L’equinismo del piede è la più frequente deformità nei bambini con spasticità da paralisi cerebrale. Tale alterazione, limitando l’appoggio plantigrado, disturba enormemente la statica, ma soprattutto altera la dinamica del passo giacché la funzione ottimale del collo piede è essenziale per il cammino fisiologico, sia nella fase di carico che nella fase di oscillazione. Nei pazienti con patologia cerebrale un residuo equinismo può essere funzionalmente vantaggioso per assicurare la spinta propulsiva del piede e favorire il cammino. Una dosata correzione dell’equinismo con procedure chirurgiche non è sempre facile sia per le complesse interferenze funzionali che coinvolgono anca, ginocchio e piede nella cinematica della deambulazione, sia per la compromissione dei muscoli implicati nelle diverse fasi del cammino che è variabile nelle molteplici forme cliniche della spasticità infantile. Basti considerare la funzione biarticolare del tricipite surale e la frequente concomitanza di retrazione dei muscoli ischiocrurali che influenzano negativamente la funzione della caviglia a causa della ridotta capacità estensoria del ginocchio per la flessione coatta già strutturata. E’ nota inoltre la difficoltà di testare correttamente e in maniera selettiva l’attività dei singoli muscoli nei pazienti spastici per cui, a meno che non si ricorra alla gait analysis, la valutazione funzionale della spasticità nei vari gruppi muscolari è piuttosto imprecisa. La possibilità di ridurre la contrattura spastica senza indebolire la forza muscolare del tricipite è pertanto essenziale per correggere la deformità in equino evitando di alterare i compensi funzionali utili alla cinematica del passo ed evitando nel contempo il rischio di ipercorrezione che trasforma il piede equino in un piede valgo o reflesso, notevolmente più sfavorevole per la funzione stabilizzatrice e propulsiva del piede. L’altro consistente rischio della correzione chirurgica del piede equino con le differenti procedure previste è la recidiva della deformità tanto più frequente e ricorrente quanto più precocemente si esegue l’intervento. Ciò probabilmente anche in rapporto alle metodiche chirurgiche che apportano di norma la sezione per l’allungamento del tendine a livello della giunzione muscolotendinea considerata come “la placca di crescita” del tendine tricipitale, la cui crescita fisiologica, già significativamente inibita nella spasticità, verrebbe ulteriormente compromessa dalla manomissione chirurgica (Ziv et al., 1984). Gli AA.hanno inoltre osservato che la velocità di crescita del tendine nei muscoli ipertonici è pari a solo il 55% di quella dell’osso e ciò giustificherebbe ampiamente l’insorgenza di contratture nell’età in cui la velocità di crescita scheletrica è maggiore e quindi più elevata l’incidenza di recidiva. Avere disponibile una metodica semplice, incruenta, la cui applicazione è ben accettata dal piccolo paziente che consenta di ridurre l’ipertono a livello distrettuale è di notevole vantaggio sia a scopo diagnostico che terapeutico. Da alcuni anni gli AA utilizzano le Onde Urto, che vengono applicate sulla regione tricipitale in corrispondenza della giunzione muscolo-tendinea allo scopo di ottenere in maniera del tutto atraumatica il rilasciamento del muscolo. L’elongazione passiva del complesso miotendineo viene poi agevolata con caute manovre di stretching immediatamente successive all’applicazione e quindi mantenuta con una intensa e prolungata terapia riabilitativa di inibizione riflessa e di strechting e, laddove necessario, con un’immobilizzazione in apparecchio gessato per tre settimane. Questa procedura consente da un lato di testare efficacemente e di precisare con accuratezza la valenza della contrattura tricipitale nel determinismo della deformità, e dall’altro di prolungare nel tempo la fase dinamica e quindi reversibile della deformità stessa e conseguentemente dilazionare quanto più possibile la correzione chirurgica con i rischi relativi cui si è fatto cenno. La metodica indolore, di facile esecuzione e ripetibile senza problemi di sorta anche a breve periodo, riduce rapidamente la contrattura spastica e ripristina l’elasticità della struttura miotendinea e di conseguenza l’articolarità del collo piede migliorando l’appoggio plantigrado e quindi la statica e la deambulazione. Lo svantaggio relativo della metodica è dato dalla brevità temporale dell’effetto che dura solo pochi giorni, o addirittura ore, se non mantenuto con intensa ed adeguata terapia riabilitativa, per cui sono spesso necessarie più sedute che vengono ripetute settimanalmente finchè la correzione ottenuta non si dimostra abbastanza stabilizzata. Tale svantaggio è efficacemente compensato dalla assoluta mancanza di effetti collaterali e dalla ripetibilità dell’applicazione delle O.U. senza alcuna limitazione. L’efficacia della risposta e la sua durata sono inoltre influenzati dall’entità della contrattura, e quindi dal grado di ipertono, dalla intensità della retrazione dei tessuti miotendinei e anche dal grado di collaborazione del piccolo paziente soprattutto per quando riguarda la sua disponibilità successiva a praticare regolarmente e con costanza la terapia riabilitativa e a tenere la tutorazione, fattori questi ultimi indispensabili al mantenimento dell’effetto di allungamento miotendineo ottenuto con le O.U.. Il razionale della metodica proposta ed utilizzata sta nella temporanea inibizione funzionale dei recettori a seguito di stimoli ripetuti che superino il tempo fisiologico di recupero della capacità di conduzione. La base neurofisiologica dell’impiego di OU per inibire la spasticità è da riportare al fenomeno della contrazione muscolare indotta da uno stimolo vibratorio applicato al tendine. Tale fenomeno descritto indipendentemente da Eklund e Hagbart nel 1966 e da Lance nel 1973 viene comunemente etichettato come Riflesso Tonico Vibratorio (RTV). In condizioni normali una vibrazione di bassa ampiezza (3 mm.) con frequenza pari a circa 100 Hz genera una contrazione sia isotonica che isometrica. I due tipi di RTV isotonico ed isometrico hanno caratteristiche differenti, tuttavia per entrambi la contrazione dura solo alcuni secondi dal termine dello stimolo vibratorio (De Domenico, 1979). Ageraniotti e Hayes (1990) hanno studiato in pazienti con emiparesi spastica l’effetto della vibrazione applicata per un minuto sui tendini per ridurre l’ipertonia e l’iperreflessia flessoria a livello del polso ed hanno osservato una riduzione di circa il 50% della resistenza opposta alla mobilizzazione passiva. Un effetto ancora più significativo si ha a livello delle afferenze cutanee dove lo stimolo vibratorio applicato con valori di frequenza superiori ad un certo livello critico al centro di un campo recettivo determina l’interruzione temporanea dei recettori, prima di quelli a rapido e poi di quello a lento adattamento. La ripetitività dello stimolo vibratorio di una certa frequenza che superi il valore soglia, applicato per un periodo relativamente lungo inibisce temporaneamente i recettori e blocca la risposta anomala allo stiramento passivo caratteristica dei muscoli ipertonici. Il possibile ruolo di questo ipotetico meccanismo dovrà essere oggetto di studio più approfondito che gli AA già stanno conducendo, tuttavia le evidenze cliniche confermano a tutt’oggi gli effetti positivi sulla riduzione della contrattura quando le O.U. vengono applicate a livello della giunzione miotendinea.
Le onde d'urto nel protocollo riabilitativo del piede equino nei soggetti affetti da paralisi cerebrale infantile / Corrado, Bruno. - (2006).
Le onde d'urto nel protocollo riabilitativo del piede equino nei soggetti affetti da paralisi cerebrale infantile
CORRADO, BRUNO
2006
Abstract
L’equinismo del piede è la più frequente deformità nei bambini con spasticità da paralisi cerebrale. Tale alterazione, limitando l’appoggio plantigrado, disturba enormemente la statica, ma soprattutto altera la dinamica del passo giacché la funzione ottimale del collo piede è essenziale per il cammino fisiologico, sia nella fase di carico che nella fase di oscillazione. Nei pazienti con patologia cerebrale un residuo equinismo può essere funzionalmente vantaggioso per assicurare la spinta propulsiva del piede e favorire il cammino. Una dosata correzione dell’equinismo con procedure chirurgiche non è sempre facile sia per le complesse interferenze funzionali che coinvolgono anca, ginocchio e piede nella cinematica della deambulazione, sia per la compromissione dei muscoli implicati nelle diverse fasi del cammino che è variabile nelle molteplici forme cliniche della spasticità infantile. Basti considerare la funzione biarticolare del tricipite surale e la frequente concomitanza di retrazione dei muscoli ischiocrurali che influenzano negativamente la funzione della caviglia a causa della ridotta capacità estensoria del ginocchio per la flessione coatta già strutturata. E’ nota inoltre la difficoltà di testare correttamente e in maniera selettiva l’attività dei singoli muscoli nei pazienti spastici per cui, a meno che non si ricorra alla gait analysis, la valutazione funzionale della spasticità nei vari gruppi muscolari è piuttosto imprecisa. La possibilità di ridurre la contrattura spastica senza indebolire la forza muscolare del tricipite è pertanto essenziale per correggere la deformità in equino evitando di alterare i compensi funzionali utili alla cinematica del passo ed evitando nel contempo il rischio di ipercorrezione che trasforma il piede equino in un piede valgo o reflesso, notevolmente più sfavorevole per la funzione stabilizzatrice e propulsiva del piede. L’altro consistente rischio della correzione chirurgica del piede equino con le differenti procedure previste è la recidiva della deformità tanto più frequente e ricorrente quanto più precocemente si esegue l’intervento. Ciò probabilmente anche in rapporto alle metodiche chirurgiche che apportano di norma la sezione per l’allungamento del tendine a livello della giunzione muscolotendinea considerata come “la placca di crescita” del tendine tricipitale, la cui crescita fisiologica, già significativamente inibita nella spasticità, verrebbe ulteriormente compromessa dalla manomissione chirurgica (Ziv et al., 1984). Gli AA.hanno inoltre osservato che la velocità di crescita del tendine nei muscoli ipertonici è pari a solo il 55% di quella dell’osso e ciò giustificherebbe ampiamente l’insorgenza di contratture nell’età in cui la velocità di crescita scheletrica è maggiore e quindi più elevata l’incidenza di recidiva. Avere disponibile una metodica semplice, incruenta, la cui applicazione è ben accettata dal piccolo paziente che consenta di ridurre l’ipertono a livello distrettuale è di notevole vantaggio sia a scopo diagnostico che terapeutico. Da alcuni anni gli AA utilizzano le Onde Urto, che vengono applicate sulla regione tricipitale in corrispondenza della giunzione muscolo-tendinea allo scopo di ottenere in maniera del tutto atraumatica il rilasciamento del muscolo. L’elongazione passiva del complesso miotendineo viene poi agevolata con caute manovre di stretching immediatamente successive all’applicazione e quindi mantenuta con una intensa e prolungata terapia riabilitativa di inibizione riflessa e di strechting e, laddove necessario, con un’immobilizzazione in apparecchio gessato per tre settimane. Questa procedura consente da un lato di testare efficacemente e di precisare con accuratezza la valenza della contrattura tricipitale nel determinismo della deformità, e dall’altro di prolungare nel tempo la fase dinamica e quindi reversibile della deformità stessa e conseguentemente dilazionare quanto più possibile la correzione chirurgica con i rischi relativi cui si è fatto cenno. La metodica indolore, di facile esecuzione e ripetibile senza problemi di sorta anche a breve periodo, riduce rapidamente la contrattura spastica e ripristina l’elasticità della struttura miotendinea e di conseguenza l’articolarità del collo piede migliorando l’appoggio plantigrado e quindi la statica e la deambulazione. Lo svantaggio relativo della metodica è dato dalla brevità temporale dell’effetto che dura solo pochi giorni, o addirittura ore, se non mantenuto con intensa ed adeguata terapia riabilitativa, per cui sono spesso necessarie più sedute che vengono ripetute settimanalmente finchè la correzione ottenuta non si dimostra abbastanza stabilizzata. Tale svantaggio è efficacemente compensato dalla assoluta mancanza di effetti collaterali e dalla ripetibilità dell’applicazione delle O.U. senza alcuna limitazione. L’efficacia della risposta e la sua durata sono inoltre influenzati dall’entità della contrattura, e quindi dal grado di ipertono, dalla intensità della retrazione dei tessuti miotendinei e anche dal grado di collaborazione del piccolo paziente soprattutto per quando riguarda la sua disponibilità successiva a praticare regolarmente e con costanza la terapia riabilitativa e a tenere la tutorazione, fattori questi ultimi indispensabili al mantenimento dell’effetto di allungamento miotendineo ottenuto con le O.U.. Il razionale della metodica proposta ed utilizzata sta nella temporanea inibizione funzionale dei recettori a seguito di stimoli ripetuti che superino il tempo fisiologico di recupero della capacità di conduzione. La base neurofisiologica dell’impiego di OU per inibire la spasticità è da riportare al fenomeno della contrazione muscolare indotta da uno stimolo vibratorio applicato al tendine. Tale fenomeno descritto indipendentemente da Eklund e Hagbart nel 1966 e da Lance nel 1973 viene comunemente etichettato come Riflesso Tonico Vibratorio (RTV). In condizioni normali una vibrazione di bassa ampiezza (3 mm.) con frequenza pari a circa 100 Hz genera una contrazione sia isotonica che isometrica. I due tipi di RTV isotonico ed isometrico hanno caratteristiche differenti, tuttavia per entrambi la contrazione dura solo alcuni secondi dal termine dello stimolo vibratorio (De Domenico, 1979). Ageraniotti e Hayes (1990) hanno studiato in pazienti con emiparesi spastica l’effetto della vibrazione applicata per un minuto sui tendini per ridurre l’ipertonia e l’iperreflessia flessoria a livello del polso ed hanno osservato una riduzione di circa il 50% della resistenza opposta alla mobilizzazione passiva. Un effetto ancora più significativo si ha a livello delle afferenze cutanee dove lo stimolo vibratorio applicato con valori di frequenza superiori ad un certo livello critico al centro di un campo recettivo determina l’interruzione temporanea dei recettori, prima di quelli a rapido e poi di quello a lento adattamento. La ripetitività dello stimolo vibratorio di una certa frequenza che superi il valore soglia, applicato per un periodo relativamente lungo inibisce temporaneamente i recettori e blocca la risposta anomala allo stiramento passivo caratteristica dei muscoli ipertonici. Il possibile ruolo di questo ipotetico meccanismo dovrà essere oggetto di studio più approfondito che gli AA già stanno conducendo, tuttavia le evidenze cliniche confermano a tutt’oggi gli effetti positivi sulla riduzione della contrattura quando le O.U. vengono applicate a livello della giunzione miotendinea.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Tesi_di_dottorato_Corrado_Bruno.pdf
non disponibili
Tipologia:
Documento in Post-print
Licenza:
Accesso privato/ristretto
Dimensione
4.3 MB
Formato
Adobe PDF
|
4.3 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri Richiedi una copia |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.