A partire da una serie di casi di sodomia presenti tra le carte del tribunale del Sant’Uffizio (oggi Archivio della Congregazione per la dottrina della fede) e del tribunale del Governatore (Archivio di Stato di Roma), il saggio analizza il mondo (pratiche, luoghi, dinamiche interpersonali) e la repressione dei comportamenti sessuali considerati abominevoli dalla Chiesa (omosessualità maschile e femminile, onanismo, pederastia) nella particolare e paradigmatica realtà romana del Sei-Settecento, con particolare riferimento al “vizio nefando” praticato tra maschi. Si tratta di un tema che per quanto riguarda Roma e lo Stato della Chiesa non era ancora stato studiato. Viceversa disponiamo di studi su Firenze e Venezia (soprattutto sui secoli compresi tra Quattro e Seicento) e su grandi città europee (Parigi, Londra, città spagnole, città olandesi) che consentono alcune comparazioni. Viene affrontato il tema del rapporto tra “sodomia” ed “eresia” (associazioni tra sodomia e demonio/tentazione demoniaca; diffusione di “falsi dogmi” in tema di sodomia). Le carte processuali utilizzate hanno consentito di indagare anche temi che vanno al di là della storia religiosa, della storia della sessualità e della storia della giustizia, fornendo notizie utili anche alla ricostruzione di rapporti sociali basati su rigide gerarchie che venivano ripetute e riaffermate anche attraverso determinati rapporti sessuali, altrettanto rigidamente gerarchizzati con la netta suddivisone dei ruoli “attivo” e “passivo” (padroni/servi, mariti/mogli, maestri/allievi, confessori/fedeli). Dalle carte sono emerse, da un lato, la notevole diffusione a Roma della pederastia, del resto in linea con altre città italiane ed europee, dall’altro la tendenza delle autorità religiose, ossessionate dalla condanna biblica della peccaminosa dispersione del seme, a considerare quasi sullo stesso piano tutti i rapporti sodomitici, condannandoli in blocco senza distinguere molto tra pederastia e rapporti tra omosessuali adulti consenzienti o tra marito e moglie. D’altra parte nel corso del Settecento le pene sembrano essere relativamente miti a Roma e in ogni caso assai più miti che non in Spagna, dove sia presso l’Inquisizione sia nei tribunali civili ancora si faceva ampiamente ricorso alla tortura e si decretava la pena di morte. Lontana dalla realtà del dibattito filosofico e scientifico settecentesco europeo, che iniziava a porre la questione di un atteggiamento più indulgente verso la sodomia sul piano processuale e a considerare l’omosessualità su base fisiologica e medica piuttosto che su base religiosa, la realtà romana appare viceversa alla fine del XVIII secolo ancora completamente immersa nel paradigma religioso che vedeva nella sodomia un atto contronatura inserito tra i peccati di lussuria e scorgeva in generale nei comportamenti sessuali extramatrimonali e senza finalità procreative la presenza del demonio e il rischio dell’eresia. Per questo quanti, e spesso erano religiosi, sostenevano che la pratica sodomitica non fosse peccato venivano accusati dal Sant’Uffizio di “dogma ereticale”.
"Vitio nefando" e Inquisizione romana / Cattaneo, Massimo. - STAMPA. - (2006), pp. 55-77.
"Vitio nefando" e Inquisizione romana
CATTANEO, MASSIMO
2006
Abstract
A partire da una serie di casi di sodomia presenti tra le carte del tribunale del Sant’Uffizio (oggi Archivio della Congregazione per la dottrina della fede) e del tribunale del Governatore (Archivio di Stato di Roma), il saggio analizza il mondo (pratiche, luoghi, dinamiche interpersonali) e la repressione dei comportamenti sessuali considerati abominevoli dalla Chiesa (omosessualità maschile e femminile, onanismo, pederastia) nella particolare e paradigmatica realtà romana del Sei-Settecento, con particolare riferimento al “vizio nefando” praticato tra maschi. Si tratta di un tema che per quanto riguarda Roma e lo Stato della Chiesa non era ancora stato studiato. Viceversa disponiamo di studi su Firenze e Venezia (soprattutto sui secoli compresi tra Quattro e Seicento) e su grandi città europee (Parigi, Londra, città spagnole, città olandesi) che consentono alcune comparazioni. Viene affrontato il tema del rapporto tra “sodomia” ed “eresia” (associazioni tra sodomia e demonio/tentazione demoniaca; diffusione di “falsi dogmi” in tema di sodomia). Le carte processuali utilizzate hanno consentito di indagare anche temi che vanno al di là della storia religiosa, della storia della sessualità e della storia della giustizia, fornendo notizie utili anche alla ricostruzione di rapporti sociali basati su rigide gerarchie che venivano ripetute e riaffermate anche attraverso determinati rapporti sessuali, altrettanto rigidamente gerarchizzati con la netta suddivisone dei ruoli “attivo” e “passivo” (padroni/servi, mariti/mogli, maestri/allievi, confessori/fedeli). Dalle carte sono emerse, da un lato, la notevole diffusione a Roma della pederastia, del resto in linea con altre città italiane ed europee, dall’altro la tendenza delle autorità religiose, ossessionate dalla condanna biblica della peccaminosa dispersione del seme, a considerare quasi sullo stesso piano tutti i rapporti sodomitici, condannandoli in blocco senza distinguere molto tra pederastia e rapporti tra omosessuali adulti consenzienti o tra marito e moglie. D’altra parte nel corso del Settecento le pene sembrano essere relativamente miti a Roma e in ogni caso assai più miti che non in Spagna, dove sia presso l’Inquisizione sia nei tribunali civili ancora si faceva ampiamente ricorso alla tortura e si decretava la pena di morte. Lontana dalla realtà del dibattito filosofico e scientifico settecentesco europeo, che iniziava a porre la questione di un atteggiamento più indulgente verso la sodomia sul piano processuale e a considerare l’omosessualità su base fisiologica e medica piuttosto che su base religiosa, la realtà romana appare viceversa alla fine del XVIII secolo ancora completamente immersa nel paradigma religioso che vedeva nella sodomia un atto contronatura inserito tra i peccati di lussuria e scorgeva in generale nei comportamenti sessuali extramatrimonali e senza finalità procreative la presenza del demonio e il rischio dell’eresia. Per questo quanti, e spesso erano religiosi, sostenevano che la pratica sodomitica non fosse peccato venivano accusati dal Sant’Uffizio di “dogma ereticale”.File | Dimensione | Formato | |
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