Premessi cenni storici sulla evoluzione dell'istituto, l'oggetto della indagine viene identificato nella funzione di integrazione aziendale svolta dal consorzio quale imprenditore collettivo alternativo alle società. Verificata la sussistenza di una autonoma soggettività giuridica, si evidenzia la difficoltà di una riconduzione dell'attività "per conto" del singolo al binomio del mandato; atteso che se così fosse, si sarebbe in presenza di una vistosa deroga alla regola generale dell'art. 1705 c.c.; ed in realtà, visto che l'art. 2615 II co. c.c. stabilisce che delle obbligazioni derivanti da siffatta attività risponde il singolo consorziato nel cui conto si è agito, in solido con il fondo consortile, da ciò si viene a ricavare che l'attività non può che essere svolta in nome del consorzio, e che dunque la responsabilità illimitata e solidale del singolo consorziato si intende in aggiunta a quella del consorzio, così attuando una funzione indiretta di garanzia dei creditori del consorzio (parallelamente a quanto è dato riscontrare nelle società, per la responsabilità illimitata e solidale dei soci). Il rapporto gestorio non è allora riconducibile ad un mandato senza rappresentanza fra i preposti ed i singoli consorziati, perchè se così fosse l'atto sarebbe imputato all'amministratore in qualità di mandatario; e nemmeno ad una rappresentanza individuale (come poi stabilito dalla disciplina della rete di imprese), in quanto l'art. 2615 II co.c.c. prevede che l'atto è concluso "per conto" (e cioè nell'interesse particolare) e non anche in nome del singolo consorziato. Anche in tale sfera di attività dunque si è in presenza di un'impresa (collettiva) svolta dal consorzio in nome proprio sia pure "per conto" del singolo consorziato: il rapporto interno fra consorzio e singolo consorziato ha dunque natura subcontrattuale e presuppone in genere un atto di assegnazione con cui il consorzio procede alla devoluzione (senza perciò attuare una cessione del contratto, e restando dunque parte contraente rispetto al terzo) l'esecuzione delle prestazioni negoziali derivanti dal rapporto assunto, ad una o più imprese consorziate. In ragione della operatività della regola della spendita del nome tipicamente connessa all'esercizio della impresa collettiva, l'organizzazione consortile si viene a caricare del rischio di quell'attività che ancorchè nell'interesse particolare del singolo resta in ogni caso imputata imputata al consorzio (in tutti i suoi effetti, attivi e passivi), fino a poter generare una situazione di insolvenza. Dall'analisi degli effetti passivi dell'attività consortile dunque, si deduce la sussistenza di un interesse propriamente associativo che viene ad essere identificato (cd. interesse consortile) nella protezione, sviluppo e rafforzamento del gruppo delle imprese consorziate, e si risale così al piano gestorio. Ne deriva che nello svolgimento dell'attività consortile "per conto" del singolo consorziato è dato riscontrare la sussistenza di una duplicità di interessi legati da un vincolo di complementarietà, da cui vengono a scaturire una serie di conseguenze: primo, la distinzione fra il potere di disporre del consorzio (assunzione del rapporto contrattuale dall'esterno ed assegnazione all'interno) e quello del singolo consorziato (l'esposizione alla responsabilità illimitata e solidale presuppone la prestazione di un consenso individuale da parte del singolo, anche risultante per facta concludentia con l'esecuzione delle prestazioni contrattuali, che non appare riducibile ad un mandato, potendo intervenire anche successivamente all'assunzione della iniziativa da parte del consorzio, nè ad una autorizzazione a disporre); secondo, la subordinazione dell'interesse particolare a quello consortile (lo svolgimento dell'atto "per conto" del singolo proprio perchè appare oramai chiaro che non realizza un rapporto di mandato ma avviene nell'ambito della gestione associativa del consorzio , presuppone che l'atto sia nell'osservanza dell'interesse consortile); terzo, è in ragione del vincolo di complementarietà fra gli interessi che viene in fondo a spiegarsi la solidarietà disposta ex lege a tutela dei creditori del consorzio; quarto, l'inosservanza di tale nesso di complementarietà si traduce nella violazione dell'interesse consortile, e viene a fungere così da presupposto per la configurabilità della responsabilità degli amministratori del consorzio. Ai fini quindi di una ricostruzione della disciplina dell'illecito gestorio nel consorzio, in assenza di alcuna normativa si procede anzi tutto alla identificazione della natura dell'interesse associativo, che qualificandosi in termini economici (per essere essenzialmente il gruppo consortile un gruppo chiuso, rivolto al perseguimento di un lucro indiretto) comporta l'inapplicabilità della disciplina degli enti del libro I del codice civile e sembra invece fondare il presupposto per un accostamento privilegiato con le società. Ribadita dunque la valenza del concetto in generale di interesse collettivo (anche alla luce della riforma del d.lgs. n.6 del 2003) nella impostazione tradizionale di studio del contratto associativo, si passa a verificare le differenze fra il consorzio e la società. In primis, tramite l'analisi del meccanismo di acquisizione delle risorse patrimoniali: nelle società si assiste ad una funzione economica di investimento data dal conferimento con un'alea di rischio dipendente dalla destinazione dell'attività al lucro; mentre nei consorzi non è previsto nè il capitale nè l'obbligo di conferimento, ed il meccanismo di acquisizione delle risorse patrimoniale per il tramite della contribuzione, risponde ad una logica economica inversa, di copertura e ribaltamento dei costi. In tal modo, viene fin d'ora a risaltare il generale dovere di adeguatezza patrimoniale come parametro di verifica della correttezza nella gestione da parte degli amministratori del consorzio, rispetto ad un'alea economica congenita al contratto costitutivo della organizzazione che appare profondamente diversa dalla società (lucrativa). In tal modo, la distinzione fra consorzio e società viene a risaltare sul piano sia causale che organizzativo grazie ai concetti di rappresentazione e realizzazione dell'interesse: per "rappresentazione" dell'interesse intendendosi la capacità della organizzazione di fungere da strumento di emersione all'esterno dell'assetto di interessi gerito con lo svolgimento dell'attività; per "realizzazione" invece, la tendenza al perseguimento dello scopo stabilito dal contratto associativo. In tal modo, l'organizzazione del consorzio diviene strumento di rappresentazione dell'interesse consortile e (nello svolgimento dell'attività "per conto") di quello particolare del singolo consorziato; viceversa, l'organizzazione della società non consente il superamento della persona giuridica (ed anche nelle società consortili viene ad applicarsi, secondo la giurisprudenza consolidata, la disciplina del tipo sociale prescelto). La differenza fra il consorzio e la società sussiste tuttavia (ed è anzi rimarcata) anche sul piano finalistico, in quanto la realizzazione della funzione consortile richiede l'osservanza dello scopo consortile di cui all'art. 2602 c.c., cui è connessa (si è visto) una propensione al rischio meno elevata rispetto alla causa lucrativa; valenza causale dello scopo che è oramai espressamente riconosciuta dalla disciplina della trasformazione eterogenea, ed in particolare dal potere di opposizione dei creditori ex art. 2500 novies c.c. da cui risulta evidente che non può consentirsi una deviazione di fatto della gestione dalla causa del contratto associativo. In tal modo, la mutualità consortile viene a distinguersi nettamente anche da quella cooperativa che in virtù della riforma del 2003 ammette oramai espressamente lo svolgimento di un'attività mutualistica non prevalente. Su queste basi, si passa -nel raffronto privilegiato con le società- a ponderare l'ammissibilità di un sistema di protezione dell'interesse, distinguendosi fra una gestione a responsabilità illimitata e solidale del singolo consorziato (ex art. 2615 II co c.c.) ed un'altra a beneficio della responsabilità limitata (art. 2615 I co. c.c.); così addentrandosi nella ricostruzione di una disciplina dell'illecito gestorio nel consorzio. Il punto di partenza è dato, in coerenza con i risultati raggiunti, dalla irriducibilità dell'attività gerita dagli amministratori del consorzio (anche "per conto" del singolo) ad un mandato (rapporto invece riferibile alla nuova fattispecie della rete di imprese); atteso che il consorzio appare istituzionalmente destinato allo svolgimento dell'attività rientrante in entrambi i commi dell'art. 2615 c.c. e nell'osservanza dello scopo stabilito dall'art. 2602 c.c., cosicchè il rapporto gestorio appare essere (come in ogni organizzazione dotata di soggettività giuridica) di natura organica. Dunque, anche alla luce delle disposizioni di legge, il rapporto fra il consorzio ed i suoi amministratori è di natura organica, ed in conseguenza il dovere di buona amministrazione non può che avere (secondo il parametro della diligenza del mandatario, cui espressamente l'art. 2608 c.c. rinvia) per contenuto l'esercizio corretto della funzione consortile secondo la propensione al rischio ed il dovere di controllo dell'adeguatezza patrimoniale nell'osservanza dello scopo di cui all'art. 2602 c.c.. A questo punto, si tratta distintamente della diligenza nella gestione "per conto" del singolo consorziato e di quella nella gestione organizzativa svolta con beneficio di responsabilità limitata. Iniziando così dalla gestione "per conto" del singolo consorziato, si evidenzia come dalla inadempienza del singolo possa derivare l'insufficienza patrimoniale fino all'insolvenza dell'intero gruppo subiettivizzato. Pertanto, in questo tipo di gestione la regola di diligenza finisce per imporre l'adempimento di un dovere di controllo sulla adeguatezza della singola impresa assegnataria (sotto una molteplicità di profili, patrimoniale, tecnico e finanziario), dovere che non sembra potersi limitare all'atto della scelta della impresa in quanto deve proseguire in modo costante nel corso della esecuzione del rapporto: ed è sull'esercizio corretto di questa funzione di controllo da parte dell'organo amministrativo che viene in fondo a stabilirsi il plusvalore della organizzazione consortile rispetto al rapporto contrattuale diretto, per l'affidamento ingenerato nei terzi sul mercato. Passando quindi alla gestione rientrante nel I comma dell'art. 2615 c.c., si ritiene configurabile una responsabilità degli amministratori sia nei confronti del consorzio che nei confronti dei creditori ex art. 2043 c.c., laddove dalla violazione della funzione causale ovvero dall'abuso del beneficio della responsabilità limitata sia derivata la lesione della garanzia patrimoniale per i creditori del consorzio; responsabilità che si ritiene possa estendersi in applicazione analogica dell'art. 2476 c.c. ovvero comunque della regola generale di correttezza ex art. 1375 c.c., ai consorziati che abbiano intenzionalmente deciso ovvero autorizzato atti gestori in danno del consorzio ovvero dei terzi. In chiusura si procede all'analisi dei rimedi processuali azionabili in una situazione di illecito gestorio di gruppo: esclusa la possibilità di una applicazione analogica dell'art. 2409 c.c., si passa a trattare delle azioni di responsabilità e della relativa legittimazione ad agire, che viene anche qui diversificata (in ragione della emersione dell'assetto di interessi gerito) fra la gestione "per conto" e quella organizzativa del consorzio; fino all'eventualità che -in caso di fallimento- nella legittimazione del consorzio (e dei creditori collettivamente considerati) venga a subentrare la curatela fallimentare, rischio sanzionatorio che finisce per fungere da stimolo indiretto ad evitare il compimento di irregolarità gestorie da cui possa dipendere l'apertura di una situazione di crisi.

L'attività consortile tra interessi dei consorziati e danno ai creditori / Doria, Giuseppe. - STAMPA. - (2011).

L'attività consortile tra interessi dei consorziati e danno ai creditori

DORIA, GIUSEPPE
2011

Abstract

Premessi cenni storici sulla evoluzione dell'istituto, l'oggetto della indagine viene identificato nella funzione di integrazione aziendale svolta dal consorzio quale imprenditore collettivo alternativo alle società. Verificata la sussistenza di una autonoma soggettività giuridica, si evidenzia la difficoltà di una riconduzione dell'attività "per conto" del singolo al binomio del mandato; atteso che se così fosse, si sarebbe in presenza di una vistosa deroga alla regola generale dell'art. 1705 c.c.; ed in realtà, visto che l'art. 2615 II co. c.c. stabilisce che delle obbligazioni derivanti da siffatta attività risponde il singolo consorziato nel cui conto si è agito, in solido con il fondo consortile, da ciò si viene a ricavare che l'attività non può che essere svolta in nome del consorzio, e che dunque la responsabilità illimitata e solidale del singolo consorziato si intende in aggiunta a quella del consorzio, così attuando una funzione indiretta di garanzia dei creditori del consorzio (parallelamente a quanto è dato riscontrare nelle società, per la responsabilità illimitata e solidale dei soci). Il rapporto gestorio non è allora riconducibile ad un mandato senza rappresentanza fra i preposti ed i singoli consorziati, perchè se così fosse l'atto sarebbe imputato all'amministratore in qualità di mandatario; e nemmeno ad una rappresentanza individuale (come poi stabilito dalla disciplina della rete di imprese), in quanto l'art. 2615 II co.c.c. prevede che l'atto è concluso "per conto" (e cioè nell'interesse particolare) e non anche in nome del singolo consorziato. Anche in tale sfera di attività dunque si è in presenza di un'impresa (collettiva) svolta dal consorzio in nome proprio sia pure "per conto" del singolo consorziato: il rapporto interno fra consorzio e singolo consorziato ha dunque natura subcontrattuale e presuppone in genere un atto di assegnazione con cui il consorzio procede alla devoluzione (senza perciò attuare una cessione del contratto, e restando dunque parte contraente rispetto al terzo) l'esecuzione delle prestazioni negoziali derivanti dal rapporto assunto, ad una o più imprese consorziate. In ragione della operatività della regola della spendita del nome tipicamente connessa all'esercizio della impresa collettiva, l'organizzazione consortile si viene a caricare del rischio di quell'attività che ancorchè nell'interesse particolare del singolo resta in ogni caso imputata imputata al consorzio (in tutti i suoi effetti, attivi e passivi), fino a poter generare una situazione di insolvenza. Dall'analisi degli effetti passivi dell'attività consortile dunque, si deduce la sussistenza di un interesse propriamente associativo che viene ad essere identificato (cd. interesse consortile) nella protezione, sviluppo e rafforzamento del gruppo delle imprese consorziate, e si risale così al piano gestorio. Ne deriva che nello svolgimento dell'attività consortile "per conto" del singolo consorziato è dato riscontrare la sussistenza di una duplicità di interessi legati da un vincolo di complementarietà, da cui vengono a scaturire una serie di conseguenze: primo, la distinzione fra il potere di disporre del consorzio (assunzione del rapporto contrattuale dall'esterno ed assegnazione all'interno) e quello del singolo consorziato (l'esposizione alla responsabilità illimitata e solidale presuppone la prestazione di un consenso individuale da parte del singolo, anche risultante per facta concludentia con l'esecuzione delle prestazioni contrattuali, che non appare riducibile ad un mandato, potendo intervenire anche successivamente all'assunzione della iniziativa da parte del consorzio, nè ad una autorizzazione a disporre); secondo, la subordinazione dell'interesse particolare a quello consortile (lo svolgimento dell'atto "per conto" del singolo proprio perchè appare oramai chiaro che non realizza un rapporto di mandato ma avviene nell'ambito della gestione associativa del consorzio , presuppone che l'atto sia nell'osservanza dell'interesse consortile); terzo, è in ragione del vincolo di complementarietà fra gli interessi che viene in fondo a spiegarsi la solidarietà disposta ex lege a tutela dei creditori del consorzio; quarto, l'inosservanza di tale nesso di complementarietà si traduce nella violazione dell'interesse consortile, e viene a fungere così da presupposto per la configurabilità della responsabilità degli amministratori del consorzio. Ai fini quindi di una ricostruzione della disciplina dell'illecito gestorio nel consorzio, in assenza di alcuna normativa si procede anzi tutto alla identificazione della natura dell'interesse associativo, che qualificandosi in termini economici (per essere essenzialmente il gruppo consortile un gruppo chiuso, rivolto al perseguimento di un lucro indiretto) comporta l'inapplicabilità della disciplina degli enti del libro I del codice civile e sembra invece fondare il presupposto per un accostamento privilegiato con le società. Ribadita dunque la valenza del concetto in generale di interesse collettivo (anche alla luce della riforma del d.lgs. n.6 del 2003) nella impostazione tradizionale di studio del contratto associativo, si passa a verificare le differenze fra il consorzio e la società. In primis, tramite l'analisi del meccanismo di acquisizione delle risorse patrimoniali: nelle società si assiste ad una funzione economica di investimento data dal conferimento con un'alea di rischio dipendente dalla destinazione dell'attività al lucro; mentre nei consorzi non è previsto nè il capitale nè l'obbligo di conferimento, ed il meccanismo di acquisizione delle risorse patrimoniale per il tramite della contribuzione, risponde ad una logica economica inversa, di copertura e ribaltamento dei costi. In tal modo, viene fin d'ora a risaltare il generale dovere di adeguatezza patrimoniale come parametro di verifica della correttezza nella gestione da parte degli amministratori del consorzio, rispetto ad un'alea economica congenita al contratto costitutivo della organizzazione che appare profondamente diversa dalla società (lucrativa). In tal modo, la distinzione fra consorzio e società viene a risaltare sul piano sia causale che organizzativo grazie ai concetti di rappresentazione e realizzazione dell'interesse: per "rappresentazione" dell'interesse intendendosi la capacità della organizzazione di fungere da strumento di emersione all'esterno dell'assetto di interessi gerito con lo svolgimento dell'attività; per "realizzazione" invece, la tendenza al perseguimento dello scopo stabilito dal contratto associativo. In tal modo, l'organizzazione del consorzio diviene strumento di rappresentazione dell'interesse consortile e (nello svolgimento dell'attività "per conto") di quello particolare del singolo consorziato; viceversa, l'organizzazione della società non consente il superamento della persona giuridica (ed anche nelle società consortili viene ad applicarsi, secondo la giurisprudenza consolidata, la disciplina del tipo sociale prescelto). La differenza fra il consorzio e la società sussiste tuttavia (ed è anzi rimarcata) anche sul piano finalistico, in quanto la realizzazione della funzione consortile richiede l'osservanza dello scopo consortile di cui all'art. 2602 c.c., cui è connessa (si è visto) una propensione al rischio meno elevata rispetto alla causa lucrativa; valenza causale dello scopo che è oramai espressamente riconosciuta dalla disciplina della trasformazione eterogenea, ed in particolare dal potere di opposizione dei creditori ex art. 2500 novies c.c. da cui risulta evidente che non può consentirsi una deviazione di fatto della gestione dalla causa del contratto associativo. In tal modo, la mutualità consortile viene a distinguersi nettamente anche da quella cooperativa che in virtù della riforma del 2003 ammette oramai espressamente lo svolgimento di un'attività mutualistica non prevalente. Su queste basi, si passa -nel raffronto privilegiato con le società- a ponderare l'ammissibilità di un sistema di protezione dell'interesse, distinguendosi fra una gestione a responsabilità illimitata e solidale del singolo consorziato (ex art. 2615 II co c.c.) ed un'altra a beneficio della responsabilità limitata (art. 2615 I co. c.c.); così addentrandosi nella ricostruzione di una disciplina dell'illecito gestorio nel consorzio. Il punto di partenza è dato, in coerenza con i risultati raggiunti, dalla irriducibilità dell'attività gerita dagli amministratori del consorzio (anche "per conto" del singolo) ad un mandato (rapporto invece riferibile alla nuova fattispecie della rete di imprese); atteso che il consorzio appare istituzionalmente destinato allo svolgimento dell'attività rientrante in entrambi i commi dell'art. 2615 c.c. e nell'osservanza dello scopo stabilito dall'art. 2602 c.c., cosicchè il rapporto gestorio appare essere (come in ogni organizzazione dotata di soggettività giuridica) di natura organica. Dunque, anche alla luce delle disposizioni di legge, il rapporto fra il consorzio ed i suoi amministratori è di natura organica, ed in conseguenza il dovere di buona amministrazione non può che avere (secondo il parametro della diligenza del mandatario, cui espressamente l'art. 2608 c.c. rinvia) per contenuto l'esercizio corretto della funzione consortile secondo la propensione al rischio ed il dovere di controllo dell'adeguatezza patrimoniale nell'osservanza dello scopo di cui all'art. 2602 c.c.. A questo punto, si tratta distintamente della diligenza nella gestione "per conto" del singolo consorziato e di quella nella gestione organizzativa svolta con beneficio di responsabilità limitata. Iniziando così dalla gestione "per conto" del singolo consorziato, si evidenzia come dalla inadempienza del singolo possa derivare l'insufficienza patrimoniale fino all'insolvenza dell'intero gruppo subiettivizzato. Pertanto, in questo tipo di gestione la regola di diligenza finisce per imporre l'adempimento di un dovere di controllo sulla adeguatezza della singola impresa assegnataria (sotto una molteplicità di profili, patrimoniale, tecnico e finanziario), dovere che non sembra potersi limitare all'atto della scelta della impresa in quanto deve proseguire in modo costante nel corso della esecuzione del rapporto: ed è sull'esercizio corretto di questa funzione di controllo da parte dell'organo amministrativo che viene in fondo a stabilirsi il plusvalore della organizzazione consortile rispetto al rapporto contrattuale diretto, per l'affidamento ingenerato nei terzi sul mercato. Passando quindi alla gestione rientrante nel I comma dell'art. 2615 c.c., si ritiene configurabile una responsabilità degli amministratori sia nei confronti del consorzio che nei confronti dei creditori ex art. 2043 c.c., laddove dalla violazione della funzione causale ovvero dall'abuso del beneficio della responsabilità limitata sia derivata la lesione della garanzia patrimoniale per i creditori del consorzio; responsabilità che si ritiene possa estendersi in applicazione analogica dell'art. 2476 c.c. ovvero comunque della regola generale di correttezza ex art. 1375 c.c., ai consorziati che abbiano intenzionalmente deciso ovvero autorizzato atti gestori in danno del consorzio ovvero dei terzi. In chiusura si procede all'analisi dei rimedi processuali azionabili in una situazione di illecito gestorio di gruppo: esclusa la possibilità di una applicazione analogica dell'art. 2409 c.c., si passa a trattare delle azioni di responsabilità e della relativa legittimazione ad agire, che viene anche qui diversificata (in ragione della emersione dell'assetto di interessi gerito) fra la gestione "per conto" e quella organizzativa del consorzio; fino all'eventualità che -in caso di fallimento- nella legittimazione del consorzio (e dei creditori collettivamente considerati) venga a subentrare la curatela fallimentare, rischio sanzionatorio che finisce per fungere da stimolo indiretto ad evitare il compimento di irregolarità gestorie da cui possa dipendere l'apertura di una situazione di crisi.
2011
9788849522938
L'attività consortile tra interessi dei consorziati e danno ai creditori / Doria, Giuseppe. - STAMPA. - (2011).
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