La ragione linguistica Origine del linguaggio e pluralità delle lingue Ne La ragione linguistica si ricostruisce a grandi linee la mappa della storia delle idee linguistiche, che hanno segnato in Europa, nell’epoca moderna, la nascita della filosofia del linguaggio come disciplina a se stante. La ricostruzione è fatta seguendo, da una parte, il tema dell’origine del linguaggio, e, dall’altra, il tema della pluralità delle lingue. Non è difficile, da questo punto di vista, riconoscere come nel corso del tempo, seguendo certi spostamenti di interessi, da strumento della ricerca filosofica, il linguaggio sia diventato suo oggetto di indagine. È una storia che si può far partire da Condillac e che salda insieme in terra tedesca, attraverso la mediazione decisiva di Maupertuis, la tradizione filosofica francese della Scuola di Port-Royal con l’eredità della lezione lockiana dell’Essay concerning human understanding. Condillac stesso ne diventa la figura centrale, dalla quale non si può prescindere, se si vuole raggiungere una comprensione più completa dei problemi in questione. Il richiamo a queste connessioni filosofiche non è senza significato, perché da esse prende avvio nella cultura europea un ripensamento che investe la condizione stessa dell’uomo nel mondo, proiettandola su uno scenario temporale, che arriva fino ai nostri giorni, dove si incontrano riflessione filosofica e analisi linguistica e si fa strada una nuova concezione dell’uomo. Su questo piano ermeneutico, non è difficile prendere atto come nella cultura europea tra Settecento e Ottocento si ritrovino le tracce di una concezione del linguaggio, che è all’origine della “svolta linguistica”, avvenuta nella filosofia del Novecento. Come si sottolinea nel volume, c’è, a tale riguardo, come una continuità di temi, di problemi e di situazioni, che si richiamano da un’epoca all’altra e determinano un orizzonte comune. Oggetto di ricerca diventa il linguaggio considerato nella sua origine e nella sua natura. Secondo l’ampia ricostruzione della storia delle idee linguistiche, fatta da Hans Aarsleff e riassunta e approfondita ne La ragione linguistica, una stagione, particolarmente importante per lo sviluppo degli studi sul linguaggio, è delimitata dagli anni compresi tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX, quando in Europa si svolse un dibattito sul linguaggio, al quale parteciparono pensatori di diversi paesi europei. A favorire la nascita e lo sviluppo del dibattito fu un gruppo di studiosi legato all’Académie royale des sciences et des belles-lettres di Berlino, fondata nel 1700 da Leibniz, risorta per iniziativa di Federico II di Prussia nel 1744 e da questi affidata a Maupertuis, che divenne suo presidente negli anni 1745-1753. Personaggio di spicco dell’illuminismo francese, Maupertuis esercitò un’influenza notevole su una generazione di intellettuali, sollecitati da lui a confrontarsi con tradizioni filosofico-linguistiche diverse nel clima dei nuovi assetti politici e culturali, che si stavano determinando in Europa con la fine dell’ancien régime e l’inizio della Rivoluzione Francese. Nella mutata situazione di quegli anni, così decisivi sul piano politico e culturale per il futuro dell’Europa, alcuni pensatori fecero oggetto di studio il linguaggio dal punto di vista della nuova antropologia, che si andava elaborando sotto l’influenza della lezione kantiana. Più che rimettere in discussione l’eredità del passato e prendere nuove strade nella comprensione del linguaggio, essi ripresero in gran parte le questioni linguistiche tradizionali più dibattute, ancorandole alle preoccupazioni più rilevanti di quell’epoca, quasi a trarre dalla loro riproposta risposte ai nuovi problemi politici, oltre che culturali e religiosi, della coscienza europea. Di questa stagione, i tre testimoni più autorevoli sul piano della ricerca linguistica furono Johann Georg Hamann (1730-1788), Johann Gottfried Herder (1744- 1803) e Karl Wilhelm Humboldt (1767-1835). Non mancarono tra loro diversità di vedute e accentuazioni diverse, perché se Hamann e Herder concentrarono il loro interesse sul problema dell’origine del linguaggio, Humboldt, da parte sua, pone fine alla polemica tradizionale sull’origine del linguaggio, considerata ormai fuorviante, e apre la riflessione sul linguaggio ad una indagine empirica sulle lingue, pur sempre inserita su un orizzonte più filosofico, dove l’ultima parola spetta alla filosofia. Più che trovare una soluzione al problema dell’origine del linguaggio, sulla scia di Hamann e di Herder, a Humboldt interessava spiegare il fenomeno della diversità delle lingue. L’indagine humboldtiana sul linguaggio fa riferimento ad una ricerca, che considera il fenomeno del linguaggio nelle sue manifestazioni culturali più significative, osservate alla luce di una antropologia filosofica di matrice kantiana. Il linguaggio, secondo Humboldt, è soprattutto attività dello spirito. Riflettendo sul linguaggio e sulla sua natura, Hamann, Herder e Humboldt diedero un notevole contributo al dibattito sul linguaggio, insieme con altre personalità di quell’epoca, tra le quali sono da ricordare William Jones (1746-1794), Friedrich von Schlegel (1772-1829) e Mme de Staël (1766-1817), anche se l’apporto di quest’ultimi fu assai più limitato rispetto ai primi. Questo dibattito non finì con loro, ma continuò ancora nei decenni successivi. Le stesse concezioni linguistiche furono riprese a distanza di qualche decennio, in un diverso contesto culturale, e riformulate con il contributo importante di Friedrich W. J. Schelling e di Jacob Grimm. Tema dominante del dibattito fu ancora una volta il problema dell’origine del linguaggio. Il linguaggio, dopo tutto, - si chiedevano Hamann ed Herder -, era di origine divina o di origine umana? Nel contrasto tra le due principali posizioni, rappresentate rispettivamente da Hamann e da Herder, emergeva una concezione dell’uomo, chiamata a dare ragione di se stessa nel suo rapporto con Dio. Questo tema, lungi dal rappresentare un problema contingente e datato, assume il carattere di una ricerca sulle facoltà dell’uomo e chiama in causa la realtà stessa del linguaggio nelle sue determinazioni più caratterizzanti, che ne fanno la dimensione più generale dell’essere dell’uomo, collegato, mediante il linguaggio, al vertice del mondo animale. La questione sull’origine del linguaggio si ricollega alla questione più generale sull’uomo e sulla sua natura, come lascia intendere il noto quesito formulato come tema del concorso bandito nel 1769 dall’Académie royale des science set del belles-lettres di Berlino. Nel quesito si chiedeva, infatti, se gli uomini, lasciati alle loro facoltà naturali, sarebbero stati capaci di inventare sa soli il linguaggio e con quali mezzi. Motivo convergente e unificante del dibattito sul linguaggio, avvenuto in quegli anni, è la diffusa consapevolezza di una “ragione” fondativa in opera nell’essere dell’uomo, che sicuramente è linguistica considerato il ruolo del linguaggio nella costituzione dell’identità dell’essere dell’uomo e il rapporto che lega insieme l’espressione del linguaggio e l’attività mentale. È , soprattutto, la presenza di questa ragione linguistica nell’uomo a fare di un essere vivente, posto accanto ad altri esseri viventi, e non un qualsiasi altro essere.
La ragione linguistica. Origine del linguaggio e pluralità delle lingue / Pititto, Rocco. - STAMPA. - (2008).
La ragione linguistica. Origine del linguaggio e pluralità delle lingue
PITITTO, ROCCO
2008
Abstract
La ragione linguistica Origine del linguaggio e pluralità delle lingue Ne La ragione linguistica si ricostruisce a grandi linee la mappa della storia delle idee linguistiche, che hanno segnato in Europa, nell’epoca moderna, la nascita della filosofia del linguaggio come disciplina a se stante. La ricostruzione è fatta seguendo, da una parte, il tema dell’origine del linguaggio, e, dall’altra, il tema della pluralità delle lingue. Non è difficile, da questo punto di vista, riconoscere come nel corso del tempo, seguendo certi spostamenti di interessi, da strumento della ricerca filosofica, il linguaggio sia diventato suo oggetto di indagine. È una storia che si può far partire da Condillac e che salda insieme in terra tedesca, attraverso la mediazione decisiva di Maupertuis, la tradizione filosofica francese della Scuola di Port-Royal con l’eredità della lezione lockiana dell’Essay concerning human understanding. Condillac stesso ne diventa la figura centrale, dalla quale non si può prescindere, se si vuole raggiungere una comprensione più completa dei problemi in questione. Il richiamo a queste connessioni filosofiche non è senza significato, perché da esse prende avvio nella cultura europea un ripensamento che investe la condizione stessa dell’uomo nel mondo, proiettandola su uno scenario temporale, che arriva fino ai nostri giorni, dove si incontrano riflessione filosofica e analisi linguistica e si fa strada una nuova concezione dell’uomo. Su questo piano ermeneutico, non è difficile prendere atto come nella cultura europea tra Settecento e Ottocento si ritrovino le tracce di una concezione del linguaggio, che è all’origine della “svolta linguistica”, avvenuta nella filosofia del Novecento. Come si sottolinea nel volume, c’è, a tale riguardo, come una continuità di temi, di problemi e di situazioni, che si richiamano da un’epoca all’altra e determinano un orizzonte comune. Oggetto di ricerca diventa il linguaggio considerato nella sua origine e nella sua natura. Secondo l’ampia ricostruzione della storia delle idee linguistiche, fatta da Hans Aarsleff e riassunta e approfondita ne La ragione linguistica, una stagione, particolarmente importante per lo sviluppo degli studi sul linguaggio, è delimitata dagli anni compresi tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX, quando in Europa si svolse un dibattito sul linguaggio, al quale parteciparono pensatori di diversi paesi europei. A favorire la nascita e lo sviluppo del dibattito fu un gruppo di studiosi legato all’Académie royale des sciences et des belles-lettres di Berlino, fondata nel 1700 da Leibniz, risorta per iniziativa di Federico II di Prussia nel 1744 e da questi affidata a Maupertuis, che divenne suo presidente negli anni 1745-1753. Personaggio di spicco dell’illuminismo francese, Maupertuis esercitò un’influenza notevole su una generazione di intellettuali, sollecitati da lui a confrontarsi con tradizioni filosofico-linguistiche diverse nel clima dei nuovi assetti politici e culturali, che si stavano determinando in Europa con la fine dell’ancien régime e l’inizio della Rivoluzione Francese. Nella mutata situazione di quegli anni, così decisivi sul piano politico e culturale per il futuro dell’Europa, alcuni pensatori fecero oggetto di studio il linguaggio dal punto di vista della nuova antropologia, che si andava elaborando sotto l’influenza della lezione kantiana. Più che rimettere in discussione l’eredità del passato e prendere nuove strade nella comprensione del linguaggio, essi ripresero in gran parte le questioni linguistiche tradizionali più dibattute, ancorandole alle preoccupazioni più rilevanti di quell’epoca, quasi a trarre dalla loro riproposta risposte ai nuovi problemi politici, oltre che culturali e religiosi, della coscienza europea. Di questa stagione, i tre testimoni più autorevoli sul piano della ricerca linguistica furono Johann Georg Hamann (1730-1788), Johann Gottfried Herder (1744- 1803) e Karl Wilhelm Humboldt (1767-1835). Non mancarono tra loro diversità di vedute e accentuazioni diverse, perché se Hamann e Herder concentrarono il loro interesse sul problema dell’origine del linguaggio, Humboldt, da parte sua, pone fine alla polemica tradizionale sull’origine del linguaggio, considerata ormai fuorviante, e apre la riflessione sul linguaggio ad una indagine empirica sulle lingue, pur sempre inserita su un orizzonte più filosofico, dove l’ultima parola spetta alla filosofia. Più che trovare una soluzione al problema dell’origine del linguaggio, sulla scia di Hamann e di Herder, a Humboldt interessava spiegare il fenomeno della diversità delle lingue. L’indagine humboldtiana sul linguaggio fa riferimento ad una ricerca, che considera il fenomeno del linguaggio nelle sue manifestazioni culturali più significative, osservate alla luce di una antropologia filosofica di matrice kantiana. Il linguaggio, secondo Humboldt, è soprattutto attività dello spirito. Riflettendo sul linguaggio e sulla sua natura, Hamann, Herder e Humboldt diedero un notevole contributo al dibattito sul linguaggio, insieme con altre personalità di quell’epoca, tra le quali sono da ricordare William Jones (1746-1794), Friedrich von Schlegel (1772-1829) e Mme de Staël (1766-1817), anche se l’apporto di quest’ultimi fu assai più limitato rispetto ai primi. Questo dibattito non finì con loro, ma continuò ancora nei decenni successivi. Le stesse concezioni linguistiche furono riprese a distanza di qualche decennio, in un diverso contesto culturale, e riformulate con il contributo importante di Friedrich W. J. Schelling e di Jacob Grimm. Tema dominante del dibattito fu ancora una volta il problema dell’origine del linguaggio. Il linguaggio, dopo tutto, - si chiedevano Hamann ed Herder -, era di origine divina o di origine umana? Nel contrasto tra le due principali posizioni, rappresentate rispettivamente da Hamann e da Herder, emergeva una concezione dell’uomo, chiamata a dare ragione di se stessa nel suo rapporto con Dio. Questo tema, lungi dal rappresentare un problema contingente e datato, assume il carattere di una ricerca sulle facoltà dell’uomo e chiama in causa la realtà stessa del linguaggio nelle sue determinazioni più caratterizzanti, che ne fanno la dimensione più generale dell’essere dell’uomo, collegato, mediante il linguaggio, al vertice del mondo animale. La questione sull’origine del linguaggio si ricollega alla questione più generale sull’uomo e sulla sua natura, come lascia intendere il noto quesito formulato come tema del concorso bandito nel 1769 dall’Académie royale des science set del belles-lettres di Berlino. Nel quesito si chiedeva, infatti, se gli uomini, lasciati alle loro facoltà naturali, sarebbero stati capaci di inventare sa soli il linguaggio e con quali mezzi. Motivo convergente e unificante del dibattito sul linguaggio, avvenuto in quegli anni, è la diffusa consapevolezza di una “ragione” fondativa in opera nell’essere dell’uomo, che sicuramente è linguistica considerato il ruolo del linguaggio nella costituzione dell’identità dell’essere dell’uomo e il rapporto che lega insieme l’espressione del linguaggio e l’attività mentale. È , soprattutto, la presenza di questa ragione linguistica nell’uomo a fare di un essere vivente, posto accanto ad altri esseri viventi, e non un qualsiasi altro essere.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.