La violenza e le discriminazioni rappresentano soltanto l’espressione agita ed evidente di un’oppressione sociale, che trova il suo fondamento nella negazione di identità altre e nel tentativo di imporre una cultura etero centrica. Questa considerazione generale è stata resa molto evidente dai risultati di una precedente ricerca condotta per il centro per l’inclusione attiva e partecipata degli studenti SInAPSI di Napoli. La ricerca, che attraverso il dispositivo metodologico della narrazione autobiografica ha raccolto le storie di vita di studenti universitari omosessuali, ha sottolineato come per tutti i protagonisti il particolare passaggio evolutivo della persona dell’adolescenza, che maggiormente si caratterizza per le scelte e la costruzione della propria identità che non può prescindere dalle tendenze e dai desideri sessuali soggettivi, sia stato caratterizzato dalle difficoltà che ragazzi e ragazze omosessuali sono costretti ad affrontare. Negare in questo periodo delicato della crescita, la possibilità di costruirsi una propria identità a causa di pregiudizi culturali, significa operare un’azione di violenza prima di tutto simbolica e rendersi complici di una sottointesa cultura omofobica e discriminatoria. Adolescenza e omosessualità sembrano i due termini all’interno dei quali cresce una doppia esclusione: da un lato l’adolescenza interpretata spesso solo come fase di crescita, come transito, e dall’altro l’omosessualità considerata una deviazione transitoria rispetto al normale e socialmente imposto sviluppo eterosessuale. Agevolare tale riconoscimento dovrebbe essere uno dei compiti dell’educazione intesa come “quella particolare pratica attraverso la quale gli individui umani sono condotti a pensarsi, concepirsi e agire come soggetti”(Mantegazza 1998). A mio avviso, due sono le componenti educative fondamentali di cui si sente la mancanza, soprattutto nella contemporanea Italia meridionale: da un lato i luoghi, intesi come spazi fisici di confronto e socializzazione liberi dai pregiudizi omofobici ma anche come occasioni di autoriflessione sul proprio processo di soggettivazione. Dall’altro, grandi assenti nei percorsi educativi, sono i modelli adulti positivi di riferimento che siano in grado di accompagnare e sostenere gli adolescenti che si interrogano sulla loro identità sessuale nelle avversità causate da una cultura ostile all’amore omosessuale. “Nella soggettivazione di questi adolescenti si produce una sorta di scacco formativo causato dal fatto che la famiglia, le istituzioni scolastiche, le amicizie, la società in genere, contrastano anziché facilitare la riflessività e la consapevolezza del desiderio omosessuale e l’autonomia responsabile di questi adolescenti, ostacolandone lo sviluppo interiore, candidandoli potenzialmente ad un senso di disagio”(Burgio 2008). Infatti, “la persona omosessuale non è mai attesa e viene educata dando per scontato un suo orientamento eterosessuale”(Pivetta 1998). Ciò risulta ancora più evidente se considerato all’interno della cultura italiana caratterizzata, anche secondo studiosi internazionali, da due fattori principali: “la presenza, nel tessuto sociale italiano, di modelli di identità di genere di tipo tradizionale”(Trappolin 2004), il modello di famiglia tradizionale vissuto come unico e vincolante, gli stereotipi di genere che vogliono cancellare ogni traccia di femminilità nell’uomo e viceversa; e “la forte influenza della Chiesa cattolica nella costruzione di un clima culturale di tolleranza repressiva”(Trappolin 2004). Il silenzio della pedagogia su questo tema produce un deficit educativo sul quale la mia ricerca intende indagare, verificando le ipotesi teoriche illustrate attraverso la raccolta di interviste narrative a soggetti adolescenti che si riconoscono come omosessuali. Se l’identità omosessuale va costruita a partire da un contesto di appartenenza marcatamente eterosessuale e spesso discriminante, essa diventa il frutto di un apprendimento basato sulla ristrutturazione degli assunti interiorizzati tramite la socializzazione di contenuti differenti. In altre parole questi ragazzi devono apprendere ad essere omosessuali in maniera forse più complessa di quanto i loro coetanei apprendono ad essere eterosessuali. Senza il supporto di una pedagogia che aiuti ad interpretare il loro cambiamento, il processo formativo rischia di dar vita ad esperienze di “adolescenza sacrificata” (Coleman 1983) e di far perdere all’educazione la sua forza emancipatrice.
I luoghi e non luoghi della costruzione dell'identità negli adolescenti omosessuali dell'Italia meridionale: uno sguardo pedagogico / Maltese, Stefano. - (2011). ( Verso la costruzione di una rete per prevenire e contrastare le discriminazioni nei riguardi del genere e dell'orientamento sessuale Napoli 07/10/2011).
I luoghi e non luoghi della costruzione dell'identità negli adolescenti omosessuali dell'Italia meridionale: uno sguardo pedagogico
MALTESE, STEFANO
2011
Abstract
La violenza e le discriminazioni rappresentano soltanto l’espressione agita ed evidente di un’oppressione sociale, che trova il suo fondamento nella negazione di identità altre e nel tentativo di imporre una cultura etero centrica. Questa considerazione generale è stata resa molto evidente dai risultati di una precedente ricerca condotta per il centro per l’inclusione attiva e partecipata degli studenti SInAPSI di Napoli. La ricerca, che attraverso il dispositivo metodologico della narrazione autobiografica ha raccolto le storie di vita di studenti universitari omosessuali, ha sottolineato come per tutti i protagonisti il particolare passaggio evolutivo della persona dell’adolescenza, che maggiormente si caratterizza per le scelte e la costruzione della propria identità che non può prescindere dalle tendenze e dai desideri sessuali soggettivi, sia stato caratterizzato dalle difficoltà che ragazzi e ragazze omosessuali sono costretti ad affrontare. Negare in questo periodo delicato della crescita, la possibilità di costruirsi una propria identità a causa di pregiudizi culturali, significa operare un’azione di violenza prima di tutto simbolica e rendersi complici di una sottointesa cultura omofobica e discriminatoria. Adolescenza e omosessualità sembrano i due termini all’interno dei quali cresce una doppia esclusione: da un lato l’adolescenza interpretata spesso solo come fase di crescita, come transito, e dall’altro l’omosessualità considerata una deviazione transitoria rispetto al normale e socialmente imposto sviluppo eterosessuale. Agevolare tale riconoscimento dovrebbe essere uno dei compiti dell’educazione intesa come “quella particolare pratica attraverso la quale gli individui umani sono condotti a pensarsi, concepirsi e agire come soggetti”(Mantegazza 1998). A mio avviso, due sono le componenti educative fondamentali di cui si sente la mancanza, soprattutto nella contemporanea Italia meridionale: da un lato i luoghi, intesi come spazi fisici di confronto e socializzazione liberi dai pregiudizi omofobici ma anche come occasioni di autoriflessione sul proprio processo di soggettivazione. Dall’altro, grandi assenti nei percorsi educativi, sono i modelli adulti positivi di riferimento che siano in grado di accompagnare e sostenere gli adolescenti che si interrogano sulla loro identità sessuale nelle avversità causate da una cultura ostile all’amore omosessuale. “Nella soggettivazione di questi adolescenti si produce una sorta di scacco formativo causato dal fatto che la famiglia, le istituzioni scolastiche, le amicizie, la società in genere, contrastano anziché facilitare la riflessività e la consapevolezza del desiderio omosessuale e l’autonomia responsabile di questi adolescenti, ostacolandone lo sviluppo interiore, candidandoli potenzialmente ad un senso di disagio”(Burgio 2008). Infatti, “la persona omosessuale non è mai attesa e viene educata dando per scontato un suo orientamento eterosessuale”(Pivetta 1998). Ciò risulta ancora più evidente se considerato all’interno della cultura italiana caratterizzata, anche secondo studiosi internazionali, da due fattori principali: “la presenza, nel tessuto sociale italiano, di modelli di identità di genere di tipo tradizionale”(Trappolin 2004), il modello di famiglia tradizionale vissuto come unico e vincolante, gli stereotipi di genere che vogliono cancellare ogni traccia di femminilità nell’uomo e viceversa; e “la forte influenza della Chiesa cattolica nella costruzione di un clima culturale di tolleranza repressiva”(Trappolin 2004). Il silenzio della pedagogia su questo tema produce un deficit educativo sul quale la mia ricerca intende indagare, verificando le ipotesi teoriche illustrate attraverso la raccolta di interviste narrative a soggetti adolescenti che si riconoscono come omosessuali. Se l’identità omosessuale va costruita a partire da un contesto di appartenenza marcatamente eterosessuale e spesso discriminante, essa diventa il frutto di un apprendimento basato sulla ristrutturazione degli assunti interiorizzati tramite la socializzazione di contenuti differenti. In altre parole questi ragazzi devono apprendere ad essere omosessuali in maniera forse più complessa di quanto i loro coetanei apprendono ad essere eterosessuali. Senza il supporto di una pedagogia che aiuti ad interpretare il loro cambiamento, il processo formativo rischia di dar vita ad esperienze di “adolescenza sacrificata” (Coleman 1983) e di far perdere all’educazione la sua forza emancipatrice.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


