La malattia di Alzheimer (AD) rappresenta la causa più comune di demenza nella popolazione occidentale ed in Italia. Si calcola che circa il 53% dei casi di demenza negli ultrasessantacinquenni sia determinata dall'AD, un valore che si colloca ben al di sopra del 27% che viene assegnato alla pur diffusissima demenza su base cerebrovascolare. Il paziente affetto da AD diventa ben presto non più autosufficiente e questo comporta alti costi per il sistema sanitario nazionale e situazioni spesso insostenibili per le famiglie. Lo studio ILSA (Italian Longitudinal Study on Aging) – 2000/2001 ha riportato un sostanziale incremento della prevalenza della malattia di Alzheimer con l'avanzare dell'età dal circa lo 0.5% in uomini nella fascia di età compresa tra 65 e 69 anni a circa il 5.8% nella fascia compresa tra gli 80 e gli 84 anni. Dato il progressivo invecchiamento della popolazione è possibile immaginare che la AD sia destinata ad assumere un ruolo sempre più pesante per il SSN. Dati i risultati assolutamente deludenti delle terapie al momento disponibili un grande interesse si è accentrato sulla identificazione di nuovi bersagli terapeutici verso i quali indirizzare lo sviluppo di farmaci innovativi e le Unità Operative afferenti al presente progetto hanno portato in tal senso un importante contributo chiarendo il ruolo di canali ionici, di sistemi di riparo del DNA, dei meccanismi attivati dal danno ossidativo e delle protein-tirosino chinasi nella neurodegenerazione. In anni recenti si sta parallelamente enfatizzando la necessità di giungere ad una diagnosi sempre più precoce della AD perché pazienti che giungano alla osservazione prima che il quadro clinico si sia delineato nella sua conclamata gravità, potrebbero beneficiare massimalmente di terapie che non permettono di ricostruire i circuiti neuronali già distrutti dalla malattia, ma potrebbero realisticamente mirare a rallentare la progressione verso tali stadi finali ed irreversibili. In tal senso si è giunti alla identificazione del quadro clinico del "mild cognitive impairment" che è inteso come una compromissione della memoria di grado lieve, ma superiore a quella attesa per l'età, che non compromette la vita quotidiana del paziente ma è altamente predittiva dello sviluppo successivo di malattia di Alzheimer (Petersen et al, 1999, 2001; Gauthier,et al., 2006). Verso tali soggetti dovrebbe rivolgersi la sperimentazione di nuove strategie farmacologiche perché è in tali pazienti che esse potrebbero avere maggiori probabilità di risultare efficaci. In tale prospettiva il presente progetto di ricerca si propone di finalizzare le esperienze specifiche delle 5 Unità Operative partecipanti, tutte a diversi livelli impegnate da molti anni nella ricerca su malattie neurodegenerative, alla valutazione in modelli animali ed in piccoli studi clinici pilota degli effetti sulla funzione cognitiva di nuovi farmaci attivi verso i nuovi bersagli molecolari sopradescritti. In particolare, si procederà a valutare in modelli in vitro di neurodegenerazione che riproducano i processi patologici della AD l'attività di molecole che interferiscono 1. con i processi di riparazione del danno radicalico del DNA attivati in corso di AD, 2. con l'attività tirosino chinasica di enzimi che prendono parte alla cascata di eventi trasduzionali orchestrati dal precursore della beta-amiloide, 3. con l'attività di canali del potassio che vengono attivati dall'esposizione alla beta-amiloide, ed, infine, 4. con l'attività della GTPasi ras che viene attivata dallo stress ossidativo conseguente all' esposizione a beta-amiloide.
Sviluppo di farmaci innovativi per il trattamento del mild cognitive impairment / Annunziato, Lucio. - (2006).
Sviluppo di farmaci innovativi per il trattamento del mild cognitive impairment
ANNUNZIATO, LUCIO
2006
Abstract
La malattia di Alzheimer (AD) rappresenta la causa più comune di demenza nella popolazione occidentale ed in Italia. Si calcola che circa il 53% dei casi di demenza negli ultrasessantacinquenni sia determinata dall'AD, un valore che si colloca ben al di sopra del 27% che viene assegnato alla pur diffusissima demenza su base cerebrovascolare. Il paziente affetto da AD diventa ben presto non più autosufficiente e questo comporta alti costi per il sistema sanitario nazionale e situazioni spesso insostenibili per le famiglie. Lo studio ILSA (Italian Longitudinal Study on Aging) – 2000/2001 ha riportato un sostanziale incremento della prevalenza della malattia di Alzheimer con l'avanzare dell'età dal circa lo 0.5% in uomini nella fascia di età compresa tra 65 e 69 anni a circa il 5.8% nella fascia compresa tra gli 80 e gli 84 anni. Dato il progressivo invecchiamento della popolazione è possibile immaginare che la AD sia destinata ad assumere un ruolo sempre più pesante per il SSN. Dati i risultati assolutamente deludenti delle terapie al momento disponibili un grande interesse si è accentrato sulla identificazione di nuovi bersagli terapeutici verso i quali indirizzare lo sviluppo di farmaci innovativi e le Unità Operative afferenti al presente progetto hanno portato in tal senso un importante contributo chiarendo il ruolo di canali ionici, di sistemi di riparo del DNA, dei meccanismi attivati dal danno ossidativo e delle protein-tirosino chinasi nella neurodegenerazione. In anni recenti si sta parallelamente enfatizzando la necessità di giungere ad una diagnosi sempre più precoce della AD perché pazienti che giungano alla osservazione prima che il quadro clinico si sia delineato nella sua conclamata gravità, potrebbero beneficiare massimalmente di terapie che non permettono di ricostruire i circuiti neuronali già distrutti dalla malattia, ma potrebbero realisticamente mirare a rallentare la progressione verso tali stadi finali ed irreversibili. In tal senso si è giunti alla identificazione del quadro clinico del "mild cognitive impairment" che è inteso come una compromissione della memoria di grado lieve, ma superiore a quella attesa per l'età, che non compromette la vita quotidiana del paziente ma è altamente predittiva dello sviluppo successivo di malattia di Alzheimer (Petersen et al, 1999, 2001; Gauthier,et al., 2006). Verso tali soggetti dovrebbe rivolgersi la sperimentazione di nuove strategie farmacologiche perché è in tali pazienti che esse potrebbero avere maggiori probabilità di risultare efficaci. In tale prospettiva il presente progetto di ricerca si propone di finalizzare le esperienze specifiche delle 5 Unità Operative partecipanti, tutte a diversi livelli impegnate da molti anni nella ricerca su malattie neurodegenerative, alla valutazione in modelli animali ed in piccoli studi clinici pilota degli effetti sulla funzione cognitiva di nuovi farmaci attivi verso i nuovi bersagli molecolari sopradescritti. In particolare, si procederà a valutare in modelli in vitro di neurodegenerazione che riproducano i processi patologici della AD l'attività di molecole che interferiscono 1. con i processi di riparazione del danno radicalico del DNA attivati in corso di AD, 2. con l'attività tirosino chinasica di enzimi che prendono parte alla cascata di eventi trasduzionali orchestrati dal precursore della beta-amiloide, 3. con l'attività di canali del potassio che vengono attivati dall'esposizione alla beta-amiloide, ed, infine, 4. con l'attività della GTPasi ras che viene attivata dallo stress ossidativo conseguente all' esposizione a beta-amiloide.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.