Il saggio affronta il complesso tema delle relazioni tra giudizio dissenziente, certezza del diritto, ragionamento giuridico giudiziale, con la consapevolezza che la moltiplicazione delle fonti ha portato con sé una frattura con la tradizione giuridica e politica dello Stato di diritto continentale ed un avvicinamento (non anche la uniformazione) alle tradizioni di common law; le quali, a loro volta, hanno determinato un mutamento ed un incremento della funzione giudiziale – soprattutto di quella ermeneutica – che chiama il giudice ad un’opera di adeguamento del diritto alla realtà sociale che abbandoni la versione del vincolo centrata esclusivamente sulla legge e sulla legge nazionale. I problemi posti da quelle relazioni (cfr. la presentazione del progetto, All. 1) sono risolti alla luce dell’art. 125 comma 5 c.p.p. che normativizza la dissenting nel caso di provvedimenti collegiali emessi dalle giurisdizioni di merito e dalla Corte di cassazione, nonostante nell’ultima parte (del comma 5) la stessa disposizione ne impedisca l’espressione in forma pubblica e motivata; vieta, cioè, di rendere conoscibili i dissensi al di fuori della camera di consiglio. Le speculazioni sulla norma, a loro volta orientate sui versanti valore della segretezza-giustezza del processo-struttura del sistema del controllo di merito; decisione-motivazione; dissenting-intangibilità del giudicato ammettono la opportunità di mantenere inalterata la regola di comportamento dettata nei commi 4 e 5 dell’art. 125 c.p.p. nelle giurisdizioni di merito, mentre non la giustificano rispetto a quelle di legalità e di legittimità, dove quella appare pregiudicante della unità plurale della interpretazione, considerata la rilevanza dell’opinione dissenziente nella costruzione giurisprudenziale del diritto, nell’opera evolutiva del diritto, sulla certezza del diritto stesso. Fronte altro rappresenta il tema della responsabilità civile del magistrato che pure si risolve in parziale controtendenza rispetto agli approdi della dottrina prevalente. Ancora. La consapevolezza che il multiculturalismo comporti comunicazione crescente fra gli ordinamenti nazionali, fra le differenti espressioni della tradizione giuridica europea confluite nel sistema dei Trattati europei e, in un’area più larga, nel sistema della CEDU; e che la combinazione tra gli stili argomentativi delle Corti dei singoli Stati membri segnino la dogmatica del pluralismo ermeneutico sempre più in evoluzione giustifica la prospettiva comparatistica. Epperò, si ricorre alla comparazione non per speculare sulla struttura della dissenting opinion nei Paesi scelti come riferimento – Germania e Spagna –, per metterne in luce la struttura e/o per scoprirne i nessi funzionali soggiacenti; il fine, viceversa, è culturale, è politico, favorisce esclusivamente le riflessioni sulle prospettive e sulle modalità di introduzione della categoria dell’opinione dissenziente nelle giurisdizioni superiori, senza per questo avere eco nell’analisi normativa e nella riforma, sul punto, dell’ordinamento interno. Infine. Il rapporto tra opinione del giudice-preclusioni probatorie che deriva dalle relazioni tra segretezza e giudizio, nella misura in cui la prima riguarda le modalità della deliberazione collegiale, caratterizza l’attività decisionale della camera di consiglio e la motivazione del suo epilogo precludendo la esternazione delle opinioni e del risultato della votazione con cui è stata assunta la decisione, si risolve alla luce del combinato disposto degli artt. 125, comma 5; 191; 187; 331 c.p.p.; non anche dell’art. 201 c.p.p.. La linea normativa rileva una preclusione dichiarativa in capo al giudice che ha partecipato alla camera di consiglio, garantita dalla inutilizzabilità della testimonianza in merito al procedimento formativo della deliberazione collegiale. Il divieto probatorio è rationale, fisiologico, nella misura in cui investe l’opinione (= fatto del giudice), non anche il fatto del processo (= imputazione). Non è un caso che quando la testimonianza riguardi il fatto, cioè il reato e la sua imputazione, la preclusione cade.
SEGRETO DELLA CAMERA DI CONSIGLIO ED OPINIONE DISSENZIENTE. Un rapporto da (ri)meditare per le decisioni delle Corti superiori / Falato, Fabiana. - 8:(2016), pp. 1-80.
SEGRETO DELLA CAMERA DI CONSIGLIO ED OPINIONE DISSENZIENTE. Un rapporto da (ri)meditare per le decisioni delle Corti superiori.
FALATO, FABIANA
2016
Abstract
Il saggio affronta il complesso tema delle relazioni tra giudizio dissenziente, certezza del diritto, ragionamento giuridico giudiziale, con la consapevolezza che la moltiplicazione delle fonti ha portato con sé una frattura con la tradizione giuridica e politica dello Stato di diritto continentale ed un avvicinamento (non anche la uniformazione) alle tradizioni di common law; le quali, a loro volta, hanno determinato un mutamento ed un incremento della funzione giudiziale – soprattutto di quella ermeneutica – che chiama il giudice ad un’opera di adeguamento del diritto alla realtà sociale che abbandoni la versione del vincolo centrata esclusivamente sulla legge e sulla legge nazionale. I problemi posti da quelle relazioni (cfr. la presentazione del progetto, All. 1) sono risolti alla luce dell’art. 125 comma 5 c.p.p. che normativizza la dissenting nel caso di provvedimenti collegiali emessi dalle giurisdizioni di merito e dalla Corte di cassazione, nonostante nell’ultima parte (del comma 5) la stessa disposizione ne impedisca l’espressione in forma pubblica e motivata; vieta, cioè, di rendere conoscibili i dissensi al di fuori della camera di consiglio. Le speculazioni sulla norma, a loro volta orientate sui versanti valore della segretezza-giustezza del processo-struttura del sistema del controllo di merito; decisione-motivazione; dissenting-intangibilità del giudicato ammettono la opportunità di mantenere inalterata la regola di comportamento dettata nei commi 4 e 5 dell’art. 125 c.p.p. nelle giurisdizioni di merito, mentre non la giustificano rispetto a quelle di legalità e di legittimità, dove quella appare pregiudicante della unità plurale della interpretazione, considerata la rilevanza dell’opinione dissenziente nella costruzione giurisprudenziale del diritto, nell’opera evolutiva del diritto, sulla certezza del diritto stesso. Fronte altro rappresenta il tema della responsabilità civile del magistrato che pure si risolve in parziale controtendenza rispetto agli approdi della dottrina prevalente. Ancora. La consapevolezza che il multiculturalismo comporti comunicazione crescente fra gli ordinamenti nazionali, fra le differenti espressioni della tradizione giuridica europea confluite nel sistema dei Trattati europei e, in un’area più larga, nel sistema della CEDU; e che la combinazione tra gli stili argomentativi delle Corti dei singoli Stati membri segnino la dogmatica del pluralismo ermeneutico sempre più in evoluzione giustifica la prospettiva comparatistica. Epperò, si ricorre alla comparazione non per speculare sulla struttura della dissenting opinion nei Paesi scelti come riferimento – Germania e Spagna –, per metterne in luce la struttura e/o per scoprirne i nessi funzionali soggiacenti; il fine, viceversa, è culturale, è politico, favorisce esclusivamente le riflessioni sulle prospettive e sulle modalità di introduzione della categoria dell’opinione dissenziente nelle giurisdizioni superiori, senza per questo avere eco nell’analisi normativa e nella riforma, sul punto, dell’ordinamento interno. Infine. Il rapporto tra opinione del giudice-preclusioni probatorie che deriva dalle relazioni tra segretezza e giudizio, nella misura in cui la prima riguarda le modalità della deliberazione collegiale, caratterizza l’attività decisionale della camera di consiglio e la motivazione del suo epilogo precludendo la esternazione delle opinioni e del risultato della votazione con cui è stata assunta la decisione, si risolve alla luce del combinato disposto degli artt. 125, comma 5; 191; 187; 331 c.p.p.; non anche dell’art. 201 c.p.p.. La linea normativa rileva una preclusione dichiarativa in capo al giudice che ha partecipato alla camera di consiglio, garantita dalla inutilizzabilità della testimonianza in merito al procedimento formativo della deliberazione collegiale. Il divieto probatorio è rationale, fisiologico, nella misura in cui investe l’opinione (= fatto del giudice), non anche il fatto del processo (= imputazione). Non è un caso che quando la testimonianza riguardi il fatto, cioè il reato e la sua imputazione, la preclusione cade.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.