette all’ente una duplice imputazione giuridica del regolamento di interessi e della fattispecie, al tempo stesso l’imputazione di un fatto umano se può consistere tanto in un comportamento esterno e tanto in un fatto di coscienza (come la buona fede, la mala fede, dolo o colpa dell'organo necessariamente collegati all'attività giuridica) quest’ultimo non può dilatarsi fino ad includervi quegli stati psicologici che non condizionano l’agire giuridico dell’organo bensì restano soltanto fatti di sentimento, fatti emozionali propri ed esclusivi delle persone fisiche ai quali il diritto attribuisce eccezionalmente rilevanza giuridica.
Enti e diritti della persona / Perlingieri, Carolina. - unico:(2008).
Enti e diritti della persona
PERLINGIERI, CAROLINA
2008
Abstract
Il problema dell’ascrivibilità dei diritti della personalità agli enti è stato affrontato con metodo formalistico in quanto la soluzione era esclusivamente condizionata dal riconoscimento o dalla negazione della soggettività giuridica che incidevano sull'affermazione o negazione di tali diritti ai soggetti diversi dalla persona fisica. L’indagine è stata condotta secondo una impostazione generalizzante che accoglieva una concezione neutrale e unitaria della soggettività fondata da ultimo su una mistificante interpretazione estensiva dell'art. 2 cost. che si caratterizzava per il seguente sillogismo: se la persona fisica è soggetto che ha tutela, se la persona giuridica è soggetto, ergo la persona giuridica ha diritto alla stessa tutela della persona fisica. Una diversa impostazione metodologica, in una prospettiva relativizzante e assiologia, impone di distinguere la soggettività giuridica e di rifiutare l’equiparazione tra soggetti, impone non un unico fondamento normativo per tutti i soggetti giuridici bensì una pluralità di fondamenti anche costituzionali secondo i diversi interessi concreti in gioco (artt. 2, 18, 41 cost.) e al tempo stesso di non considerare gli enti quale blocco unitario e omogeneo in virtù di un pluralismo fondato caratterizzato dalla differenziazione. Individuata la diversa soggettività, l'indagine non si dissolve nell'affermare o nel negare i diritti della personalità agli enti a seconda della soggettività giuridica anche costituzionale, ma si indirizza, nel rifiuto di ogni generalizzazione e di là dal paradigma diritti della personalità, all'analisi delle fattispecie concrete al fine di individuare i peculiari interessi in gioco e quindi la disciplina più adeguata al caso concreto. Questo approccio metodologico ha permesso di affermare che l'interesse in gioco non era quello di tutelare un aspetto dell'ente o tanto meno del singolo uti universi, bensì quello di garantire il libero e corretto esercizio dell'attività dell'ente per la realizzazione della finalità in un sistema pluralistico e concorrenziale quindi nel rispetto della non confondibilità, della differenziazione e soprattutto della concorrenza leale che non è soltanto economica ma anche politica, sindacale, culturale, ecc. Pertanto i principi che operano in tutti i campi dell'agire collettivo sono il principio di differenziazione e non confondibilità e il principio di leale concorrenza dei quali le disposizioni in materia di segni distintivi e di concorrenza sleale ne sono parziale attuazione. L’ipotizzata operatività della disciplina dei segni distintivi e della concorrenza sleale anche nei confronti dei soggetti diversi dalle persone fisiche che non svolgono attività economica organizzata riscontra ulteriori motivi di giustificazione ora nel ruolo svolto dagli organismi collettivi al di fuori dello schema societario che sollecita e necessita la rimeditazione del fenomeno associativo inteso in senso ampio, ora nell’operatività del c.d. principio di unitarietà dei segni distintivi, sancito espressamente dall’art. 22 c.p.i., il quale separa l'operatività della tutela del segno distintivo da un preciso ambito oggettivo riconoscendo l'idoneità di ciascun segno a essere leso o a ledere segni di tipo diverso in rapporto di concorrenza e lì dove rinomato anche in settori non affini di là da un rapporto di concorrenza. Tale principio, quale espressione dell'esigenza di garantire l'effettività della tutela, va sganciato anche da un preciso ambito soggettivo sì da essere esteso a tutti i soggetti pregiudicati nella loro attività dall'uso indebito che altri facciano dei loro segni identificativi sì da condurre ad affermare che «chiunque (soggetto collettivo o individuale) che svolga attività anche non economicamente rilevante e che per primo ha adottato un segno distintivo ha diritto di essere protetto nei confronti di chi si trova in rapporto di concorrenza in quanto svolge attività uguale o affine tale da incidere sulla clientela dell'altro e adotti un segno uguale o simile all'altrui segno tale da indurre in confusione». In questo modo si dovrebbe discorrere di un sistema di tutela dei segni distintivi e della concorrenza rivolto ai soggetti che svolgono attività economica o non economica sia verso chi esercita attività di impresa sia verso chi esercita attività diversa nei confronti di chi fa uso indebito del proprio segno distintivo in rapporto di concorrenza e qualora il segno distintivo sia rinomato anche a prescindere dal rapporto di concorrenza nel mondo reale e nel mondo virtuale. Inoltre il tema dell'estensione dei diritti della personalità agli enti conduce sul terreno impervio del risarcimento del danno non patrimoniale e del danno morale. Il riconoscimento del danno morale agli enti è stato frutto ora della dissoluzione del concetto di persona giuridica ora dell’assorbimento 2 del rapporto organico nella rappresentanza in senso stretto che ha permesso l’estensione, alla rappresentanza organica, della disciplina della rappresentanza volontaria. In particolare l’applicabilità dell’art. 1391 c.c. relativo agli stati soggettivi il cui il contenuto è stato oltremodo esteso fino ad includervi sofferenze psicologiche, morali turbamenti dell'animo sì da imputare all'ente «gli effetti degli stati psicologici» dell'organo al fine di ottenere il risarcimento del danno morale. Al contrario la consapevolezza di arginare la frenesia risarcitoria alla luce di una diversa concezione della persona giuridica e in particolare del rapporto organico ha condotto ad escludere il riconoscimento del danno morale agli enti. Se l’organo è lo strumento tecnico essenziale che permette all’ente una duplice imputazione giuridica del regolamento di interessi e della fattispecie, al tempo stesso l’imputazione di un fatto umano se può consistere tanto in un comportamento esterno e tanto in un fatto di coscienza (come la buona fede, la mala fede, dolo o colpa dell'organo necessariamente collegati all'attività giuridica) quest’ultimo non può dilatarsi fino ad includervi quegli stati psicologici che non condizionano l’agire giuridico dell’organo bensì restano soltanto fatti di sentimento, fatti emozionali propri ed esclusivi delle persone fisiche ai quali il diritto attribuisce eccezionalmente rilevanza giuridica.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
enti e diritti.pdf
non disponibili
Tipologia:
Documento in Post-print
Licenza:
Accesso privato/ristretto
Dimensione
649.02 kB
Formato
Adobe PDF
|
649.02 kB | Adobe PDF | Visualizza/Apri Richiedi una copia |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.