Un tema senza tempo, il rapporto del giudice con la legge nell'esercizio giurisdizionale della sua applicazione, è indagato nell'ambito di un'esperienza storica ben determinata, quella della cultura giuridica italiana del primo Novecento, e dei rapporti, tutt'altro che facili al suo interno, tra filosofia e scienza del diritto. In primo piano, a connotare la specificità del contesto così circoscritto, nel più ampio panorama, non solo europeo, degli ultimi sviluppi del positivismo giuridico e della sua definitiva crisi, l'influenza esercitata in Italia, anche sui giuristi, dal pensiero di Benedetto Croce. La prospettiva generale dell'indagine, l'analisi del consolidamento e della crisi di un paradigma essenziale del pensiero giuridico moderno, quello della decisione giudiziale quale esito di un ragionamento rigoroso, condotto secondo uno schema sillogistico, opportunamente integrato da un atto della volontà del giudice, distingue e coordina le due parti della ricerca. Nella prima, questa rappresentazione logico-imperativa della sentenza civile, quindi il radicamento di una precisa ideologia del processo, a seguito di una torsione, consumata nel solco della tradizione giuridica liberale, nella concettualizzazione del rapporto tra il giudice e la legge, sono presi in esame a partire dalla ricostruzione di un'interessante riflessione, condotta dalla scienza del diritto italiana dei primi anni del secolo, concernente la natura della funzione giurisdizionale. Maturata nell'ambito delle discussioni circa la controversa interpretazione della competenza di un peculiare istituto della giustizia amministrativa, la IV Sezione del Consiglio di Stato, tale riflessione ha progressivamente coinvolto alcuni tra i più autorevoli giuristi del tempo, da Vittorio Scialoja a Giuseppe Chiovenda, portando un contributo assai rilevante a quel laboratorio di idee nel quale sarebbe venuta delineandosi la transizione «dalla procedura al diritto processuale». Così inquadrata, attraverso la selezione di alcuni svolgimenti decisivi, questa intensa stagione di revisione metodologica, da cui sarebbe scaturita la matrice scientifica e disciplinare dei moderni studi sul processo civile in Italia, con il rafforzamento della comunità dei processualisti e il rinnovamento dell???insegnamento del diritto processuale nelle facoltà giuridiche delle Università del Regno, è messo a fuoco il contributo determinante, nell'elaborazione logica e dogmatica del paradigma giurisdizionale, di studiosi come Piero Calamandrei e Francesco Carnelutti. A lungo impegnati in un vivace e proficuo confronto sulla struttura e il processo di formazione della sentenza, Calamandrei e Carnelutti hanno speso le loro energie, in primo luogo, nella valutazione critica della rappresentazione del ragionamento da cui sarebbe scaturita la decisione giudiziale, rilevando il carattere semplicistico della sua riduzione a un unico sillogismo, quindi scomponendo l'attività mentale del giudice in una serie di operazioni deduttive tra loro concatenate. Mediante un'accurata analisi dell???impianto logico del processo civile, essi hanno dunque elaborato classificazioni differenti, ma parimenti articolate, dei giudizi coinvolti nella genesi della sentenza, funzionali alla più rigorosa determinazione delle ipotesi di errore nelle diverse componenti delle inferenze prese in considerazione. In secondo luogo, così investigato l'elemento logico della decisione giudiziale, i due studiosi hanno dedicato particolare cura alla controversa questione della sua interazione con un elemento volitivo, proponendo, nel quadro di una più ampia concettualizzazione del problema, ulteriori argomenti a sostegno della riconducibilità del contenuto del comando, nell'accertamento della volontà della legge, alla manifestazione di una volontà del giudice. Nella seconda parte della ricerca l'attenzione è volta alla progressiva affermazione, nella cultura giuridica italiana, di una nuova generazione di studiosi, pur educata alla scuola della più autorevole scienza giuridica, ma al tempo stesso particolarmente sensibile agli insegnamenti filosofici dell'idealismo storicistico: svettano, su tutti, i nomi del giurista e storico del diritto Emilio Betti e del filosofo Guido Calogero, i quali, con metodi tra loro differenti, e risultati in larga misura non conciliabili, hanno sottoposto a una severa critica l'immagine della sentenza civile allora dominante, al fine di intendere, in confronto dialettico con la lezione di Croce, la concreta razionalità della decisione giudiziale. Non più disposti a ragionare entro il campo teorico circoscritto dal paradigma, i due sono tornati a interrogarsi sulle sue premesse filosofiche, soffermandosi, tanto sulla reale logicità dell'opera d'intelletto svolta dal giudice, quanto sull'ipotizzato coinvolgimento della sua volontà. Mettendo in discussione lo schema sillogistico, Betti ha preso le distanze dal modello consolidato, facendo salva la priorità dei giudizi d'interpretazione della norma, astratta e generale, rispetto ai giudizi d'individuazione della stessa in concreto, e rielaborando la transizione dagli uni agli altri, nella qualificazione giuridica della situazione di fatto, mediante giudizi di classificazione, che avrebbero operato, secondo la sua personale rivisitazione del potenziale euristico di tale categoria crociana, il passaggio dall'astratto al concreto, la riconduzione del particolare nel generale. In aperta polemica con i risultati conseguiti dal giurista camerte, del quale ha mostrato di apprezzare, per altro, l'uso dei concetti attinti alla logica di Croce, meglio rispondenti all'effettivo operare mentale del giudice, Calogero ha inteso rielaborare la razionalità della decisione giudiziale, dalla meccanica fatalità deduttiva alla logica del giudizio sussuntivo, criticando la rappresentazione della dualità delle premesse, e la riconduzione dell'unico giudizio tra le componenti di un ragionamento sillogistico. Di particolare interesse, tra le reazioni nei confronti del libro di Calogero e delle polemiche dallo stesso suscitate, l'intervento di Calamandrei circa il rapporto, problematicamente analogico, tra il giudice e lo storico. Il lavoro, che svolge in sede teoretica un'approfondita riflessione sulla natura dell'atto giurisdizionale, la sua autentica consistenza logica e il fondamento del suo valore imperativo, documenta in sede storica l'esperienza di una singolare interferenza, complessa e feconda, tra filosofia e scienza del diritto, offrendo un contributo alla comprensione dei rapporti reali tra il magistero di Croce e la cultura giuridica italiana, attento alla specificità tecnica dei problemi indagati e distante dalla sterile rappresentazione del contrasto tra intellettuali crociani e anticrociani. In appendice una raccolta di documenti inediti, prevalentemente di carattere epistolare, fornisce ulteriori strumenti utili alla ricostruzione dell'intera vicenda.
Il giudice e la legge. Consolidamento e crisi di un paradigma nella cultura giuridica italiana del primo Novecento / Nitsch, Carlo. - (2012).
Il giudice e la legge. Consolidamento e crisi di un paradigma nella cultura giuridica italiana del primo Novecento
NITSCH, CARLO
2012
Abstract
Un tema senza tempo, il rapporto del giudice con la legge nell'esercizio giurisdizionale della sua applicazione, è indagato nell'ambito di un'esperienza storica ben determinata, quella della cultura giuridica italiana del primo Novecento, e dei rapporti, tutt'altro che facili al suo interno, tra filosofia e scienza del diritto. In primo piano, a connotare la specificità del contesto così circoscritto, nel più ampio panorama, non solo europeo, degli ultimi sviluppi del positivismo giuridico e della sua definitiva crisi, l'influenza esercitata in Italia, anche sui giuristi, dal pensiero di Benedetto Croce. La prospettiva generale dell'indagine, l'analisi del consolidamento e della crisi di un paradigma essenziale del pensiero giuridico moderno, quello della decisione giudiziale quale esito di un ragionamento rigoroso, condotto secondo uno schema sillogistico, opportunamente integrato da un atto della volontà del giudice, distingue e coordina le due parti della ricerca. Nella prima, questa rappresentazione logico-imperativa della sentenza civile, quindi il radicamento di una precisa ideologia del processo, a seguito di una torsione, consumata nel solco della tradizione giuridica liberale, nella concettualizzazione del rapporto tra il giudice e la legge, sono presi in esame a partire dalla ricostruzione di un'interessante riflessione, condotta dalla scienza del diritto italiana dei primi anni del secolo, concernente la natura della funzione giurisdizionale. Maturata nell'ambito delle discussioni circa la controversa interpretazione della competenza di un peculiare istituto della giustizia amministrativa, la IV Sezione del Consiglio di Stato, tale riflessione ha progressivamente coinvolto alcuni tra i più autorevoli giuristi del tempo, da Vittorio Scialoja a Giuseppe Chiovenda, portando un contributo assai rilevante a quel laboratorio di idee nel quale sarebbe venuta delineandosi la transizione «dalla procedura al diritto processuale». Così inquadrata, attraverso la selezione di alcuni svolgimenti decisivi, questa intensa stagione di revisione metodologica, da cui sarebbe scaturita la matrice scientifica e disciplinare dei moderni studi sul processo civile in Italia, con il rafforzamento della comunità dei processualisti e il rinnovamento dell???insegnamento del diritto processuale nelle facoltà giuridiche delle Università del Regno, è messo a fuoco il contributo determinante, nell'elaborazione logica e dogmatica del paradigma giurisdizionale, di studiosi come Piero Calamandrei e Francesco Carnelutti. A lungo impegnati in un vivace e proficuo confronto sulla struttura e il processo di formazione della sentenza, Calamandrei e Carnelutti hanno speso le loro energie, in primo luogo, nella valutazione critica della rappresentazione del ragionamento da cui sarebbe scaturita la decisione giudiziale, rilevando il carattere semplicistico della sua riduzione a un unico sillogismo, quindi scomponendo l'attività mentale del giudice in una serie di operazioni deduttive tra loro concatenate. Mediante un'accurata analisi dell???impianto logico del processo civile, essi hanno dunque elaborato classificazioni differenti, ma parimenti articolate, dei giudizi coinvolti nella genesi della sentenza, funzionali alla più rigorosa determinazione delle ipotesi di errore nelle diverse componenti delle inferenze prese in considerazione. In secondo luogo, così investigato l'elemento logico della decisione giudiziale, i due studiosi hanno dedicato particolare cura alla controversa questione della sua interazione con un elemento volitivo, proponendo, nel quadro di una più ampia concettualizzazione del problema, ulteriori argomenti a sostegno della riconducibilità del contenuto del comando, nell'accertamento della volontà della legge, alla manifestazione di una volontà del giudice. Nella seconda parte della ricerca l'attenzione è volta alla progressiva affermazione, nella cultura giuridica italiana, di una nuova generazione di studiosi, pur educata alla scuola della più autorevole scienza giuridica, ma al tempo stesso particolarmente sensibile agli insegnamenti filosofici dell'idealismo storicistico: svettano, su tutti, i nomi del giurista e storico del diritto Emilio Betti e del filosofo Guido Calogero, i quali, con metodi tra loro differenti, e risultati in larga misura non conciliabili, hanno sottoposto a una severa critica l'immagine della sentenza civile allora dominante, al fine di intendere, in confronto dialettico con la lezione di Croce, la concreta razionalità della decisione giudiziale. Non più disposti a ragionare entro il campo teorico circoscritto dal paradigma, i due sono tornati a interrogarsi sulle sue premesse filosofiche, soffermandosi, tanto sulla reale logicità dell'opera d'intelletto svolta dal giudice, quanto sull'ipotizzato coinvolgimento della sua volontà. Mettendo in discussione lo schema sillogistico, Betti ha preso le distanze dal modello consolidato, facendo salva la priorità dei giudizi d'interpretazione della norma, astratta e generale, rispetto ai giudizi d'individuazione della stessa in concreto, e rielaborando la transizione dagli uni agli altri, nella qualificazione giuridica della situazione di fatto, mediante giudizi di classificazione, che avrebbero operato, secondo la sua personale rivisitazione del potenziale euristico di tale categoria crociana, il passaggio dall'astratto al concreto, la riconduzione del particolare nel generale. In aperta polemica con i risultati conseguiti dal giurista camerte, del quale ha mostrato di apprezzare, per altro, l'uso dei concetti attinti alla logica di Croce, meglio rispondenti all'effettivo operare mentale del giudice, Calogero ha inteso rielaborare la razionalità della decisione giudiziale, dalla meccanica fatalità deduttiva alla logica del giudizio sussuntivo, criticando la rappresentazione della dualità delle premesse, e la riconduzione dell'unico giudizio tra le componenti di un ragionamento sillogistico. Di particolare interesse, tra le reazioni nei confronti del libro di Calogero e delle polemiche dallo stesso suscitate, l'intervento di Calamandrei circa il rapporto, problematicamente analogico, tra il giudice e lo storico. Il lavoro, che svolge in sede teoretica un'approfondita riflessione sulla natura dell'atto giurisdizionale, la sua autentica consistenza logica e il fondamento del suo valore imperativo, documenta in sede storica l'esperienza di una singolare interferenza, complessa e feconda, tra filosofia e scienza del diritto, offrendo un contributo alla comprensione dei rapporti reali tra il magistero di Croce e la cultura giuridica italiana, attento alla specificità tecnica dei problemi indagati e distante dalla sterile rappresentazione del contrasto tra intellettuali crociani e anticrociani. In appendice una raccolta di documenti inediti, prevalentemente di carattere epistolare, fornisce ulteriori strumenti utili alla ricostruzione dell'intera vicenda.File | Dimensione | Formato | |
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