Il caso concreto che coinvolse il magistrato romano Macedonio, Africae vicarius, allora capo della diocesi d’Africa e il vescovo d’Ippona Agostino, è testimoniato dal carteggio del loro epistolario (Agostino, Lettera 152 – 155; Nuova Biblioteca Agostiniana, XXII, Le Lettere, vol. 2 , Città Nuova, Roma 1971). Macedonio nella lettera 152 fa riferimento a una lettera di Agostino lettera oggi perduta, portata dal vescovo Bonifacio , che conteneva la richiesta di grazia per dei rapinatori a mano armata, arrestati e da lui condannati a morte. Macedonio ha acconsentito e ne dà immediata comunicazione ad Agostino nella lettera 152 dell’epistolario agostiniano risalente agli anni del 413-414. Ma gli pone essenzialmente alcune questioni. Date le difficili condizioni economiche, sopravvenute nel Tardo-Antico (sec. III-VI) in seguito a migrazioni d’interi popoli, il furto per rapina e possibili omicidi erano all’ordine del giorno. I vescovi tuttavia fecero uso del diritto d’intercedere a favore di rei, riconosciuti colpevoli di condanna a morte. Tra magistrati civili e vescovi nacque un forte attrito. L’intercessio, d’altra parte, poneva problemi giuridici, morali e pratici. Agostino dà un’elaborata risposta soprattutto nelle sue due Lettere a Macedonio (Ep.153 e 155 de 413-414) spiegando la natura dell’istituto giuridico dell’intercessio che, sulla base del concetto cristiano di perdono, ha in vista il ravvedimento del reo. Alla forza del diritto che chiede solo giustizia per un delitto, si oppone per un pentimento del colpevole la ragione, la religione e la humanitas, esteso anche ai pagani. La richiesta di Agostino non solo come studio di un atto possibile ad una cancelleria episcopale del Tardoantico, ma perché di fatto essa si trasformò in una testimonianza-proposta sul come ripensare la professione di giudice e di avvocato dopo l’accordo tra le Istituzioni romane e il mondo cristiano con il cosiddetto ‘Editto di Costantino’ del 313.
Agostino e Macedonio. Epistole 152-153 dell'epistolario agostiniano / Piscitelli, Teresa. - (2018). (Intervento presentato al convegno Le Leggi dell'Impero e le Leggi della Chiesa. Il dossier di Macedonio (epp.152-155) . Lectio Augustini Neapolitana . XXII Edizione tenutosi a Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale . Sezione San Tommaso d'Aquino (NA) nel 10 gennaio 2018).
Agostino e Macedonio. Epistole 152-153 dell'epistolario agostiniano
Piscitelli Teresa
2018
Abstract
Il caso concreto che coinvolse il magistrato romano Macedonio, Africae vicarius, allora capo della diocesi d’Africa e il vescovo d’Ippona Agostino, è testimoniato dal carteggio del loro epistolario (Agostino, Lettera 152 – 155; Nuova Biblioteca Agostiniana, XXII, Le Lettere, vol. 2 , Città Nuova, Roma 1971). Macedonio nella lettera 152 fa riferimento a una lettera di Agostino lettera oggi perduta, portata dal vescovo Bonifacio , che conteneva la richiesta di grazia per dei rapinatori a mano armata, arrestati e da lui condannati a morte. Macedonio ha acconsentito e ne dà immediata comunicazione ad Agostino nella lettera 152 dell’epistolario agostiniano risalente agli anni del 413-414. Ma gli pone essenzialmente alcune questioni. Date le difficili condizioni economiche, sopravvenute nel Tardo-Antico (sec. III-VI) in seguito a migrazioni d’interi popoli, il furto per rapina e possibili omicidi erano all’ordine del giorno. I vescovi tuttavia fecero uso del diritto d’intercedere a favore di rei, riconosciuti colpevoli di condanna a morte. Tra magistrati civili e vescovi nacque un forte attrito. L’intercessio, d’altra parte, poneva problemi giuridici, morali e pratici. Agostino dà un’elaborata risposta soprattutto nelle sue due Lettere a Macedonio (Ep.153 e 155 de 413-414) spiegando la natura dell’istituto giuridico dell’intercessio che, sulla base del concetto cristiano di perdono, ha in vista il ravvedimento del reo. Alla forza del diritto che chiede solo giustizia per un delitto, si oppone per un pentimento del colpevole la ragione, la religione e la humanitas, esteso anche ai pagani. La richiesta di Agostino non solo come studio di un atto possibile ad una cancelleria episcopale del Tardoantico, ma perché di fatto essa si trasformò in una testimonianza-proposta sul come ripensare la professione di giudice e di avvocato dopo l’accordo tra le Istituzioni romane e il mondo cristiano con il cosiddetto ‘Editto di Costantino’ del 313.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.