Fin dai primi interventi condotti sul patrimonio architettonico napoletano a conclusione del secondo conflitto mondiale è possibile registrare un'estrema variabilità delle soluzioni adottate per la remissione dei danni prodotti dai bombardamenti. Soluzioni oscillanti tra la riproposizione dello status quo ante del monumento danneggiato attraverso il ricorso a materiali e tecniche costruttive proprie della tradizione ed esperienze di cantiere, al contrario, fiduciose nelle possibilità offerte da più giovani materiali convivono nel contesto napoletano del secondo dopoguerra. Nel tessuto urbano della città storica si assiste, accanto ad operazioni effettuate secondo una prassi consueta e in continuità con quanto condotto prima del conflitto, all'emergere di soluzioni progettuali che, rispetto sia ad esigenze di rafforzamento strutturale sia per l'integrazione di parti distrutte, pongono l'attenzione su sistemi di produzione fino ad allora esenti dal cantiere di restauro nonché sperimentano in corpore vili tecniche costruttive già impiegate, più diffusamente, nel cantiere del nuovo. La ricerca sviluppata nel biennio 2008-2010, pur focalizzando l'attenzione sugli effetti dei bombardamenti e sugli interventi condotti nel nucleo antico della città, ha visto emergere un buon numero di cantieri il cui carattere di novità rispetto al passato risiede essenzialmente nella "inedita" applicazione di moderni sistemi costruttivi – tra i quali spicca quello della prefabbricazione edilizia – per la ricomposizione di parti distrutte. Come verrà messo in evidenza nel contributo al volume, in particolare, il tema del ripristino delle coperture cassettonate degli spazi chiesastici, generalmente a valle della ricostruzione delle strutture di copertura, costituisce un interessante banco di prova in cui, considerata l'alta valenza formale della parte da risarcire, può assistersi al passaggio, tra gli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta del Novecento, da reintegrazioni effettuate con tecniche e materiali tradizionali al ricorso a modalità di produzione e messa in opera ben più "aggiornate" in taluni altri casi: se nella chiesa di Santa Maria della Stella, difatti, le due posizioni mostrano di succedersi attraverso la ricostruzione in legno del cassettonato del transetto (1948) e, all'opposto, in moduli di gesso fibrato ed armato (Sintelit) di quello della navata (1955-1957), nella basilica del Carmine si ricorre a quest'ultimo materiale di produzione industriale per il rifacimento del vasto cassettonato in parti prefabbricate in opera (1954). Particolare significato assume, rispetto al tema di ricerca, il frequente ricorso, nella ricostruzione delle coperture portate, alla S.A.D.I, azienda vicentina che, fondata nel 1908 e tuttora attiva, sarà anche impegnata nei cantieri postbellici della chiesa dei Gerolamini e del Palazzo Reale. Un'analoga fiducia verso tecniche e materiali moderni si esprimerà, nel medesimo arco di tempo, attraverso il rifacimento di coperture a cassettoni in calcestruzzo armato: oggetto di specifica riflessione nel biennio di ricerca sono state, in particolare, le vicende postbelliche della chiesa di Santa Maria del Popolo agli Incurabili la cui navata sarà conclusa nel 1954 da un cassettonato cementizio teso ad alludere al preesistente in forme "neutre". Cassettonato, quest'ultimo, che, con il proprio peso, ha contribuito al dissesto della fabbrica preesistente con un evidente aumento delle sollecitazioni in campo dinamico. Rispetto ad una maggioranza di cantieri tendenti a soluzioni "innovative", un caso singolare per cronologia e scelte progettuali è rappresentato dal restauro della chiesa del Gesù delle Monache dove il prezioso cassettonato ligneo danneggiato dalla guerra verrà restaurato, tra il 1955 ed il 1958, ancora con metodo filologico, integrando le parti originarie con nuovi elementi in legno, lavorati con cura nel dettaglio; il tutto sospeso ad una struttura di copertura composta da tredici travi metalliche a traliccio. Più in generale, effettuato un taglio cronologico incentrato sulla fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta, il contributo al volume intende far luce su un universo di cantieri finora poco sondati, che, per soluzioni tecniche, sembrano voler dimostrare l'emergere, nel periodo in questione, di modi di intervento che, pur radicandosi sui dettami della Carta di Atene e della Carta italiana del restauro, non si "standardizzano" in soluzioni ricorrenti ma intraprendono, piuttosto, la strada della sperimentazione di materiali "giovani" e pressoché ignorati fino ad allora nel cantiere di restauro dei monumenti. Ciò allo scopo ultimo di riflettere, di conseguenza, sulla risposta nel tempo delle soluzioni adottate, sulla loro durabilità e sugli effetti che, anche alla luce dei sismi del secondo Novecento, tali soluzioni hanno determinato sulla materia antica.
Restauro dei monumenti, produzione e industrializzazione edilizia. Intrecci nel cantiere napoletano del secondo dopoguerra / Russo, Valentina. - STAMPA. - (2011), pp. 379-388.
Restauro dei monumenti, produzione e industrializzazione edilizia. Intrecci nel cantiere napoletano del secondo dopoguerra
RUSSO, VALENTINA
2011
Abstract
Fin dai primi interventi condotti sul patrimonio architettonico napoletano a conclusione del secondo conflitto mondiale è possibile registrare un'estrema variabilità delle soluzioni adottate per la remissione dei danni prodotti dai bombardamenti. Soluzioni oscillanti tra la riproposizione dello status quo ante del monumento danneggiato attraverso il ricorso a materiali e tecniche costruttive proprie della tradizione ed esperienze di cantiere, al contrario, fiduciose nelle possibilità offerte da più giovani materiali convivono nel contesto napoletano del secondo dopoguerra. Nel tessuto urbano della città storica si assiste, accanto ad operazioni effettuate secondo una prassi consueta e in continuità con quanto condotto prima del conflitto, all'emergere di soluzioni progettuali che, rispetto sia ad esigenze di rafforzamento strutturale sia per l'integrazione di parti distrutte, pongono l'attenzione su sistemi di produzione fino ad allora esenti dal cantiere di restauro nonché sperimentano in corpore vili tecniche costruttive già impiegate, più diffusamente, nel cantiere del nuovo. La ricerca sviluppata nel biennio 2008-2010, pur focalizzando l'attenzione sugli effetti dei bombardamenti e sugli interventi condotti nel nucleo antico della città, ha visto emergere un buon numero di cantieri il cui carattere di novità rispetto al passato risiede essenzialmente nella "inedita" applicazione di moderni sistemi costruttivi – tra i quali spicca quello della prefabbricazione edilizia – per la ricomposizione di parti distrutte. Come verrà messo in evidenza nel contributo al volume, in particolare, il tema del ripristino delle coperture cassettonate degli spazi chiesastici, generalmente a valle della ricostruzione delle strutture di copertura, costituisce un interessante banco di prova in cui, considerata l'alta valenza formale della parte da risarcire, può assistersi al passaggio, tra gli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta del Novecento, da reintegrazioni effettuate con tecniche e materiali tradizionali al ricorso a modalità di produzione e messa in opera ben più "aggiornate" in taluni altri casi: se nella chiesa di Santa Maria della Stella, difatti, le due posizioni mostrano di succedersi attraverso la ricostruzione in legno del cassettonato del transetto (1948) e, all'opposto, in moduli di gesso fibrato ed armato (Sintelit) di quello della navata (1955-1957), nella basilica del Carmine si ricorre a quest'ultimo materiale di produzione industriale per il rifacimento del vasto cassettonato in parti prefabbricate in opera (1954). Particolare significato assume, rispetto al tema di ricerca, il frequente ricorso, nella ricostruzione delle coperture portate, alla S.A.D.I, azienda vicentina che, fondata nel 1908 e tuttora attiva, sarà anche impegnata nei cantieri postbellici della chiesa dei Gerolamini e del Palazzo Reale. Un'analoga fiducia verso tecniche e materiali moderni si esprimerà, nel medesimo arco di tempo, attraverso il rifacimento di coperture a cassettoni in calcestruzzo armato: oggetto di specifica riflessione nel biennio di ricerca sono state, in particolare, le vicende postbelliche della chiesa di Santa Maria del Popolo agli Incurabili la cui navata sarà conclusa nel 1954 da un cassettonato cementizio teso ad alludere al preesistente in forme "neutre". Cassettonato, quest'ultimo, che, con il proprio peso, ha contribuito al dissesto della fabbrica preesistente con un evidente aumento delle sollecitazioni in campo dinamico. Rispetto ad una maggioranza di cantieri tendenti a soluzioni "innovative", un caso singolare per cronologia e scelte progettuali è rappresentato dal restauro della chiesa del Gesù delle Monache dove il prezioso cassettonato ligneo danneggiato dalla guerra verrà restaurato, tra il 1955 ed il 1958, ancora con metodo filologico, integrando le parti originarie con nuovi elementi in legno, lavorati con cura nel dettaglio; il tutto sospeso ad una struttura di copertura composta da tredici travi metalliche a traliccio. Più in generale, effettuato un taglio cronologico incentrato sulla fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta, il contributo al volume intende far luce su un universo di cantieri finora poco sondati, che, per soluzioni tecniche, sembrano voler dimostrare l'emergere, nel periodo in questione, di modi di intervento che, pur radicandosi sui dettami della Carta di Atene e della Carta italiana del restauro, non si "standardizzano" in soluzioni ricorrenti ma intraprendono, piuttosto, la strada della sperimentazione di materiali "giovani" e pressoché ignorati fino ad allora nel cantiere di restauro dei monumenti. Ciò allo scopo ultimo di riflettere, di conseguenza, sulla risposta nel tempo delle soluzioni adottate, sulla loro durabilità e sugli effetti che, anche alla luce dei sismi del secondo Novecento, tali soluzioni hanno determinato sulla materia antica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.