All'inizio la ragione è così vicina alla follia; all'inizio ogni foglio è bianco e ogni discorso è senza parola: si può dire ogni cosa. Chi può dirlo? L'inizio è come la porta girevole dell'infinito ed è la croce di ogni filosofia che voglia presentarsi come sapere assoluto. La follia della ragione è all’inizio del suo imporsi. Iniziare è lasciarsi dietro l'infinito e attraversarlo, fin quasi a rivoltarlo per passare dall'infinito della follia, dove tutto è possibile, all'infinito della ragione, dove tutto è determinato. L’infinito è disumano. Ci si perde. Ogni suo punto è qualsiasi punto (Borges). Non ha inizio e non ha fine. Come il mondo di Kant che finisce e non finisce mai. Inizia e non inizia. Eppure è la ragione a produrre il suo paralogismo, girando su stessa. L’Io penso la sostiene come certezza assoluta (Descartes) e vi si sostiene come in cerca di una vera identità, senza certezza alcuna (Nietzsche). L’"anagrafe della follia" rappresenta il registro dei molti nomi che attraversano l’Io, quasi che l’Io, ogni io, sia un punto per il quale passano infiniti nomi. Nietzsche e i suoi nomi. Kierkegaard e i suoi pseudonomi. Platone e i nomi dei dialoghi. Husserl e gli adombramenti della “cosa stessa” vissuta nell’apprensione percettiva. Sono questi i “registri” anagrafici raccolti nel testo. Risalire all’Origine, andare all’Inizio è quasi un tentativo di giungere a un punto d’insorgenza in cui l’infinito possa cominciare, indicando un cammino, uguale e comune, non universale, entro il quale raccogliere la storia di passi e di passaggi senza fine. La Fenomenologia e il Nichilismo giungono fino all’"origine" per ritrovarsi "sempre di nuovo" (Husserl) nell’istante (Nietzsche), che ritorna, adesso. Entrambi permettono di rivelare come per l'origine si tratta non più del gesto del rivolgersi in se stessi, a un altro, altri, mostrando come nel “nome” proprio sia raccolta la funzione della “parola” che si fa “nomos”, Legge, nomade di un racconto improprio. L'origine è un gesto di parole. Voce. Si dà alla presenza dell’altro, dell’altra, dichiarando la propria impreparazione al presentarsi del "per-la-prima-volta" di ciò che non si è appreso: l’esistenza impropria e la semplice vita. Il testo rimanda al compito etico del legame più importante tra il mondo e la vita che è all’inizio e alla fine del processo formativo, facendosene perciò principio.
L'anagrafe della folliao del racconto infinito dell'esistenza impropria / Ferraro, Giuseppe. - STAMPA. - 1:(1998), pp. 269-293.
L'anagrafe della folliao del racconto infinito dell'esistenza impropria
FERRARO, GIUSEPPE
1998
Abstract
All'inizio la ragione è così vicina alla follia; all'inizio ogni foglio è bianco e ogni discorso è senza parola: si può dire ogni cosa. Chi può dirlo? L'inizio è come la porta girevole dell'infinito ed è la croce di ogni filosofia che voglia presentarsi come sapere assoluto. La follia della ragione è all’inizio del suo imporsi. Iniziare è lasciarsi dietro l'infinito e attraversarlo, fin quasi a rivoltarlo per passare dall'infinito della follia, dove tutto è possibile, all'infinito della ragione, dove tutto è determinato. L’infinito è disumano. Ci si perde. Ogni suo punto è qualsiasi punto (Borges). Non ha inizio e non ha fine. Come il mondo di Kant che finisce e non finisce mai. Inizia e non inizia. Eppure è la ragione a produrre il suo paralogismo, girando su stessa. L’Io penso la sostiene come certezza assoluta (Descartes) e vi si sostiene come in cerca di una vera identità, senza certezza alcuna (Nietzsche). L’"anagrafe della follia" rappresenta il registro dei molti nomi che attraversano l’Io, quasi che l’Io, ogni io, sia un punto per il quale passano infiniti nomi. Nietzsche e i suoi nomi. Kierkegaard e i suoi pseudonomi. Platone e i nomi dei dialoghi. Husserl e gli adombramenti della “cosa stessa” vissuta nell’apprensione percettiva. Sono questi i “registri” anagrafici raccolti nel testo. Risalire all’Origine, andare all’Inizio è quasi un tentativo di giungere a un punto d’insorgenza in cui l’infinito possa cominciare, indicando un cammino, uguale e comune, non universale, entro il quale raccogliere la storia di passi e di passaggi senza fine. La Fenomenologia e il Nichilismo giungono fino all’"origine" per ritrovarsi "sempre di nuovo" (Husserl) nell’istante (Nietzsche), che ritorna, adesso. Entrambi permettono di rivelare come per l'origine si tratta non più del gesto del rivolgersi in se stessi, a un altro, altri, mostrando come nel “nome” proprio sia raccolta la funzione della “parola” che si fa “nomos”, Legge, nomade di un racconto improprio. L'origine è un gesto di parole. Voce. Si dà alla presenza dell’altro, dell’altra, dichiarando la propria impreparazione al presentarsi del "per-la-prima-volta" di ciò che non si è appreso: l’esistenza impropria e la semplice vita. Il testo rimanda al compito etico del legame più importante tra il mondo e la vita che è all’inizio e alla fine del processo formativo, facendosene perciò principio.File | Dimensione | Formato | |
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