Diversi indirizzi storiografici e di critica architettonica continuano a far rilevare una estrema quanto non positiva dipendenza del fare architettura in esclusivi termini di immagine. Essere comunicativamente accattivanti appare, nel mondo contemporaneo, un “must”, pena la quasi inesistenza della realizzazione e del suo progettista. Il ragionamento su ciò che Vitruvio chiamava “scienza” nella sua divisione tra fabrica e speculatione, nonché sull’ars della sua realizzazione è, oggi più che mai, foriero di approfondimenti. Il rapporto tra l’architettura e la tecnica, con le esigenze di identità (globalizzata e non), con i fattori dello sviluppo attuale, con le richiamate istanze di tipo etico e così via, non sempre si fonda su una nozione di bellezza interna all’architettura; ma, al contrario, cercando fuori ed altrove, nella evocazione, la legittimazione della sua effettività. Sebbene la dimensione allegorica possa essere connaturata all’espressione artistica e/o oggetto di produzione umana nelle sue declinazioni, tuttavia, appare, la comunicazione, o, ancor di più, l’evento comunicativo, come l’esclusivo significato/ contenuto del manufatto. Sulla base di tali prime considerazioni, l’intervento si propone di argomentare sui confini della nozione di bellezza nell’architettura contemporanea anche, e soprattutto, in rapporto alla “bellezza” sedimentata – si potrebbe dire “sublimata” - delle architetture storiche, laddove la dimensione urbana va a sostanziare percezioni ed interpretazioni del paesaggio umano. In altre parole, è possibile registrare, nel panorama architettonico ed artistico contemporaneo, l’attenzione ad un’estetica che si fonda sul recupero di immagini passate attraverso anche l‘impiego di materiali opportunamente trattati. D’altro canto, la progettazione del restauro di strutture preesistenti, quando questa prende le distanze da scontate operazioni di ripristino, dichiara talvolta, più o meno larvatamente, un compiacimento nell’esaltare e/o mostrare la compagine storica con condiscendenze, talvolta, ad una riproposizione quasi scenografica della figuratività raggiunta. L’intento è, dunque, di sondare le diverse nozioni di bellezza nel fare progettuale contemporaneo, cercando, laddove possibile e con una visione retrospettiva della disciplina della conservazione, di individuarne alcune delle declinazioni.
Architettura e cose: venustas, vetustas e conservazione / Marino, Bianca. - (2011), pp. 38-44. [10.9/788884971623]
Architettura e cose: venustas, vetustas e conservazione
MARINO, BIANCA
2011
Abstract
Diversi indirizzi storiografici e di critica architettonica continuano a far rilevare una estrema quanto non positiva dipendenza del fare architettura in esclusivi termini di immagine. Essere comunicativamente accattivanti appare, nel mondo contemporaneo, un “must”, pena la quasi inesistenza della realizzazione e del suo progettista. Il ragionamento su ciò che Vitruvio chiamava “scienza” nella sua divisione tra fabrica e speculatione, nonché sull’ars della sua realizzazione è, oggi più che mai, foriero di approfondimenti. Il rapporto tra l’architettura e la tecnica, con le esigenze di identità (globalizzata e non), con i fattori dello sviluppo attuale, con le richiamate istanze di tipo etico e così via, non sempre si fonda su una nozione di bellezza interna all’architettura; ma, al contrario, cercando fuori ed altrove, nella evocazione, la legittimazione della sua effettività. Sebbene la dimensione allegorica possa essere connaturata all’espressione artistica e/o oggetto di produzione umana nelle sue declinazioni, tuttavia, appare, la comunicazione, o, ancor di più, l’evento comunicativo, come l’esclusivo significato/ contenuto del manufatto. Sulla base di tali prime considerazioni, l’intervento si propone di argomentare sui confini della nozione di bellezza nell’architettura contemporanea anche, e soprattutto, in rapporto alla “bellezza” sedimentata – si potrebbe dire “sublimata” - delle architetture storiche, laddove la dimensione urbana va a sostanziare percezioni ed interpretazioni del paesaggio umano. In altre parole, è possibile registrare, nel panorama architettonico ed artistico contemporaneo, l’attenzione ad un’estetica che si fonda sul recupero di immagini passate attraverso anche l‘impiego di materiali opportunamente trattati. D’altro canto, la progettazione del restauro di strutture preesistenti, quando questa prende le distanze da scontate operazioni di ripristino, dichiara talvolta, più o meno larvatamente, un compiacimento nell’esaltare e/o mostrare la compagine storica con condiscendenze, talvolta, ad una riproposizione quasi scenografica della figuratività raggiunta. L’intento è, dunque, di sondare le diverse nozioni di bellezza nel fare progettuale contemporaneo, cercando, laddove possibile e con una visione retrospettiva della disciplina della conservazione, di individuarne alcune delle declinazioni.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.