Il primo convegno “Abitare il futuro”, promosso dal Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica della Facoltà di Architettura di Napoli, si proponeva come un momento di riflessione sulla “crisi ecologica” che investe la società contemporanea, aprendo così il confronto su differenti “idee di città del domani” e la riflessione sui possibili cambiamenti che l’attuale condizione di crisi impone al corpus disciplinare dell’architettura, dell’urbanistica e, in generale, di tutte le discipline che partecipano al processo di conformazione e gestione dello spazio fisico della città e del territorio. Come un plausibile riflesso di quanto avviene sulla scena più ampia del dibattito architettonico contemporaneo, il convegno sembra riflettere la contrapposizione tra coloro che ritengono che gli attuali «scenari siano destinati a mutare irreversibilmente i caratteri della città della storia e della sua architettura, con particolare riferimento ai territori fisici e concettuali della tradizione europea e italiana, e coloro che, al contrario, ritengono che contro lo strapotere del nuovo e del disordine da esso indotto non rimanga che ricorrere al compito più antico del nostro mestiere: trasformare il caos in ordine, raffinando gli strumenti messi a punto col tempo e l’esperienza. In realtà, questa contrapposizione che anima il dibattito architettonico da almeno vent’anni, sembra a sua volta essere origine di un’altra, e forse altrettanto profonda, crisi: quella dell’architettura contemporanea che sempre più spesso produce immagini “nuove, innovative e spettacolari” che non riescono da sole a riscattare il degrado dell’esistente. D’altro canto anche l’atteggiamento di chi rivendica la necessità di una tradizione disciplinare, rischia talvolta di tradursi una posizione di rifiuto del cambiamento e dunque in una negazione dei processi che hanno determinato le condizioni di crisi che oggi l’architettura, come tutte le altre discipline, è chiamata a gestire. In molti degli interventi presentati al convegno è possibile tuttavia, leggere più che una logica di contrapposizione, l’ aspirazione ad una modificazione della disciplina che, senza rinnegare i suoi fondamenti e le sue strutture, prova tuttavia da aprirsi a nuove interpretazioni e nuovi modelli del territorio e della città contemporanei. Gli anni ’80 segnano secondo alcuni la fine di un’idea di progetto “forte” che trova il proprio sistema di regole assolute e universali nello studio della città storica. Di fatto è la rinuncia di una logica strettamente scientifica che sostituisce la “necessità di una teoria” con la ricerca di un metodo. In anni decisamente più recenti Andrea Branzi, parla di una modernità debole e diffusa capace di lavorare per modelli di urbanizzazione debole, cioè reversibili, evolutivi, provvisori, che corrispondono direttamente alle necessità mutanti di una società riformista, che rielabora continuamente il proprio assetto sociale e territoriale, dismettendo e ri-funzionalizzando la città»; una modernità, quella del XXI secolo, che produce un’«architettura rivolta a superare i limiti dell’edificio come concentrazione strutturale e tipologica, per attivare modalità e prestazioni diffuse nell’ambiente oltre i confini tradizionali della singola costruzione, diventando un sistema aperto di componentistica ambientale. Dicevamo dunque crisi come sinonimo di cambiamento. Così mentre alla crisi disciplinare l’architettura cerca di reagire “cambiando” la propria struttura disciplinare, alla crisi ecologica, ha tentato e tenta di rispondere traducendo la necessità di “cambiamento” in termini di “sostenibilità”. “Cambiamento” è termine quanto mai generico che forse conviene esplorare attraverso parole chiave in grado di declinare, come plausibili sinonimi, le differenti sfaccettature del termine. In questo articolo, si prova a rintracciare un fil rouge traalcuni degli interventi presentati attraverso tre parole chiave: innovazione, mutazione, modificazione.
Declinare la crisi / Interpretare il cambiamento / Scala, Paola. - STAMPA. - (2011), pp. 212-224.
Declinare la crisi / Interpretare il cambiamento
SCALA, PAOLA
2011
Abstract
Il primo convegno “Abitare il futuro”, promosso dal Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica della Facoltà di Architettura di Napoli, si proponeva come un momento di riflessione sulla “crisi ecologica” che investe la società contemporanea, aprendo così il confronto su differenti “idee di città del domani” e la riflessione sui possibili cambiamenti che l’attuale condizione di crisi impone al corpus disciplinare dell’architettura, dell’urbanistica e, in generale, di tutte le discipline che partecipano al processo di conformazione e gestione dello spazio fisico della città e del territorio. Come un plausibile riflesso di quanto avviene sulla scena più ampia del dibattito architettonico contemporaneo, il convegno sembra riflettere la contrapposizione tra coloro che ritengono che gli attuali «scenari siano destinati a mutare irreversibilmente i caratteri della città della storia e della sua architettura, con particolare riferimento ai territori fisici e concettuali della tradizione europea e italiana, e coloro che, al contrario, ritengono che contro lo strapotere del nuovo e del disordine da esso indotto non rimanga che ricorrere al compito più antico del nostro mestiere: trasformare il caos in ordine, raffinando gli strumenti messi a punto col tempo e l’esperienza. In realtà, questa contrapposizione che anima il dibattito architettonico da almeno vent’anni, sembra a sua volta essere origine di un’altra, e forse altrettanto profonda, crisi: quella dell’architettura contemporanea che sempre più spesso produce immagini “nuove, innovative e spettacolari” che non riescono da sole a riscattare il degrado dell’esistente. D’altro canto anche l’atteggiamento di chi rivendica la necessità di una tradizione disciplinare, rischia talvolta di tradursi una posizione di rifiuto del cambiamento e dunque in una negazione dei processi che hanno determinato le condizioni di crisi che oggi l’architettura, come tutte le altre discipline, è chiamata a gestire. In molti degli interventi presentati al convegno è possibile tuttavia, leggere più che una logica di contrapposizione, l’ aspirazione ad una modificazione della disciplina che, senza rinnegare i suoi fondamenti e le sue strutture, prova tuttavia da aprirsi a nuove interpretazioni e nuovi modelli del territorio e della città contemporanei. Gli anni ’80 segnano secondo alcuni la fine di un’idea di progetto “forte” che trova il proprio sistema di regole assolute e universali nello studio della città storica. Di fatto è la rinuncia di una logica strettamente scientifica che sostituisce la “necessità di una teoria” con la ricerca di un metodo. In anni decisamente più recenti Andrea Branzi, parla di una modernità debole e diffusa capace di lavorare per modelli di urbanizzazione debole, cioè reversibili, evolutivi, provvisori, che corrispondono direttamente alle necessità mutanti di una società riformista, che rielabora continuamente il proprio assetto sociale e territoriale, dismettendo e ri-funzionalizzando la città»; una modernità, quella del XXI secolo, che produce un’«architettura rivolta a superare i limiti dell’edificio come concentrazione strutturale e tipologica, per attivare modalità e prestazioni diffuse nell’ambiente oltre i confini tradizionali della singola costruzione, diventando un sistema aperto di componentistica ambientale. Dicevamo dunque crisi come sinonimo di cambiamento. Così mentre alla crisi disciplinare l’architettura cerca di reagire “cambiando” la propria struttura disciplinare, alla crisi ecologica, ha tentato e tenta di rispondere traducendo la necessità di “cambiamento” in termini di “sostenibilità”. “Cambiamento” è termine quanto mai generico che forse conviene esplorare attraverso parole chiave in grado di declinare, come plausibili sinonimi, le differenti sfaccettature del termine. In questo articolo, si prova a rintracciare un fil rouge traalcuni degli interventi presentati attraverso tre parole chiave: innovazione, mutazione, modificazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.