Il testo affronta la questione della condivisione culturale tra la scuola italiana e quella tedesca. Il tema delle condivisioni culturali presenta un aspetto evidente ed un secondo, più importante, meno visibile. Quello evidente è il rapporto profondo che per una certa cultura architettonica che mette al centro del ragionamento i valori che una cultura urbana deve rappresentare e, in tal senso, un riferimento significativo è costituito dalla cultura architettonica tedesca che - a partire dalla introduzione del ragionamento sul rapporto tra storia urbana e progetto dovuta a Joseph P. Kleihues e dalla formazione di una Scuola, nata intorno alla figura di Oswald Mathias Ungers, che tale ragionamento lo ha tradotto in costruzione della città - è oggi quella che in misura più chiara esprime tale principio. Il tema per così dire sotteso è invece quello che riguarda la volontà di leggere nell’esperienza di questo rapporto la necessità sempre più importante guardare insieme agli aspetti di un’alleanza che deve lavorare tanto sul fronte istituzionale che su quello culturale nell’ipotesi di definire il nostro lavoro comune come il tentativo di comporre una sorta di famiglia spirituale fra ambienti geograficamente distanti ma che hanno in comune, fortemente e come questione centrale, quella di un omogeneità culturale e comportamentale che, come nella definizione di Focillon, rompa la logica della classificazione, non si limiti alla ricerca degli apparentamenti stilistici ma si proponga di individuare terreni più certi e consistenti nei punti di una teoria condivisa. Comuni sembrano essere anche l’obiettivo e le modalità che individuiamo per raggiungere una sempre più solida consapevolezza teorica. Potremmo dire, pur con qualche punta di minimalismo, che obiettivo e modalità si ritrovano nel continuare ancora il ragionamento che con continuità è stato elaborato a partire dalle elaborazioni interne alla XV Triennale di Milano che hanno segnato un momento significativo nella nostra storia disciplinare ma che sembrano oggi essere fuori dal circuito non tanto della moda stilistica quanto della consistenza specifica dei loro più significativi principî. Abbiamo ad esempio teorizzato, a partire da quella Triennale, la specificità di ciascuna città intesa come una operazione collettiva e ci troviamo di fronte ad una preoccupante omologazione planetaria delle immagini delle nuove città. Abbiamo parlato e teorizzato della continuità biunivoca tra architettura e città e ci troviamo di fronte, sempre più spesso, ad un’architettura che nulla racconta o, se proprio lo fa, racconta se stessa e si industria a sottolineare i propri caratteri di individualità. E così, l’architettura da noi pensata come strumento della costruzione della città, è in realtà un semplice componente di uno spazio urbano indifferenziato. Il risultato finale è che un vero stile della nostra epoca non c’è, perché dietro l’omologazione delle forme e delle soluzioni architettoniche, si nasconde la mancata costruzione di un sostrato teorico che possa realmente definire e sostenere delle scelte condivise collettivamente e quindi uno stile.
Introduzione / Siola, Uberto. - STAMPA. - (2009), pp. 1-32. (Intervento presentato al convegno Jan Kleihues. Architetture per la città tenutosi a Napoli. Chiesa dell'Incoronata nel 14-30 novembre 2009).
Introduzione
SIOLA, UBERTO
2009
Abstract
Il testo affronta la questione della condivisione culturale tra la scuola italiana e quella tedesca. Il tema delle condivisioni culturali presenta un aspetto evidente ed un secondo, più importante, meno visibile. Quello evidente è il rapporto profondo che per una certa cultura architettonica che mette al centro del ragionamento i valori che una cultura urbana deve rappresentare e, in tal senso, un riferimento significativo è costituito dalla cultura architettonica tedesca che - a partire dalla introduzione del ragionamento sul rapporto tra storia urbana e progetto dovuta a Joseph P. Kleihues e dalla formazione di una Scuola, nata intorno alla figura di Oswald Mathias Ungers, che tale ragionamento lo ha tradotto in costruzione della città - è oggi quella che in misura più chiara esprime tale principio. Il tema per così dire sotteso è invece quello che riguarda la volontà di leggere nell’esperienza di questo rapporto la necessità sempre più importante guardare insieme agli aspetti di un’alleanza che deve lavorare tanto sul fronte istituzionale che su quello culturale nell’ipotesi di definire il nostro lavoro comune come il tentativo di comporre una sorta di famiglia spirituale fra ambienti geograficamente distanti ma che hanno in comune, fortemente e come questione centrale, quella di un omogeneità culturale e comportamentale che, come nella definizione di Focillon, rompa la logica della classificazione, non si limiti alla ricerca degli apparentamenti stilistici ma si proponga di individuare terreni più certi e consistenti nei punti di una teoria condivisa. Comuni sembrano essere anche l’obiettivo e le modalità che individuiamo per raggiungere una sempre più solida consapevolezza teorica. Potremmo dire, pur con qualche punta di minimalismo, che obiettivo e modalità si ritrovano nel continuare ancora il ragionamento che con continuità è stato elaborato a partire dalle elaborazioni interne alla XV Triennale di Milano che hanno segnato un momento significativo nella nostra storia disciplinare ma che sembrano oggi essere fuori dal circuito non tanto della moda stilistica quanto della consistenza specifica dei loro più significativi principî. Abbiamo ad esempio teorizzato, a partire da quella Triennale, la specificità di ciascuna città intesa come una operazione collettiva e ci troviamo di fronte ad una preoccupante omologazione planetaria delle immagini delle nuove città. Abbiamo parlato e teorizzato della continuità biunivoca tra architettura e città e ci troviamo di fronte, sempre più spesso, ad un’architettura che nulla racconta o, se proprio lo fa, racconta se stessa e si industria a sottolineare i propri caratteri di individualità. E così, l’architettura da noi pensata come strumento della costruzione della città, è in realtà un semplice componente di uno spazio urbano indifferenziato. Il risultato finale è che un vero stile della nostra epoca non c’è, perché dietro l’omologazione delle forme e delle soluzioni architettoniche, si nasconde la mancata costruzione di un sostrato teorico che possa realmente definire e sostenere delle scelte condivise collettivamente e quindi uno stile.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.