L’ARCHITETTURA DIFFERENTE PER L’APPROCCIO DI GENERE AL GOVERNO DEL TERRITORIO Emma Buondonno Professore Associato di progettazione architettonica e urbana, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica e-mail: emma.buondonno@unina.it La politica ed il governo del territorio in Italia e in Campania arretrano rispetto ai principi democratici, di solidarietà umana e di pari opportunità. Il territorio è da predare e gli esseri umani devono continuare ad essere sfruttati e schiavizzati in nome di un'organizzazione economica fondata esclusivamente sulla sovrapproduzione di merci e sulla globalizzazione del loro trasporto e della loro commercializzazione. Il modello economico capitalista-liberista, fin dai primi anni '70 dello scorso secolo, fu destabilizzato dalla prima grave crisi energetica. A distanza di quarant'anni il ciclo di rivoluzione del pensiero e della organizzazione della vita umana sul pianeta non si è ancora compiuto. Lo scacchiere internazionale, tuttavia, è radicalmente mutato. Il continente asiatico della Cinindia, con un terzo della popolazione terrestre, ha il piede premuto sull’acceleratore per inseguire il modello economico capitalista-liberista già tramontato di fatto in America e in Europa e progressivamente penetra ed occupa lo spazio economico dell’Africa. Il continente africano, con una popolazione cresciuta da 100 milioni a 900 milioni di individui nell’arco del secolo appena trascorso, è dilaniato tra l’indebitamento degli Stati e le crisi ambientale ed umanitaria per cui si accelerano i processi dei flussi migratori verso l’Europa per sfuggire alla fame, alla sete, alle malattie, alle guerre e, quindi, alla morte. Il continente sudamericano faticosamente riprende a camminare verso organizzazioni governative apparentemente più democratiche con alle spalle i genocidi delle giovani generazioni degli anni ‘70 ed ’80. I paesi del Medio Oriente scivolano pericolosamente verso forme di integralismo religioso e scenari di guerra come unica alternativa per la resistenza ai paesi industrializzati occidentali. Il continente europeo è nuovamente investito da un vento che ciclicamente ritorna di paure, di incertezze e di timori verso il futuro e che prepotentemente consolida sentimenti reazionari, di intolleranza razziale, di assenza di solidarietà umana, di abbandono dei più deboli e dei meno fortunati, dunque, gli Stati Uniti Europei sono ancora lontani dal rappresentare il luogo dell’affermazione e della difesa dei diritti umani per l’intero Pianeta. Gli Stati Uniti d’America, con l’affermazione di Obama, forse possono rappresentare il principio di una nuova epoca in cui è fondamentale comunque soffermarsi sui mezzi che vengono usati per sostenere lo sviluppo. I mezzi sono di per sé importanti, ma spesso si rivelano coercitivi. Alcuni uomini ritengono che le misure coercitive sono indispensabili. Spesso non pochi individui, politici o studiosi che siano, con il pretesto che il fine giustifica i mezzi “in nome dello sviluppo” raccomandano delle misure per cui si comincia con l’eliminare proprio la cosa che merita di essere sostenuta, vale a dire la libertà umana. La questione è la distribuzione democratica delle risorse naturali e delle ricchezze. Le donne sono consapevoli della obsolescenza del pensiero, delle teorie e dei metodi maschili nella politica, nel governo del territorio e nella disciplina delle trasformazioni amministrative dei paesi e delle città e devono proporre alternative per la salvezza del Pianeta per ogni essere vivente. Il pensiero della differenza porta alla comprensione della sostenibilità ambientale all’impatto antropico per affermare le diverse capacità del territorio ad accogliere le differenti attività umane e le culture. Il pensiero di “genere” è l’elemento innovativo e creativo per il cambiamento degli scenari politici e territoriali. Le pari opportunità sono il presupposto essenziale per il raggiungimento della libertà di realizzare se stessi in ogni momento dell’esistenza, evitando rapporti di forza e prospettando soluzioni alternative, nel rispetto degli altri in armonia con la natura. L’approccio femminile nel rispetto di “madre terra”, la natura, e delle “città madre”, l’architettura, se riconosciuto come presupposto del pensiero politico e di governo del territorio, potrà generare una società umana consapevole e in grado di salvaguardare ogni essere vivente. Il tentativo di progettare la città a pezzi, a frammenti, è il tentativo disperato di non far sparire la città. La crescita della città in metropoli prima e megalopoli dopo è il processo di dissoluzione della città. La città dissolvendosi intende punire la sua prole. I teorici dell’urbanistica non hanno più bisogno dei “significati della città” per l’affermazione del tecnicismo; pertanto l’utopia è morta, ma la morte dell’utopia ha un’importanza semiologia pari alla sua nascita. Lo spazio utopistico si costruisce nel tentativo di colmare i vuoti creati dalla caduta dei miti, delle religioni e del sacro. L’utopia si pone come un progetto di società, un progetto politico collettivo; come modello sociale, l’utopia è un’analisi critica della società, individua gli errori e propone rimedi, costruisce, uno spazio comunque nel reale. La fine di un’analisi critica di una società coincide con la morte dell’utopia e la dissoluzione della città. Lo sviluppo urbanistico e la volontà di progettare a pezzi e a frammenti in realtà vanificano il tentativo di non far distruggere la città. LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE ALL’IMPATTO ANTROPICO E IL RIEQUILIBRIO DELLA REGIONE METROPOLITANA CAMPANA Nell’ultimo cinquantennio abbiamo assistito ad un’elevata densificazione urbana e demografica dell’area costiera napoletana della Regione Campania. Attualmente si contano più di 5.801.000 abitanti ripartiti in 551 comuni, che insistono su una superficie territoriale di 13.595 kmq. La provincia con il più elevato squilibrio è quella di Napoli che raccoglie il 53 % degli abitanti regionali su una superficie di 1.171 kmq, appena il 9 % del territorio regionale. Questo squilibrio non interessa soltanto la componente demografica, ma investe tutte le altre componenti dello spazio: quelle sociali, economiche e produttive. Il capoluogo è sede di un forte accentramento politico-amministrativo, è qui che vi si svolge il governo della Regione, della Provincia e del Comune, tra il Centro Direzionale, Piazza Matteotti e Piazza Municipio. I flussi di traffico veicolari avvengono da e per lo svincolo autostradale Napoli-Caserta, per agganciarsi all’asse viario nazionale Roma-Caserta-Salerno. L’armatura urbana regionale è di tipo monocentrico (Napoli) e monodirezionale (Napoli-Caserta). Su tale modello di assetto, che ha raggiunto una dimensione metropolitana coincidente con l’intera provincia di Napoli e che ha invaso anche parti delle province di Caserta e Salerno, si innesta il nuovo “disegno” delle reti infrastrutturali nazionali ed europee - il progetto è già in fase di realizzazione - con la definizione di due corridoi plurinodali: il primo corridoio trans-europeo “Berlino-Roma-Caserta-Napoli-Reggio” e l’ottavo corridoio trans-balcanico “Napoli-Benevento-Bari-Balcani”. Da qui il ruolo di cerniera e di piattaforma logistica del Mediterraneo che Napoli e la sua area metropolitana è chiamata a svolgere nel prossimo futuro. La spina dorsale di questo scenario di trasformazione territoriale, con il potenziamento dei due scali passeggeri e merci: il porto commerciale di Napoli e l’aeroporto internazionale di Grazzanise, è costituita dalla rete infrastrutturale su ferro dell’alta velocità Roma-Caserta-Vesuvio Est. L’area napoletana, e in particolare la zona di Napoli-Caserta, si aggancerebbe, di fatto, all’area metropolitana di Roma, determinando così, per dimensione e popolazione insediata, la terza area metropolitana europea. L’hinterland napoletano riflette lo stesso squilibrio che in alcuni casi giunge al massimo esponenziale come ad esempio Portici che su una superficie di 4,5 kmq conta 56.000 abitanti. Per invertire la tendenza alla saturazione delle aree attorno alla città di Napoli, per progressive urbanizzazioni ed espansioni concentriche a macchia d’olio, sarebbe stato opportuno applicare a suo tempo la Legge n.142 del 1990, definendo un assetto territoriale aderente alla realtà in atto, secondo uno schema policentrico e pluridirezionale di riequilibrio dell’intera area metropolitana napoletana. Un ulteriore grave problema dell’area metropolitana è rappresentato dagli scambi commerciali portuali e dalla movimentazione dei container da e per il porto di Napoli, che provoca un impatto territoriale molto elevato, concernente non solo aspetti quantitativi ma, e soprattutto, le qualità ambientali dei luoghi interessati. I disagi da inquinamento atmosferico dovuto al traffico dei tir per il trasporto delle merci, cui purtroppo si ricorre più che ai treni; i fastidi dovuti all’ingombro fisico e alla carente fruizione del paesaggio, determinata dai container impilati permanentemente lungo il fronte del mare; l’incremento degli incidenti stradali, che si traducono in costi per la collettività, sono elementi tali da far escludere, allo stato attuale delle cose, la designazione di Napoli come la grande piattaforma del Mediterraneo. Piuttosto tale ruolo può essere assolto dalla riorganizzazione globale dell’intera Regione Metropolitana Campana. La dimensione del problema richiederebbe, quantomeno, la pianificazione delle funzioni a scala interregionale con la valutazione degli effettivi benefici derivanti da questa scelta, e in relazione alla questione della tutela e riqualificazione del sistema costiero. Ciò posto, sembra evidente che per la provincia di Napoli non si può pensare ad ulteriori espansioni del tessuto urbano, la densificazione urbana proposta dal PTCP di Napoli, e al rafforzamento delle infrastrutture e, contestualmente, aspirare alla tutela della natura e alla salvaguardia dell’attività agricola e dei paesaggi rurali della “piana”, supponendo comunque di destinarne alcune parti a discariche e megapattumiere dei rifiuti prodotti da oltre tre milioni di abitanti. Per un’area a così elevata concentrazione di popolazione, con disagi sociali per altro amplificati da allarmanti livelli di violenza ed aggressività, va perseguito l’obiettivo prioritario della pianificazione dell’ambiente di vita, provvedendo a conciliare lo spazio della città e la natura dei luoghi, con politiche finalizzate alla valorizzazione del territorio, alla riduzione del carico demografico e all’ottimizzazione della distribuzione delle attività produttive e commerciali, in modo da preservare gli spazi vitali necessari alla qualità del vivere quotidiano. La politica, condotta dal governo del territorio locale, ha assecondato il trend in atto includendo progressivamente i comuni limitrofi nell’area di gravitazione della metropoli napoletana come quelli del basso casertano e dell’agro-nocerino-sarnese, creando un unico asse di collegamento tra la città di Roma e di Napoli. Si può dire che in Campania vi siano due zone contrapposte: da una lato, la cosiddetta “fascia costiera”, ad elevata concentrazione, quella che un noto studio denominava la polpa, ormai priva di spazi “vitali” e, dall’altro lato, una realtà a bassa densità, caratterizzata da senescenza funzionale, ovvero l’osso. Da qui la necessità di provvedere a riorganizzare e strutturare lo spazio della regione, ripartendone equamente i “pesi demografici”, per ottenere l’impatto antropico equamente distribuito e sostenibile sull’intera armatura urbana regionale di importanza storica oltre che economica. Per il riassetto e il riequilibrio della Regione metropolitana campana è stato condotto e pubblicato lo studio che propone l’accorpamento dei comuni con la riduzione di questi ultimi di circa l’80%, da 551 a 118 municipalità. Sono stati definiti i comprensori all’interno dei quali sono stati individuati poli di I, II e III livello, a seconda del patrimonio delle risorse naturali, dell’armatura urbana e della sostenibilità ambientale all’impatto antropico di ciascuno. Infine per ogni comprensorio è stato progettato il sistema integrato dei trasporti allo scopo di favorire l’accessibilità interna alle municipalità, ai comprensori e alla rete delle infrastrutture principali della provincia. Per la Provincia di Napoli (allegato 1) dobbiamo costruire al più presto un nuovo assetto territoriale dell’area metropolitana di Napoli anche in riferimento al federalismo fiscale per avere l’armatura urbana più snella ed efficiente. I 92 comuni devono accorparsi per dare vita a sole 19 municipalità di cui una sola e non dieci per Napoli città, le restanti 18 possono essere individuate all’interno di 6 comprensori. Essi sono stati definiti sulla base di due fattori: 1) la struttura geo-morfologica ed idrogeologica dei macrosistemi territoriali: la natura dei luoghi; 2) l’armatura urbana storica e la stratificazione dell’attività antropica del territorio: la storia e i beni culturali. I sei comprensori sono: Città Flegrea, Isole, Città Acerrana, Città Nolana, Vesuvio e Penisola Sorrentina. Il polo di I livello è Napoli; i poli di II livello sono: Ischia, Giugliano in Campania, Acerra, Nola, Torre del Greco e Sorrento; quelli di III livello sono: Capri, Procida, Marano di Napoli, Pozzuoli, Afragola, Marigliano, Palma Campania, Roccarainola, Portici-Ercolano, Somma Vesuviana, Terzigno e Castellammare di Stabia-Agerola. Per la Provincia di Avellino (allegato 2) il nuovo modello di assetto prevede l’accorpamento dei 119 comuni in 23 municipalità consorziate in “comprensori-città”. I comprensori sono stati definiti sulla base di tre fattori: i primi due coincidenti con i fattori della provincia di Napoli, e il terzo si ispira agli indirizzi strategici dei Sistemi Territoriali di Sviluppo indicati dal PTR. I quattro comprensori sono: Avellino, Ariano Irpino-Grottaminarda, Lioni-Teora e Bisaccia-Calitri. Il plo di I livello è Avellino; i poli di II livello sono: Ariano, Bisaccia e Lioni; quelli di III livello sono: Altavilla Irpina, Avella, Cervinara, Forino, Montemarano, Montemiletto, Serino, Flumeri, Frigento, Mirabella Eclano, Montecalvo Irpino, Savignano Irpino, Guardia de Lobardi, Macedonia, Vallata, Calabritto, Conza della Campania, Montella e Sant’Angelo dei Lombardi. Per la Provincia di Benevento (allegato 3) lo studio elaborato prevede l’accorpamento di 76 comuni della provincia in 16 municipalità anch’esse consorziate in “comprensori-città”. I comprensori sono stati definiti sulla base di tre fattori coincidenti con i fattori della provincia di Avellino. I quattro comprensori sono: Benevento, Taburno, Telesino e Fortore. Il polo di I livello è Benevento; i poli di II livello sono: San Bartolomeo in Galdo, Sant’Agata dei Goti e Morcone; quelli di III livello sono: Ceppaloni, Apice, Montefalcone di Val Fortone, San Giorgio la Molara, Limatola, Montasarchio, Vitulano, Circello, Cerreto Sannita, Faicchio, Pietralcina e Ponte. Per la Provincia di Caserta (allegato 4) con gli stessi criteri i 6 comprensori sono stati suddivisi, a loro volta, in 24 municipalità. L’ individuazione dei comprensori è scaturita da tre fattori: 1) analisi della struttura geo-morfologica dei macrosistemi territoriali, uso del suolo, parchi regionali e presenza di comunità montane; 2) analisi dell’armatura urbana storica e della stratificazione dell’attività antropica del territorio; 3) analisi della rete infrastrutturale e indagine demografica dei comuni. I sei comprensori sono: Agro Caleno-Basso Volturno, Alto Volturno, Aversa, Caserta, Matese e Roccamonfina. Il polo di I livello è Caserta; i poli di II livello sono: Grazzanise, Aversa, Caiazzo, Piedimonte Matese e Teano; quelli di III livello sono: Capua, Marcianise, San Felice a Cancello, Francolise, Pignataro Maggiore, Sessa Aurunca, Frignano, Gricignano d’Aversa, Orta di Atella, Villa Literno, Alvignano, Pietramelara, Vairano Patenora, Alife, Capriati al Volturno, Gallo Matese, Mignano Montelungo e Presenzano. Per la Provincia di Salerno (allegato 5) la proposta per una pianificazione alternativa per la provincia di Salerno consiste nel tentativo, anche qui, di snellire e rendere più efficiente l’armatura urbana, riorganizzando gli attuali 158 comuni nelle nuove entità amministrative, ossia 15 comprensori. Per la definizione dei comprensori si è ritenuto opportuno prendere come riferimento le già esistenti organizzazioni territoriali delle comunità montane al fine di valorizzare la stratificazione delle attività socio-economiche già in atto da tempo e radicata nelle comunità locali e popolazioni interessate. I 15 comprensori sono: Salerno, Costa d’Amalfi, Agro-Nocerino-Sarnese, Valle dell’Irno, Valle del Picentino, Piana del Sele, Alto-Medio Sele, Tanagro, Alburni, Calore Salernitano, Alento-Monte Stella, Gelbison-Cervati, Lambro-Mingardo, Bussento e Vallo di Diano. Il polo di I livello è Salerno; i poli di II livello sono: Cava de’ Tirreni, Nocera Inferiore, Fisciano, Montecorvino-Pugliano, Battipaglia, Campagna, Buccino, Petina, Capaccio, Agropoli, Vallo della Lucania, Ascea, Sapri e Buonabitacolo; quelli di III livello sono: Scafati, Giffoni Sei Casali, Giffni Valle Piana, Eboli, Valva, Auletta, Serre, Sicignano degli Alburni, Felito, Laurino, Roccadaspide, Casal Velino, Castellabate, Gioi, Camerota, Rofrano, Caselle in Pittari, Montesano sulla Marcellana, Padula, Polla e Sanza. L’individuazione delle municipalità implica un riassetto organizzativo delle funzioni amministrative, politiche ed economiche. In particolare per la Provincia di Napoli i sindaci da 92 si ridurranno a 19, gli assessori da 380 a 85 e i consiglieri da 1.530 a 368. Per la Provincia di Caserta i sindaci da 104 si ridurranno a 24, gli assessori da 434 a 146 e i consiglieri da 1.704 a 680. Per la Provincia di Avellino i sindaci da 119 si ridurranno a 23, gli assessori da 492 a 144 e i consiglieri da 1642 a 690 Per la Provincia di Benevento i sindaci da 78 si ridurranno a 16, gli assessori da 268 a 98 e i consiglieri da 1080 a 490. Infine per la Provincia di Salerno i sindaci da 158 si ridurranno a 36, gli assessori da 588 a 216 e i consiglieri da 2.348 a 970. Rispetto alle problematiche presenti in Campania, occorre provvedere alla riorganizzazione e alla strutturazione dello spazio in modo da ottenere delle città che funzionino bene per tutti i cittadini, sì da risolverne tutti i problemi della vita quotidiana: l'approvvigionamento alimentare, il diritto all'abitazione, ai trasporti, alle reti idriche, allo smaltimento dei rifiuti, ai nuovi mezzi di comunicazione, alla tutela della salute, alle nuove forme di cultura urbana, e così via. Bisogna per di più puntare alla qualità delle trasformazioni urbane e territoriali e a proposte capaci di valorizzare le caratteristiche locali e globali, attraverso la considerazione e l'analisi dei fattori notevoli quali le infrastrutture e le attrezzature, il rapporto con l'antico, il recupero e la valorizzazione delle risorse, la nuova residenza, le periferie, i luoghi di aggregazione. Poiché la dimensione metropolitana è ormai una realtà diffusa, la sfida non è quella di subirne gli effetti negativi (il grande inquinamento atmosferico e acustico, il traffico caotico, la carenza di parcheggi, la carenza di un sistema di sprechi urbani, di aree pedonali, ciclabili, eccetera), ma governarli in una logica di sviluppo sostenibile, ragionando in termini di risposta ai bisogni delle persone e nella consapevolezza che il territorio non è un bene d’infinita disponibilità, tenendo nel debito conto, lo si ribadisce, che i bisogni del cittadino di oggi non si limitano più solo a quelli essenziali quali la casa e i servizi di base, ma intercettano nuove priorità tra le quali la qualità della vita e dell’ambiente, la qualità degli spazi urbani, l’identità dei luoghi costruiti e verdi. E' su queste priorità che occorre indirizzare le scelte di progetto per orientare lo sviluppo futuro. Tra le prime cose impellenti da affrontare, si rende necessario pensare ad un modello urbano/metropolitano/regionale in cui le funzioni siano sistemate sul territorio in maniera razionale sì da massimizzare i benefici collettivi con il minimo spreco di tempo e di energie: là dove, cioè, lo spostarsi da un luogo all'altro non avvenga in situazioni di stress perenne. E’ palese come sia urgente progettare una griglia di riferimento per le città in cui l’infrastrutturazione del territorio e la dotazione di nuovi servizi diventino gli elementi strategici da perseguir sui quali poi, e solo poi, disegnare lo sviluppo dei tessuti seriali urbani (residenze, attività produttive, turistiche, eccetera) e non il viceversa. Così come è evidente quanto siano strategiche al soddisfacimento dei bisogni le politiche sulle fonti di energia rinnovabili e non inquinanti applicate al trasporto e alla mobilità urbana, oltre che alla casa. Non si può non ritenere che il nuovo “disegno” della Campania debba essere un progetto di nuove città in relazione alla sostenibilità ambientale all’impatto antropico: deve essere un progetto di integrazione tra Natura e Architettura, tenendo nel dovuto conto densità territoriali, funzioni e destinazioni d’uso, accessibilità e mobilità, attrezzature e servizi. Con la distribuzione dei pesi di popolazione e delle attività produttive, delle attrezzature e dei servizi in funzione delle capacità di accoglimento del territorio ed alleggerimento dei pesi stessi a Napoli e nella sua area metropolitana. Va’ detto no ai piani di densificazione urbana della provincia di Napoli e si alla creazione di una “nuova” armatura urbana della Regione Metropolitana Campana per il riequilibrio territoriale demografico e produttivo, con la formazione delle nuove città sannite, irpine, cilentane e casertane. Il paesaggio naturale è pressoché scomparso: si ritrova solo in aree obliterate sfuggite all’antropizzazione, in residui ricoperti o racchiusi dagli ultimi movimenti di eso-endodinamica esplosi nella litosfera, per opera dell’uomo, ai fini delle attività produttive agricole e per le modifiche del vivere civile e collettivo si sono generati sempre nuovi paesaggi con connotati sempre più artificiali. Dall’espace banal, attraverso il disegno dei campi del bel paesaggio agrario organizzato prima e del saltus, cioè della sua disgregazione poi, si è giunti all’aggressione attuale del territorio e dell’ambiente, che ne ha stravolto gli antichi equilibri. Il paesaggio è comunque il prodotto della società e dei suoi sistemi di valore. Lo spazio antropico è l’ambiente da salvaguardare con le impronte di tutte le generazioni che hanno dotato l’Italia del più grande patrimonio. L’ambiente, bel paesaggio di sereniana memoria, è una risorsa che richiede il perseguimento di due obiettivi insiti nel suo stesso significato: da un lato evitarne lo spreco, dall’altro, ottimizzare l’uso massimizzando i benefici collettivi. La stratificazione della città e del territorio per il suo ciclo di vita necessita dell’impiego sistematico di capitali e di altri tipi di risorse. Il campo della sperimentazione teorico-progettuale è la Regione Campania e lo squilibrio socio-economico, storico, tra la concentrazione senza sviluppo della fascia costiera e la senescenza funzionale delle aree interne. Il modello di riequilibrio urbanistico proposto, in alternativa allo sprawl urbanizzativo privo di rete strutturale e centralità urbane, è fondato su sistemi organizzativi territoriali e città connessi da reti ecologiche, di infrastrutture e di attrezzature. La prospettiva di lavoro è stata l’applicazione del modello insediativo alternativo e progettazione di nuove unità urbane per la sostenibilità ambientale all’impatto antropico e la salvaguardia del patrimonio storico.
L'architettura differente per l'approccio di genere al governo del territorio / Buondonno, Emma. - (2009). (Intervento presentato al convegno Scienziate dall'economia domenstica all'economia di mercato tenutosi a Città della scienza - Napoli nel 17, 18 e 19 settembre 2009).
L'architettura differente per l'approccio di genere al governo del territorio
BUONDONNO, EMMA
2009
Abstract
L’ARCHITETTURA DIFFERENTE PER L’APPROCCIO DI GENERE AL GOVERNO DEL TERRITORIO Emma Buondonno Professore Associato di progettazione architettonica e urbana, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica e-mail: emma.buondonno@unina.it La politica ed il governo del territorio in Italia e in Campania arretrano rispetto ai principi democratici, di solidarietà umana e di pari opportunità. Il territorio è da predare e gli esseri umani devono continuare ad essere sfruttati e schiavizzati in nome di un'organizzazione economica fondata esclusivamente sulla sovrapproduzione di merci e sulla globalizzazione del loro trasporto e della loro commercializzazione. Il modello economico capitalista-liberista, fin dai primi anni '70 dello scorso secolo, fu destabilizzato dalla prima grave crisi energetica. A distanza di quarant'anni il ciclo di rivoluzione del pensiero e della organizzazione della vita umana sul pianeta non si è ancora compiuto. Lo scacchiere internazionale, tuttavia, è radicalmente mutato. Il continente asiatico della Cinindia, con un terzo della popolazione terrestre, ha il piede premuto sull’acceleratore per inseguire il modello economico capitalista-liberista già tramontato di fatto in America e in Europa e progressivamente penetra ed occupa lo spazio economico dell’Africa. Il continente africano, con una popolazione cresciuta da 100 milioni a 900 milioni di individui nell’arco del secolo appena trascorso, è dilaniato tra l’indebitamento degli Stati e le crisi ambientale ed umanitaria per cui si accelerano i processi dei flussi migratori verso l’Europa per sfuggire alla fame, alla sete, alle malattie, alle guerre e, quindi, alla morte. Il continente sudamericano faticosamente riprende a camminare verso organizzazioni governative apparentemente più democratiche con alle spalle i genocidi delle giovani generazioni degli anni ‘70 ed ’80. I paesi del Medio Oriente scivolano pericolosamente verso forme di integralismo religioso e scenari di guerra come unica alternativa per la resistenza ai paesi industrializzati occidentali. Il continente europeo è nuovamente investito da un vento che ciclicamente ritorna di paure, di incertezze e di timori verso il futuro e che prepotentemente consolida sentimenti reazionari, di intolleranza razziale, di assenza di solidarietà umana, di abbandono dei più deboli e dei meno fortunati, dunque, gli Stati Uniti Europei sono ancora lontani dal rappresentare il luogo dell’affermazione e della difesa dei diritti umani per l’intero Pianeta. Gli Stati Uniti d’America, con l’affermazione di Obama, forse possono rappresentare il principio di una nuova epoca in cui è fondamentale comunque soffermarsi sui mezzi che vengono usati per sostenere lo sviluppo. I mezzi sono di per sé importanti, ma spesso si rivelano coercitivi. Alcuni uomini ritengono che le misure coercitive sono indispensabili. Spesso non pochi individui, politici o studiosi che siano, con il pretesto che il fine giustifica i mezzi “in nome dello sviluppo” raccomandano delle misure per cui si comincia con l’eliminare proprio la cosa che merita di essere sostenuta, vale a dire la libertà umana. La questione è la distribuzione democratica delle risorse naturali e delle ricchezze. Le donne sono consapevoli della obsolescenza del pensiero, delle teorie e dei metodi maschili nella politica, nel governo del territorio e nella disciplina delle trasformazioni amministrative dei paesi e delle città e devono proporre alternative per la salvezza del Pianeta per ogni essere vivente. Il pensiero della differenza porta alla comprensione della sostenibilità ambientale all’impatto antropico per affermare le diverse capacità del territorio ad accogliere le differenti attività umane e le culture. Il pensiero di “genere” è l’elemento innovativo e creativo per il cambiamento degli scenari politici e territoriali. Le pari opportunità sono il presupposto essenziale per il raggiungimento della libertà di realizzare se stessi in ogni momento dell’esistenza, evitando rapporti di forza e prospettando soluzioni alternative, nel rispetto degli altri in armonia con la natura. L’approccio femminile nel rispetto di “madre terra”, la natura, e delle “città madre”, l’architettura, se riconosciuto come presupposto del pensiero politico e di governo del territorio, potrà generare una società umana consapevole e in grado di salvaguardare ogni essere vivente. Il tentativo di progettare la città a pezzi, a frammenti, è il tentativo disperato di non far sparire la città. La crescita della città in metropoli prima e megalopoli dopo è il processo di dissoluzione della città. La città dissolvendosi intende punire la sua prole. I teorici dell’urbanistica non hanno più bisogno dei “significati della città” per l’affermazione del tecnicismo; pertanto l’utopia è morta, ma la morte dell’utopia ha un’importanza semiologia pari alla sua nascita. Lo spazio utopistico si costruisce nel tentativo di colmare i vuoti creati dalla caduta dei miti, delle religioni e del sacro. L’utopia si pone come un progetto di società, un progetto politico collettivo; come modello sociale, l’utopia è un’analisi critica della società, individua gli errori e propone rimedi, costruisce, uno spazio comunque nel reale. La fine di un’analisi critica di una società coincide con la morte dell’utopia e la dissoluzione della città. Lo sviluppo urbanistico e la volontà di progettare a pezzi e a frammenti in realtà vanificano il tentativo di non far distruggere la città. LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE ALL’IMPATTO ANTROPICO E IL RIEQUILIBRIO DELLA REGIONE METROPOLITANA CAMPANA Nell’ultimo cinquantennio abbiamo assistito ad un’elevata densificazione urbana e demografica dell’area costiera napoletana della Regione Campania. Attualmente si contano più di 5.801.000 abitanti ripartiti in 551 comuni, che insistono su una superficie territoriale di 13.595 kmq. La provincia con il più elevato squilibrio è quella di Napoli che raccoglie il 53 % degli abitanti regionali su una superficie di 1.171 kmq, appena il 9 % del territorio regionale. Questo squilibrio non interessa soltanto la componente demografica, ma investe tutte le altre componenti dello spazio: quelle sociali, economiche e produttive. Il capoluogo è sede di un forte accentramento politico-amministrativo, è qui che vi si svolge il governo della Regione, della Provincia e del Comune, tra il Centro Direzionale, Piazza Matteotti e Piazza Municipio. I flussi di traffico veicolari avvengono da e per lo svincolo autostradale Napoli-Caserta, per agganciarsi all’asse viario nazionale Roma-Caserta-Salerno. L’armatura urbana regionale è di tipo monocentrico (Napoli) e monodirezionale (Napoli-Caserta). Su tale modello di assetto, che ha raggiunto una dimensione metropolitana coincidente con l’intera provincia di Napoli e che ha invaso anche parti delle province di Caserta e Salerno, si innesta il nuovo “disegno” delle reti infrastrutturali nazionali ed europee - il progetto è già in fase di realizzazione - con la definizione di due corridoi plurinodali: il primo corridoio trans-europeo “Berlino-Roma-Caserta-Napoli-Reggio” e l’ottavo corridoio trans-balcanico “Napoli-Benevento-Bari-Balcani”. Da qui il ruolo di cerniera e di piattaforma logistica del Mediterraneo che Napoli e la sua area metropolitana è chiamata a svolgere nel prossimo futuro. La spina dorsale di questo scenario di trasformazione territoriale, con il potenziamento dei due scali passeggeri e merci: il porto commerciale di Napoli e l’aeroporto internazionale di Grazzanise, è costituita dalla rete infrastrutturale su ferro dell’alta velocità Roma-Caserta-Vesuvio Est. L’area napoletana, e in particolare la zona di Napoli-Caserta, si aggancerebbe, di fatto, all’area metropolitana di Roma, determinando così, per dimensione e popolazione insediata, la terza area metropolitana europea. L’hinterland napoletano riflette lo stesso squilibrio che in alcuni casi giunge al massimo esponenziale come ad esempio Portici che su una superficie di 4,5 kmq conta 56.000 abitanti. Per invertire la tendenza alla saturazione delle aree attorno alla città di Napoli, per progressive urbanizzazioni ed espansioni concentriche a macchia d’olio, sarebbe stato opportuno applicare a suo tempo la Legge n.142 del 1990, definendo un assetto territoriale aderente alla realtà in atto, secondo uno schema policentrico e pluridirezionale di riequilibrio dell’intera area metropolitana napoletana. Un ulteriore grave problema dell’area metropolitana è rappresentato dagli scambi commerciali portuali e dalla movimentazione dei container da e per il porto di Napoli, che provoca un impatto territoriale molto elevato, concernente non solo aspetti quantitativi ma, e soprattutto, le qualità ambientali dei luoghi interessati. I disagi da inquinamento atmosferico dovuto al traffico dei tir per il trasporto delle merci, cui purtroppo si ricorre più che ai treni; i fastidi dovuti all’ingombro fisico e alla carente fruizione del paesaggio, determinata dai container impilati permanentemente lungo il fronte del mare; l’incremento degli incidenti stradali, che si traducono in costi per la collettività, sono elementi tali da far escludere, allo stato attuale delle cose, la designazione di Napoli come la grande piattaforma del Mediterraneo. Piuttosto tale ruolo può essere assolto dalla riorganizzazione globale dell’intera Regione Metropolitana Campana. La dimensione del problema richiederebbe, quantomeno, la pianificazione delle funzioni a scala interregionale con la valutazione degli effettivi benefici derivanti da questa scelta, e in relazione alla questione della tutela e riqualificazione del sistema costiero. Ciò posto, sembra evidente che per la provincia di Napoli non si può pensare ad ulteriori espansioni del tessuto urbano, la densificazione urbana proposta dal PTCP di Napoli, e al rafforzamento delle infrastrutture e, contestualmente, aspirare alla tutela della natura e alla salvaguardia dell’attività agricola e dei paesaggi rurali della “piana”, supponendo comunque di destinarne alcune parti a discariche e megapattumiere dei rifiuti prodotti da oltre tre milioni di abitanti. Per un’area a così elevata concentrazione di popolazione, con disagi sociali per altro amplificati da allarmanti livelli di violenza ed aggressività, va perseguito l’obiettivo prioritario della pianificazione dell’ambiente di vita, provvedendo a conciliare lo spazio della città e la natura dei luoghi, con politiche finalizzate alla valorizzazione del territorio, alla riduzione del carico demografico e all’ottimizzazione della distribuzione delle attività produttive e commerciali, in modo da preservare gli spazi vitali necessari alla qualità del vivere quotidiano. La politica, condotta dal governo del territorio locale, ha assecondato il trend in atto includendo progressivamente i comuni limitrofi nell’area di gravitazione della metropoli napoletana come quelli del basso casertano e dell’agro-nocerino-sarnese, creando un unico asse di collegamento tra la città di Roma e di Napoli. Si può dire che in Campania vi siano due zone contrapposte: da una lato, la cosiddetta “fascia costiera”, ad elevata concentrazione, quella che un noto studio denominava la polpa, ormai priva di spazi “vitali” e, dall’altro lato, una realtà a bassa densità, caratterizzata da senescenza funzionale, ovvero l’osso. Da qui la necessità di provvedere a riorganizzare e strutturare lo spazio della regione, ripartendone equamente i “pesi demografici”, per ottenere l’impatto antropico equamente distribuito e sostenibile sull’intera armatura urbana regionale di importanza storica oltre che economica. Per il riassetto e il riequilibrio della Regione metropolitana campana è stato condotto e pubblicato lo studio che propone l’accorpamento dei comuni con la riduzione di questi ultimi di circa l’80%, da 551 a 118 municipalità. Sono stati definiti i comprensori all’interno dei quali sono stati individuati poli di I, II e III livello, a seconda del patrimonio delle risorse naturali, dell’armatura urbana e della sostenibilità ambientale all’impatto antropico di ciascuno. Infine per ogni comprensorio è stato progettato il sistema integrato dei trasporti allo scopo di favorire l’accessibilità interna alle municipalità, ai comprensori e alla rete delle infrastrutture principali della provincia. Per la Provincia di Napoli (allegato 1) dobbiamo costruire al più presto un nuovo assetto territoriale dell’area metropolitana di Napoli anche in riferimento al federalismo fiscale per avere l’armatura urbana più snella ed efficiente. I 92 comuni devono accorparsi per dare vita a sole 19 municipalità di cui una sola e non dieci per Napoli città, le restanti 18 possono essere individuate all’interno di 6 comprensori. Essi sono stati definiti sulla base di due fattori: 1) la struttura geo-morfologica ed idrogeologica dei macrosistemi territoriali: la natura dei luoghi; 2) l’armatura urbana storica e la stratificazione dell’attività antropica del territorio: la storia e i beni culturali. I sei comprensori sono: Città Flegrea, Isole, Città Acerrana, Città Nolana, Vesuvio e Penisola Sorrentina. Il polo di I livello è Napoli; i poli di II livello sono: Ischia, Giugliano in Campania, Acerra, Nola, Torre del Greco e Sorrento; quelli di III livello sono: Capri, Procida, Marano di Napoli, Pozzuoli, Afragola, Marigliano, Palma Campania, Roccarainola, Portici-Ercolano, Somma Vesuviana, Terzigno e Castellammare di Stabia-Agerola. Per la Provincia di Avellino (allegato 2) il nuovo modello di assetto prevede l’accorpamento dei 119 comuni in 23 municipalità consorziate in “comprensori-città”. I comprensori sono stati definiti sulla base di tre fattori: i primi due coincidenti con i fattori della provincia di Napoli, e il terzo si ispira agli indirizzi strategici dei Sistemi Territoriali di Sviluppo indicati dal PTR. I quattro comprensori sono: Avellino, Ariano Irpino-Grottaminarda, Lioni-Teora e Bisaccia-Calitri. Il plo di I livello è Avellino; i poli di II livello sono: Ariano, Bisaccia e Lioni; quelli di III livello sono: Altavilla Irpina, Avella, Cervinara, Forino, Montemarano, Montemiletto, Serino, Flumeri, Frigento, Mirabella Eclano, Montecalvo Irpino, Savignano Irpino, Guardia de Lobardi, Macedonia, Vallata, Calabritto, Conza della Campania, Montella e Sant’Angelo dei Lombardi. Per la Provincia di Benevento (allegato 3) lo studio elaborato prevede l’accorpamento di 76 comuni della provincia in 16 municipalità anch’esse consorziate in “comprensori-città”. I comprensori sono stati definiti sulla base di tre fattori coincidenti con i fattori della provincia di Avellino. I quattro comprensori sono: Benevento, Taburno, Telesino e Fortore. Il polo di I livello è Benevento; i poli di II livello sono: San Bartolomeo in Galdo, Sant’Agata dei Goti e Morcone; quelli di III livello sono: Ceppaloni, Apice, Montefalcone di Val Fortone, San Giorgio la Molara, Limatola, Montasarchio, Vitulano, Circello, Cerreto Sannita, Faicchio, Pietralcina e Ponte. Per la Provincia di Caserta (allegato 4) con gli stessi criteri i 6 comprensori sono stati suddivisi, a loro volta, in 24 municipalità. L’ individuazione dei comprensori è scaturita da tre fattori: 1) analisi della struttura geo-morfologica dei macrosistemi territoriali, uso del suolo, parchi regionali e presenza di comunità montane; 2) analisi dell’armatura urbana storica e della stratificazione dell’attività antropica del territorio; 3) analisi della rete infrastrutturale e indagine demografica dei comuni. I sei comprensori sono: Agro Caleno-Basso Volturno, Alto Volturno, Aversa, Caserta, Matese e Roccamonfina. Il polo di I livello è Caserta; i poli di II livello sono: Grazzanise, Aversa, Caiazzo, Piedimonte Matese e Teano; quelli di III livello sono: Capua, Marcianise, San Felice a Cancello, Francolise, Pignataro Maggiore, Sessa Aurunca, Frignano, Gricignano d’Aversa, Orta di Atella, Villa Literno, Alvignano, Pietramelara, Vairano Patenora, Alife, Capriati al Volturno, Gallo Matese, Mignano Montelungo e Presenzano. Per la Provincia di Salerno (allegato 5) la proposta per una pianificazione alternativa per la provincia di Salerno consiste nel tentativo, anche qui, di snellire e rendere più efficiente l’armatura urbana, riorganizzando gli attuali 158 comuni nelle nuove entità amministrative, ossia 15 comprensori. Per la definizione dei comprensori si è ritenuto opportuno prendere come riferimento le già esistenti organizzazioni territoriali delle comunità montane al fine di valorizzare la stratificazione delle attività socio-economiche già in atto da tempo e radicata nelle comunità locali e popolazioni interessate. I 15 comprensori sono: Salerno, Costa d’Amalfi, Agro-Nocerino-Sarnese, Valle dell’Irno, Valle del Picentino, Piana del Sele, Alto-Medio Sele, Tanagro, Alburni, Calore Salernitano, Alento-Monte Stella, Gelbison-Cervati, Lambro-Mingardo, Bussento e Vallo di Diano. Il polo di I livello è Salerno; i poli di II livello sono: Cava de’ Tirreni, Nocera Inferiore, Fisciano, Montecorvino-Pugliano, Battipaglia, Campagna, Buccino, Petina, Capaccio, Agropoli, Vallo della Lucania, Ascea, Sapri e Buonabitacolo; quelli di III livello sono: Scafati, Giffoni Sei Casali, Giffni Valle Piana, Eboli, Valva, Auletta, Serre, Sicignano degli Alburni, Felito, Laurino, Roccadaspide, Casal Velino, Castellabate, Gioi, Camerota, Rofrano, Caselle in Pittari, Montesano sulla Marcellana, Padula, Polla e Sanza. L’individuazione delle municipalità implica un riassetto organizzativo delle funzioni amministrative, politiche ed economiche. In particolare per la Provincia di Napoli i sindaci da 92 si ridurranno a 19, gli assessori da 380 a 85 e i consiglieri da 1.530 a 368. Per la Provincia di Caserta i sindaci da 104 si ridurranno a 24, gli assessori da 434 a 146 e i consiglieri da 1.704 a 680. Per la Provincia di Avellino i sindaci da 119 si ridurranno a 23, gli assessori da 492 a 144 e i consiglieri da 1642 a 690 Per la Provincia di Benevento i sindaci da 78 si ridurranno a 16, gli assessori da 268 a 98 e i consiglieri da 1080 a 490. Infine per la Provincia di Salerno i sindaci da 158 si ridurranno a 36, gli assessori da 588 a 216 e i consiglieri da 2.348 a 970. Rispetto alle problematiche presenti in Campania, occorre provvedere alla riorganizzazione e alla strutturazione dello spazio in modo da ottenere delle città che funzionino bene per tutti i cittadini, sì da risolverne tutti i problemi della vita quotidiana: l'approvvigionamento alimentare, il diritto all'abitazione, ai trasporti, alle reti idriche, allo smaltimento dei rifiuti, ai nuovi mezzi di comunicazione, alla tutela della salute, alle nuove forme di cultura urbana, e così via. Bisogna per di più puntare alla qualità delle trasformazioni urbane e territoriali e a proposte capaci di valorizzare le caratteristiche locali e globali, attraverso la considerazione e l'analisi dei fattori notevoli quali le infrastrutture e le attrezzature, il rapporto con l'antico, il recupero e la valorizzazione delle risorse, la nuova residenza, le periferie, i luoghi di aggregazione. Poiché la dimensione metropolitana è ormai una realtà diffusa, la sfida non è quella di subirne gli effetti negativi (il grande inquinamento atmosferico e acustico, il traffico caotico, la carenza di parcheggi, la carenza di un sistema di sprechi urbani, di aree pedonali, ciclabili, eccetera), ma governarli in una logica di sviluppo sostenibile, ragionando in termini di risposta ai bisogni delle persone e nella consapevolezza che il territorio non è un bene d’infinita disponibilità, tenendo nel debito conto, lo si ribadisce, che i bisogni del cittadino di oggi non si limitano più solo a quelli essenziali quali la casa e i servizi di base, ma intercettano nuove priorità tra le quali la qualità della vita e dell’ambiente, la qualità degli spazi urbani, l’identità dei luoghi costruiti e verdi. E' su queste priorità che occorre indirizzare le scelte di progetto per orientare lo sviluppo futuro. Tra le prime cose impellenti da affrontare, si rende necessario pensare ad un modello urbano/metropolitano/regionale in cui le funzioni siano sistemate sul territorio in maniera razionale sì da massimizzare i benefici collettivi con il minimo spreco di tempo e di energie: là dove, cioè, lo spostarsi da un luogo all'altro non avvenga in situazioni di stress perenne. E’ palese come sia urgente progettare una griglia di riferimento per le città in cui l’infrastrutturazione del territorio e la dotazione di nuovi servizi diventino gli elementi strategici da perseguir sui quali poi, e solo poi, disegnare lo sviluppo dei tessuti seriali urbani (residenze, attività produttive, turistiche, eccetera) e non il viceversa. Così come è evidente quanto siano strategiche al soddisfacimento dei bisogni le politiche sulle fonti di energia rinnovabili e non inquinanti applicate al trasporto e alla mobilità urbana, oltre che alla casa. Non si può non ritenere che il nuovo “disegno” della Campania debba essere un progetto di nuove città in relazione alla sostenibilità ambientale all’impatto antropico: deve essere un progetto di integrazione tra Natura e Architettura, tenendo nel dovuto conto densità territoriali, funzioni e destinazioni d’uso, accessibilità e mobilità, attrezzature e servizi. Con la distribuzione dei pesi di popolazione e delle attività produttive, delle attrezzature e dei servizi in funzione delle capacità di accoglimento del territorio ed alleggerimento dei pesi stessi a Napoli e nella sua area metropolitana. Va’ detto no ai piani di densificazione urbana della provincia di Napoli e si alla creazione di una “nuova” armatura urbana della Regione Metropolitana Campana per il riequilibrio territoriale demografico e produttivo, con la formazione delle nuove città sannite, irpine, cilentane e casertane. Il paesaggio naturale è pressoché scomparso: si ritrova solo in aree obliterate sfuggite all’antropizzazione, in residui ricoperti o racchiusi dagli ultimi movimenti di eso-endodinamica esplosi nella litosfera, per opera dell’uomo, ai fini delle attività produttive agricole e per le modifiche del vivere civile e collettivo si sono generati sempre nuovi paesaggi con connotati sempre più artificiali. Dall’espace banal, attraverso il disegno dei campi del bel paesaggio agrario organizzato prima e del saltus, cioè della sua disgregazione poi, si è giunti all’aggressione attuale del territorio e dell’ambiente, che ne ha stravolto gli antichi equilibri. Il paesaggio è comunque il prodotto della società e dei suoi sistemi di valore. Lo spazio antropico è l’ambiente da salvaguardare con le impronte di tutte le generazioni che hanno dotato l’Italia del più grande patrimonio. L’ambiente, bel paesaggio di sereniana memoria, è una risorsa che richiede il perseguimento di due obiettivi insiti nel suo stesso significato: da un lato evitarne lo spreco, dall’altro, ottimizzare l’uso massimizzando i benefici collettivi. La stratificazione della città e del territorio per il suo ciclo di vita necessita dell’impiego sistematico di capitali e di altri tipi di risorse. Il campo della sperimentazione teorico-progettuale è la Regione Campania e lo squilibrio socio-economico, storico, tra la concentrazione senza sviluppo della fascia costiera e la senescenza funzionale delle aree interne. Il modello di riequilibrio urbanistico proposto, in alternativa allo sprawl urbanizzativo privo di rete strutturale e centralità urbane, è fondato su sistemi organizzativi territoriali e città connessi da reti ecologiche, di infrastrutture e di attrezzature. La prospettiva di lavoro è stata l’applicazione del modello insediativo alternativo e progettazione di nuove unità urbane per la sostenibilità ambientale all’impatto antropico e la salvaguardia del patrimonio storico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.