Sonno e sogno costituiscono complessi stati della coscienza durante i quali il cervello è intensamente attivato. Il sonno NREM coincide con un notevole calo dell’attività metabolica somatica e con una modica riduzione (20%) dell’attività cerebrale, aumento del tono del parasimpatico, innalzamento della soglia sensoriale e diminuzione del tono muscolare (Staunton 2005). Durante il sonno NREM, l’attività EEG, di tipo sincronizzato denota la mancanza di attivazione esterocettiva, caratterizzata dalla comparsa di onde lente e di fusi, la cui diversa ampiezza consente l’identificazione di quattro stadi di profondità crescente, il 3° e il 4° dei quali prendono il nome di Slow Wave Sleep. Il sonno REM coincide con un aumento dell’attività metabolica cerebrale ed è caratterizzato dall’attivazione dell’EEG, dalla presenza di movimenti oculari rapidi e da atonia muscolare (Staunton 2005). L’alternanza tra sonno NREM e sonno REM è determinata dall’attivazione reciproca dei sistemi aminergico e colinergico a livello del tronco cerebrale. Due recenti osservazioni non sembrano trovare una lettura immediata negli eventi del sonno: 1) Il sonno non è un processo cerebrale uniforme (Krueger et al. 2005): ciò è dimostrato: a) dal fatto che nei delfini, dei due emisferi cerebrali, solo quello deprivato del sonno mostra ricadute di sonnolenza; b) che sonno e veglia possono coesistere in diverse aree del cervello; c) che l’attività (elettrica e metabolica) ed il flusso ematico delle diverse aree del cervello è disuguale, a prescindere dallo stato di coscienza (veglia, sonno o sogno). 2)L’attività del cervello durante il sonno è influenzata dalla precedente attività di specifiche aree: ad esempio, la stimolazione delle vibrisse in ratti sottoposti al taglio unilaterale delle stesse genera un tracciato EEG più ampio nella corteccia somatosensoria controlaterale al lato delle vibrisse intatte (Vyazovsky et al. 2000). in cuccioli di gatto, la privazione del sonno blocca il potenziamento della plasticità della corteccia visiva NREM indotta dalla deprivazione visuale monoculare (Frank et al. 2001); studi MRI indicano che nell’uomo gli effetti localizzati della privazione del sonno dipendono dall’attività svolta durante la veglia precedente (Drummond et al 1999) e la PET indica che il sonno è indirizzato a specifiche aree del cervello impegnate nell’attività precedente (Parquet 2000). Tutti gli animali e perfino molte piante manifestano un’alternanza di periodi d’attività e di riposo. Negli animali provvisti di un sistema nervoso centrale, i periodi di riposo coincidono con uno stato di apparente quiescenza dei centri nervosi, compatibile con il mantenimento delle funzioni vitali. Il sonno si è probabilmente sviluppato con l’omeotermia e si è evoluto parallelamente allo sviluppo del cervello, particolarmente dell’ipotalamo e della corteccia cerebrale (Hobson 2006). Le origini del sonno REM risalirebbero ai rettili, dai quali lo avrebbero ereditato gli uccelli circa 250 milioni d’anni fa (Brodkorb 1971). L’echidna e l’ornitorinco, monotremi progenitori dei mammiferi, evolutisi circa 115-130 milioni d’anni fa, sono i capostipiti del sonno REM nei mammiferi, (Janke et al. 1997; Siegel et al 1998). Il fabbisogno di sonno varia nei mammiferi dalle 20 ore del piccolo pipistrello marrone del nord America alle due ore del cavallo. Nei mammiferi il sonno è regolato omeostaticamente e la sua perdita (NREM) può essere compensata aumentandone la durata e l’intensità. (Tobler 2005). Studi sistematici sui fattori ecologici e costituzionali che influenzano il sonno nei mammiferi sono rari. Allison e Cicchetti (1976) hanno avuto il merito di individuare tra tali fattori il rischio di predazione e la mole corporea, inversamente proporzionali al sonno REM. Più di recente Siegel (2005) pur confermato tali osservazioni, ha dimostrato che la mole corporea risulta un parametro statisticamente significativo solo negli erbivori, mentre la dieta è direttamente correlata al sonno nell’ordine carnivori > onnivori > erbivori. Tra le ipotesi antecedenti distillate da Siegel, lo sviluppo della corteccia cerebrale e l’indice di encefalizzazione non sarebbero correlati alla quantità di sonno nei mammiferi. La fisiologia e la patologia del sonno sono sorprendentemente simili nell’uomo e nei mammiferi. Tale circostanza avvalora l’esistenza di meccanismi regolatori comuni a diverse specie. Un’eccezione tra i mammiferi è costituita dai cetacei che non esibiscono il sonno REM e palesano il sonno NREM alternativamente tra i due emisferi cerebrali (Mukhametov 1987). Nei mammiferi terrestri il sonno REM appare coinvolto nello sviluppo e nella maturazione del cervello, dalla vita intrauterina, con durata decrescente durante l’intero arco vitale. Nell’uomo, intorno alla 30a settimana dello sviluppo fetale si osserva la massima quantità (fino a 24 ore) di sonno REM. Nell’epoca perinatale la percentuale di sonno REM si riduce a circa 8 ore il giorno (50% del periodo totale di sonno), mentre negli adulti tale percentuale scende a circa il 20% del sonno totale (2 ore). Anche tale regola però, è violata dai cetacei, in quanto alla loro nascita non si osserva una maggiore quantità di sonno rispetto agli adulti. Anzi, sia i neonati che le loro madri rimangono ininterrottamente svegli per tutto il primo mese dopo il parto. Da tale momento il sonno comincia ad aumentare lentamente per raggiungere solo dopo molti mesi il ritmo e l’intensità osservati nei cetacei adulti (Lyamin O et al. 2005). Tali osservazioni impongono cautela nell’estendere a tutti i mammiferi un significato vitale del sonno e nell’assimilare a quelli marini i fenomeni descritti nel paragrafo successivo. Una gran parte delle conoscenze sulle funzioni del sonno deriva da esperimenti sulla sua privazione totale o su quella selettiva del sonno REM o di quello NREM in mammiferi terrestri. La disponibilità di modelli animali ha consentito di individuare strutture e meccanismi coinvolti nel sonno, nella sua patologia e nella relativa terapia (Mahowald et al. 2005). La privazione del sonno produce effetti diversi secondo la specie animale, la durata dell’esperimento e le modalità di esecuzione. Nel ratto, la privazione totale produce la morte in un periodo variabile da 11 a 22 giorni (Everson et al. 1989), mentre l’abolizione selettiva del sonno NREM la determina in un tempo variabile dai 23 ai 66 giorni (Gilliland et al. 1989). Gli animali deprivati manifestano perdita di peso, aumento della spesa energetica periferica e riduzione del tasso plasmatico degli ormoni tiroidei, mentre si abbassano la temperatura corporea e l’attività funzionale del SNC (in particolare dell’ipotalamo, del talamo e del sistema limbico); la morte sopraggiunge per una ridotta resistenza alle infezioni. Lo studio della privazione del sonno nell’uomo è limitata da aspetti etici, ma essa appare meno micidiale che negli animali da laboratorio, forse a causa del minore rapporto tra massa e superficie corporea. Esperimenti di privazione totale, protratti per più di 200 ore su volontari, hanno rivelato l’insorgere di un progressivo torpore con brevi intrusioni di sonno, allucinazioni, psicosi e paranoia. Al pari, la privazione selettiva del sonno REM determina un incremento di tale attività alla prima occasione, induce agitazione e nevrosi con manifestazioni di aggressività (Pearlman 1982). Sebbene possa realizzarsi anche in alcune fasi del sonno NREM (5-10%), il sogno si verifica prevalentemente durante il sonno REM (< 70%) e viene comunemente identificato con esso. Durante il sonno REM, il sistema visivo viene attivato da stimoli interni noti come onde PGO (Ponto-Genicolo-Occipitali) con un’ampia distribuzione corticale (Hobson 1964), cui segue un tentativo di sintesi dal quale scaturirebbe il sogno (Hobson e McCarley 1977). Il sogno è uno stato della coscienza caratterizzato da allucinazioni sensoriali prevalentemente visive e motorie e da forti emozioni che nell’uomo denotano uno stato psicotico (Hobson 2005). L’esistenza del sogno negli animali è oggi ancora discussa, nonostante le sue manifestazioni fossero state descritte già da Lucrezio nel “De rerum natura” (Gottesmann C. 2001). Nelle specie non umane la scienza del sogno preferisce riferire tali fenomeni al sonno REM piuttosto che al sogno. Un contributo straordinario alla comprensione dei fenomeni del sonno REM risale agli studi di Jouvet sull’inibizione motoria, confermati da Henley e Morrison (1974), su gatti sottoposti a lesioni sperimentali del ponte cerebrale. Entrando nella fase REM senza l’inibizione motoria, tali soggetti mimano il contenuto del sogno, costituito spesso da comportamenti specie-specifici. Oltre ad individuare la posizione dei centri responsabili della “paralisi attiva” propria del sonno REM, tali osservazioni consentirono di aprire una finestra sull’attività onirica degli animali. Durante il sonno REM, i mammiferi svolgono un’attività onirica che consente loro di richiamare complesse sequenze d’eventi vissuti in precedenza. Una dimostrazione di tale capacità è stata fornita da Louie & Wilson nel ratto (2001), mediante un esperimento in cui gli animali erano costretti a percorrere un labirinto provvisto di repentini tragitti circolari. Durante il percorso e durante il successivo sonno, veniva registrata l’attività di alcuni neuroni dell’ippocampo, area coinvolta nei meccanismi della memoria. Durante il sonno successivo, quando i soggetti entravano nella fase REM, era possibile riconoscere la stessa attività cerebrale registrata durante la veglia, individuando esattamente la posizione dell’individuo all’interno del labirinto. Una serie d’evidenze suffraga la capacità di sognare degli animali: a) l’esistenza di un’appropriata attività EEG nel sonno REM e nelle fasi di transizione dal sonno NREM a quello REM; b) l’esistenza delle analoghe strutture cerebrali e del sistema visivo coinvolte durante il sogno nell’uomo; c) l’attivazione metabolica (REM e PET) del ponte del talamo e del sistema limbico osservabile con metodiche d’imaging cerebrale; d) l’esistenza della memoria e gli effetti della privazione del sonno sulla capacità di apprendere; e) l’origine evolutiva del sonno REM, che si è sviluppato in altre specie prima che nell’uomo. Il sonno contribuisce a consolidare le tracce della memoria, riattivandole, analizzandole e incorporandole nella memoria a lungo termine (McGaugh 2000). Tali tracce, infatti, rimangono labili fino al primo periodo di sonno successivo alla loro acquisizione (Fishbein e Gutwein 1977). Grazie alla sua azione sulla plasticità neuronale, il sonno svolge il compito di preservare i circuiti cerebrali poco usati, nonostante il continuo aumento della complessità del cervello dovuta all’esperienza acquisita. Tale attività viene svolta anche attraverso il sogno, che permette di sperimentare le nuove acquisizioni simulando situazioni che sfidano gli istinti, e favorisce il mantenimento dei tratti comportamentali ereditari anche se non adottati per lunghi periodi di tempo. Sotto il profilo etologico il sogno sembra finalizzato a preparare l’individuo ad affrontare la vita, come è dimostrato da certi animali che “ripassano”, consolidandole, le informazioni che hanno appreso in precedenza. I diamanti mandarini, piccoli passeriformi, memorizzano, sognando, i motivi in cui si sono cimentati durante il giorno. Descrivendo la pantomima delle fasi del sogno della caccia nei cani, Lucrezio osservò che “più è selvatica la razza, più esso manifesta furia nel sonno”

Sonno e Sogno / Vesce, Giovanni. - ELETTRONICO. - (2006), pp. 18-22. (Intervento presentato al convegno “Mente e cervello ‘an up to date’ su clinica e nuove terapie tenutosi a Bari nel 27-30 Settembre 2006).

Sonno e Sogno

VESCE, GIOVANNI
2006

Abstract

Sonno e sogno costituiscono complessi stati della coscienza durante i quali il cervello è intensamente attivato. Il sonno NREM coincide con un notevole calo dell’attività metabolica somatica e con una modica riduzione (20%) dell’attività cerebrale, aumento del tono del parasimpatico, innalzamento della soglia sensoriale e diminuzione del tono muscolare (Staunton 2005). Durante il sonno NREM, l’attività EEG, di tipo sincronizzato denota la mancanza di attivazione esterocettiva, caratterizzata dalla comparsa di onde lente e di fusi, la cui diversa ampiezza consente l’identificazione di quattro stadi di profondità crescente, il 3° e il 4° dei quali prendono il nome di Slow Wave Sleep. Il sonno REM coincide con un aumento dell’attività metabolica cerebrale ed è caratterizzato dall’attivazione dell’EEG, dalla presenza di movimenti oculari rapidi e da atonia muscolare (Staunton 2005). L’alternanza tra sonno NREM e sonno REM è determinata dall’attivazione reciproca dei sistemi aminergico e colinergico a livello del tronco cerebrale. Due recenti osservazioni non sembrano trovare una lettura immediata negli eventi del sonno: 1) Il sonno non è un processo cerebrale uniforme (Krueger et al. 2005): ciò è dimostrato: a) dal fatto che nei delfini, dei due emisferi cerebrali, solo quello deprivato del sonno mostra ricadute di sonnolenza; b) che sonno e veglia possono coesistere in diverse aree del cervello; c) che l’attività (elettrica e metabolica) ed il flusso ematico delle diverse aree del cervello è disuguale, a prescindere dallo stato di coscienza (veglia, sonno o sogno). 2)L’attività del cervello durante il sonno è influenzata dalla precedente attività di specifiche aree: ad esempio, la stimolazione delle vibrisse in ratti sottoposti al taglio unilaterale delle stesse genera un tracciato EEG più ampio nella corteccia somatosensoria controlaterale al lato delle vibrisse intatte (Vyazovsky et al. 2000). in cuccioli di gatto, la privazione del sonno blocca il potenziamento della plasticità della corteccia visiva NREM indotta dalla deprivazione visuale monoculare (Frank et al. 2001); studi MRI indicano che nell’uomo gli effetti localizzati della privazione del sonno dipendono dall’attività svolta durante la veglia precedente (Drummond et al 1999) e la PET indica che il sonno è indirizzato a specifiche aree del cervello impegnate nell’attività precedente (Parquet 2000). Tutti gli animali e perfino molte piante manifestano un’alternanza di periodi d’attività e di riposo. Negli animali provvisti di un sistema nervoso centrale, i periodi di riposo coincidono con uno stato di apparente quiescenza dei centri nervosi, compatibile con il mantenimento delle funzioni vitali. Il sonno si è probabilmente sviluppato con l’omeotermia e si è evoluto parallelamente allo sviluppo del cervello, particolarmente dell’ipotalamo e della corteccia cerebrale (Hobson 2006). Le origini del sonno REM risalirebbero ai rettili, dai quali lo avrebbero ereditato gli uccelli circa 250 milioni d’anni fa (Brodkorb 1971). L’echidna e l’ornitorinco, monotremi progenitori dei mammiferi, evolutisi circa 115-130 milioni d’anni fa, sono i capostipiti del sonno REM nei mammiferi, (Janke et al. 1997; Siegel et al 1998). Il fabbisogno di sonno varia nei mammiferi dalle 20 ore del piccolo pipistrello marrone del nord America alle due ore del cavallo. Nei mammiferi il sonno è regolato omeostaticamente e la sua perdita (NREM) può essere compensata aumentandone la durata e l’intensità. (Tobler 2005). Studi sistematici sui fattori ecologici e costituzionali che influenzano il sonno nei mammiferi sono rari. Allison e Cicchetti (1976) hanno avuto il merito di individuare tra tali fattori il rischio di predazione e la mole corporea, inversamente proporzionali al sonno REM. Più di recente Siegel (2005) pur confermato tali osservazioni, ha dimostrato che la mole corporea risulta un parametro statisticamente significativo solo negli erbivori, mentre la dieta è direttamente correlata al sonno nell’ordine carnivori > onnivori > erbivori. Tra le ipotesi antecedenti distillate da Siegel, lo sviluppo della corteccia cerebrale e l’indice di encefalizzazione non sarebbero correlati alla quantità di sonno nei mammiferi. La fisiologia e la patologia del sonno sono sorprendentemente simili nell’uomo e nei mammiferi. Tale circostanza avvalora l’esistenza di meccanismi regolatori comuni a diverse specie. Un’eccezione tra i mammiferi è costituita dai cetacei che non esibiscono il sonno REM e palesano il sonno NREM alternativamente tra i due emisferi cerebrali (Mukhametov 1987). Nei mammiferi terrestri il sonno REM appare coinvolto nello sviluppo e nella maturazione del cervello, dalla vita intrauterina, con durata decrescente durante l’intero arco vitale. Nell’uomo, intorno alla 30a settimana dello sviluppo fetale si osserva la massima quantità (fino a 24 ore) di sonno REM. Nell’epoca perinatale la percentuale di sonno REM si riduce a circa 8 ore il giorno (50% del periodo totale di sonno), mentre negli adulti tale percentuale scende a circa il 20% del sonno totale (2 ore). Anche tale regola però, è violata dai cetacei, in quanto alla loro nascita non si osserva una maggiore quantità di sonno rispetto agli adulti. Anzi, sia i neonati che le loro madri rimangono ininterrottamente svegli per tutto il primo mese dopo il parto. Da tale momento il sonno comincia ad aumentare lentamente per raggiungere solo dopo molti mesi il ritmo e l’intensità osservati nei cetacei adulti (Lyamin O et al. 2005). Tali osservazioni impongono cautela nell’estendere a tutti i mammiferi un significato vitale del sonno e nell’assimilare a quelli marini i fenomeni descritti nel paragrafo successivo. Una gran parte delle conoscenze sulle funzioni del sonno deriva da esperimenti sulla sua privazione totale o su quella selettiva del sonno REM o di quello NREM in mammiferi terrestri. La disponibilità di modelli animali ha consentito di individuare strutture e meccanismi coinvolti nel sonno, nella sua patologia e nella relativa terapia (Mahowald et al. 2005). La privazione del sonno produce effetti diversi secondo la specie animale, la durata dell’esperimento e le modalità di esecuzione. Nel ratto, la privazione totale produce la morte in un periodo variabile da 11 a 22 giorni (Everson et al. 1989), mentre l’abolizione selettiva del sonno NREM la determina in un tempo variabile dai 23 ai 66 giorni (Gilliland et al. 1989). Gli animali deprivati manifestano perdita di peso, aumento della spesa energetica periferica e riduzione del tasso plasmatico degli ormoni tiroidei, mentre si abbassano la temperatura corporea e l’attività funzionale del SNC (in particolare dell’ipotalamo, del talamo e del sistema limbico); la morte sopraggiunge per una ridotta resistenza alle infezioni. Lo studio della privazione del sonno nell’uomo è limitata da aspetti etici, ma essa appare meno micidiale che negli animali da laboratorio, forse a causa del minore rapporto tra massa e superficie corporea. Esperimenti di privazione totale, protratti per più di 200 ore su volontari, hanno rivelato l’insorgere di un progressivo torpore con brevi intrusioni di sonno, allucinazioni, psicosi e paranoia. Al pari, la privazione selettiva del sonno REM determina un incremento di tale attività alla prima occasione, induce agitazione e nevrosi con manifestazioni di aggressività (Pearlman 1982). Sebbene possa realizzarsi anche in alcune fasi del sonno NREM (5-10%), il sogno si verifica prevalentemente durante il sonno REM (< 70%) e viene comunemente identificato con esso. Durante il sonno REM, il sistema visivo viene attivato da stimoli interni noti come onde PGO (Ponto-Genicolo-Occipitali) con un’ampia distribuzione corticale (Hobson 1964), cui segue un tentativo di sintesi dal quale scaturirebbe il sogno (Hobson e McCarley 1977). Il sogno è uno stato della coscienza caratterizzato da allucinazioni sensoriali prevalentemente visive e motorie e da forti emozioni che nell’uomo denotano uno stato psicotico (Hobson 2005). L’esistenza del sogno negli animali è oggi ancora discussa, nonostante le sue manifestazioni fossero state descritte già da Lucrezio nel “De rerum natura” (Gottesmann C. 2001). Nelle specie non umane la scienza del sogno preferisce riferire tali fenomeni al sonno REM piuttosto che al sogno. Un contributo straordinario alla comprensione dei fenomeni del sonno REM risale agli studi di Jouvet sull’inibizione motoria, confermati da Henley e Morrison (1974), su gatti sottoposti a lesioni sperimentali del ponte cerebrale. Entrando nella fase REM senza l’inibizione motoria, tali soggetti mimano il contenuto del sogno, costituito spesso da comportamenti specie-specifici. Oltre ad individuare la posizione dei centri responsabili della “paralisi attiva” propria del sonno REM, tali osservazioni consentirono di aprire una finestra sull’attività onirica degli animali. Durante il sonno REM, i mammiferi svolgono un’attività onirica che consente loro di richiamare complesse sequenze d’eventi vissuti in precedenza. Una dimostrazione di tale capacità è stata fornita da Louie & Wilson nel ratto (2001), mediante un esperimento in cui gli animali erano costretti a percorrere un labirinto provvisto di repentini tragitti circolari. Durante il percorso e durante il successivo sonno, veniva registrata l’attività di alcuni neuroni dell’ippocampo, area coinvolta nei meccanismi della memoria. Durante il sonno successivo, quando i soggetti entravano nella fase REM, era possibile riconoscere la stessa attività cerebrale registrata durante la veglia, individuando esattamente la posizione dell’individuo all’interno del labirinto. Una serie d’evidenze suffraga la capacità di sognare degli animali: a) l’esistenza di un’appropriata attività EEG nel sonno REM e nelle fasi di transizione dal sonno NREM a quello REM; b) l’esistenza delle analoghe strutture cerebrali e del sistema visivo coinvolte durante il sogno nell’uomo; c) l’attivazione metabolica (REM e PET) del ponte del talamo e del sistema limbico osservabile con metodiche d’imaging cerebrale; d) l’esistenza della memoria e gli effetti della privazione del sonno sulla capacità di apprendere; e) l’origine evolutiva del sonno REM, che si è sviluppato in altre specie prima che nell’uomo. Il sonno contribuisce a consolidare le tracce della memoria, riattivandole, analizzandole e incorporandole nella memoria a lungo termine (McGaugh 2000). Tali tracce, infatti, rimangono labili fino al primo periodo di sonno successivo alla loro acquisizione (Fishbein e Gutwein 1977). Grazie alla sua azione sulla plasticità neuronale, il sonno svolge il compito di preservare i circuiti cerebrali poco usati, nonostante il continuo aumento della complessità del cervello dovuta all’esperienza acquisita. Tale attività viene svolta anche attraverso il sogno, che permette di sperimentare le nuove acquisizioni simulando situazioni che sfidano gli istinti, e favorisce il mantenimento dei tratti comportamentali ereditari anche se non adottati per lunghi periodi di tempo. Sotto il profilo etologico il sogno sembra finalizzato a preparare l’individuo ad affrontare la vita, come è dimostrato da certi animali che “ripassano”, consolidandole, le informazioni che hanno appreso in precedenza. I diamanti mandarini, piccoli passeriformi, memorizzano, sognando, i motivi in cui si sono cimentati durante il giorno. Descrivendo la pantomima delle fasi del sogno della caccia nei cani, Lucrezio osservò che “più è selvatica la razza, più esso manifesta furia nel sonno”
2006
Sonno e Sogno / Vesce, Giovanni. - ELETTRONICO. - (2006), pp. 18-22. (Intervento presentato al convegno “Mente e cervello ‘an up to date’ su clinica e nuove terapie tenutosi a Bari nel 27-30 Settembre 2006).
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