La costituzione italiana del 1947 era espressione del “compromesso fordista”, culminato in Occidente nel New Deal, e caratterizzato dalla centralità della grande fabbrica e dall’intervento dello Stato capitalistico nella sfera della riproduzione sociale in modo da prevenire le crisi e i loro possibili esiti rivoluzionari. Di qui la centralità costituzionale del lavoro e l’ampia articolazione organizzativa del welfare state. Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso questo processo fu messo in crisi dalle lotte degli operai nelle grandi fabbriche, di altri nuovi soggetti nella società (si pensi alle lotte degli studenti e alle lotte di genere) e dall’inizio della dissoluzione del blocco comunista sovietico. Il capitalismo degli anni Ottanta mutò la sua forma di produzione che assunse carattere linguistico, comunicativo, affettivo, modificando i bisogni, la qualità dei soggetti e le forme di lotta. Questo nuovo processo, post-fordista, è dominato da un capitale che, attraverso la decentralizzazione e la produzione reticolare, non ha più bisogno del welfare fordista, ma riprende mano libera sul lavoro (precarietà, flessibilità, bassi salari), sui servizi, sulla forma della circolazione. La povertà è sempre più esclusione della grande massa degli individui da un’enorme ricchezza, che oggi è data dal sapere, dalle possibilità di movimento planetario, di tempo libero. La perdita di centralità dello Stato-nazione, la preminenza politica delle istituzioni mondiali (Fmi, Wtho ecc.), la centralizzazione tecnocratica e, al tempo stesso, la devoluzione federale di competenze, la liberalizzazione dei servizi, la filosofia del “farcela da soli” sottesa al “principio di sussidiarietà”, danno il segno capitalistico dell’odierna trasformazione. Questi passaggi profondi sono impliciti nelle riforme della seconda parte della Costituzione italiana. Il rifiuto radicale queste riforme, però, deve tendere non a conservare una costituzione superata dalle trasformazioni della produzione capitalistica e dalle lotte sociali, ma andare nel senso profondamente alternativo di una definizione della cittadinanza a partire dall’odierna mobilità planetaria degli individui, di un reddito di cittadinanza per tutti, di un accesso libero alle reti e ai saperi.
Costituzione, lotte sociali, riforma costituzionale / DI MARCO, GIUSEPPE ANTONIO. - STAMPA. - (2006).
Costituzione, lotte sociali, riforma costituzionale
DI MARCO, GIUSEPPE ANTONIO
2006
Abstract
La costituzione italiana del 1947 era espressione del “compromesso fordista”, culminato in Occidente nel New Deal, e caratterizzato dalla centralità della grande fabbrica e dall’intervento dello Stato capitalistico nella sfera della riproduzione sociale in modo da prevenire le crisi e i loro possibili esiti rivoluzionari. Di qui la centralità costituzionale del lavoro e l’ampia articolazione organizzativa del welfare state. Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso questo processo fu messo in crisi dalle lotte degli operai nelle grandi fabbriche, di altri nuovi soggetti nella società (si pensi alle lotte degli studenti e alle lotte di genere) e dall’inizio della dissoluzione del blocco comunista sovietico. Il capitalismo degli anni Ottanta mutò la sua forma di produzione che assunse carattere linguistico, comunicativo, affettivo, modificando i bisogni, la qualità dei soggetti e le forme di lotta. Questo nuovo processo, post-fordista, è dominato da un capitale che, attraverso la decentralizzazione e la produzione reticolare, non ha più bisogno del welfare fordista, ma riprende mano libera sul lavoro (precarietà, flessibilità, bassi salari), sui servizi, sulla forma della circolazione. La povertà è sempre più esclusione della grande massa degli individui da un’enorme ricchezza, che oggi è data dal sapere, dalle possibilità di movimento planetario, di tempo libero. La perdita di centralità dello Stato-nazione, la preminenza politica delle istituzioni mondiali (Fmi, Wtho ecc.), la centralizzazione tecnocratica e, al tempo stesso, la devoluzione federale di competenze, la liberalizzazione dei servizi, la filosofia del “farcela da soli” sottesa al “principio di sussidiarietà”, danno il segno capitalistico dell’odierna trasformazione. Questi passaggi profondi sono impliciti nelle riforme della seconda parte della Costituzione italiana. Il rifiuto radicale queste riforme, però, deve tendere non a conservare una costituzione superata dalle trasformazioni della produzione capitalistica e dalle lotte sociali, ma andare nel senso profondamente alternativo di una definizione della cittadinanza a partire dall’odierna mobilità planetaria degli individui, di un reddito di cittadinanza per tutti, di un accesso libero alle reti e ai saperi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.