L’incipit della storia di ciascuno di noi viene scritto da altri. Ed anche molte pagine della nostra vita vengono scritte da altri o, nel migliore dei casi, con altri. Diversi autori hanno utilizzato metafore teatrali per dar conto della venuta al mondo di un bambino: nascere equivale ad essere gettati su un palcoscenico sul quale la rappresentazione è già cominciata e si riceve un copione già scritto. A volte il copione ha delle pagine strappate, che riguardano episodi su cui verrà imposto il segreto e che potrebbero rimanere per sempre irrappresentabili, “ombre sul cuore”, fantasmi incriptati; e delle pagine finali già riempite con inchiostro che sembra indelebile. Quando e come diventiamo davvero autori del racconto della nostra vita? È possibile aggiungere le pagine mancanti, rimediando ai “furti di verità” che abbiamo subìto, e mantenere un finale aperto? E, soprattutto, che relazione c’è fra il fluire esperienziale dell’esistenza e la sua narrazione, se il passato è immodificabile? Sotto certi aspetti alcune psicoterapie si configurano proprio come riscritture della propria storia, possibili perché collocate entro un particolare tipo di relazione, con un altro che ha conquistato la nostra piena fiducia. Ma anche fuori dai setting terapeutici, ad esempio nei contesti educativi, si può narrare e scrivere della propria vita, costruendo un nuovo significato retrospettivo e prospettico, riappropriandosi dei diritti di autore sul passato e soprattutto sul futuro, a patto di incontrare interlocutori capaci di accogliere, comprendere, condividere. Fin dall’infanzia ci mettiamo alla ricerca di altri di cui poterci fidare, che non dubiteranno della nostra verità e manterranno fino in fondo il “coraggio di crederci”: sono spesso questi incontri che ci consentono di trovare le parole che aprono “porte chiuse da sempre”, oltre le quali si celano cripte o giardini segreti. La scrittura, in particolare, si svolge secondo tempi e modalità che rispettano la lentezza e la fatica interna della comprensione e del cambiamento. Scrivere consente di cercare con cura dentro di sé, limando ogni singola parola, lasciandosi andare – non visti – ad emozioni e pensieri. Scrivere permette di confrontare i nostri stessi mutamenti di prospettiva – tanto che a volte, rileggendoci, non ci riconosciamo più - e di scegliere il momento giusto per esporsi – o non esporsi - ad uno o più lettori. Così nasce parte della grande letteratura autobiografica ma così nascono anche diari, lettere, poesie, bozze di potenziali romanzi, canovacci di tutti i tipi, persino compiti scolastici, testi di esercitazioni laboratoriali entro i quali è possibile trovare tracce di piccoli miracoli, come quello di “diventare grandi da grandi”, ossia di consentirsi una nuova infanzia sia attraverso la scrittura che nel gioco e nella leggerezza della vita vissuta. Le mie citazioni qui sono parole di Paola Calvi, che della sua autobiografia scrive: “è la storia del ritrovamento di ricordi smarriti o bloccati, e della costruzione dell’immagine della favola della mia vita, vista coi miei occhi, solo per guardarla finita e poi lasciarla andare. Per chiudere una stagione e iniziare a viverne un’altra. Senza sentire più quell’ombra sul cuore che mi ha tenuto compagnia per molto, moltissimo tempo”.
L’autobiografia: ritrovare il valore di sé attraverso la scrittura / Parrello, Santa. - (2014). (Intervento presentato al convegno Le parole per dirlo: percorsi alternativi di accoglienza, prevenzione e cura nell’abuso sessuale tenutosi a Antisala dei Baroni, Sede del Comune, Napoli nel 22 settembre 2014).
L’autobiografia: ritrovare il valore di sé attraverso la scrittura
PARRELLO, SANTA
2014
Abstract
L’incipit della storia di ciascuno di noi viene scritto da altri. Ed anche molte pagine della nostra vita vengono scritte da altri o, nel migliore dei casi, con altri. Diversi autori hanno utilizzato metafore teatrali per dar conto della venuta al mondo di un bambino: nascere equivale ad essere gettati su un palcoscenico sul quale la rappresentazione è già cominciata e si riceve un copione già scritto. A volte il copione ha delle pagine strappate, che riguardano episodi su cui verrà imposto il segreto e che potrebbero rimanere per sempre irrappresentabili, “ombre sul cuore”, fantasmi incriptati; e delle pagine finali già riempite con inchiostro che sembra indelebile. Quando e come diventiamo davvero autori del racconto della nostra vita? È possibile aggiungere le pagine mancanti, rimediando ai “furti di verità” che abbiamo subìto, e mantenere un finale aperto? E, soprattutto, che relazione c’è fra il fluire esperienziale dell’esistenza e la sua narrazione, se il passato è immodificabile? Sotto certi aspetti alcune psicoterapie si configurano proprio come riscritture della propria storia, possibili perché collocate entro un particolare tipo di relazione, con un altro che ha conquistato la nostra piena fiducia. Ma anche fuori dai setting terapeutici, ad esempio nei contesti educativi, si può narrare e scrivere della propria vita, costruendo un nuovo significato retrospettivo e prospettico, riappropriandosi dei diritti di autore sul passato e soprattutto sul futuro, a patto di incontrare interlocutori capaci di accogliere, comprendere, condividere. Fin dall’infanzia ci mettiamo alla ricerca di altri di cui poterci fidare, che non dubiteranno della nostra verità e manterranno fino in fondo il “coraggio di crederci”: sono spesso questi incontri che ci consentono di trovare le parole che aprono “porte chiuse da sempre”, oltre le quali si celano cripte o giardini segreti. La scrittura, in particolare, si svolge secondo tempi e modalità che rispettano la lentezza e la fatica interna della comprensione e del cambiamento. Scrivere consente di cercare con cura dentro di sé, limando ogni singola parola, lasciandosi andare – non visti – ad emozioni e pensieri. Scrivere permette di confrontare i nostri stessi mutamenti di prospettiva – tanto che a volte, rileggendoci, non ci riconosciamo più - e di scegliere il momento giusto per esporsi – o non esporsi - ad uno o più lettori. Così nasce parte della grande letteratura autobiografica ma così nascono anche diari, lettere, poesie, bozze di potenziali romanzi, canovacci di tutti i tipi, persino compiti scolastici, testi di esercitazioni laboratoriali entro i quali è possibile trovare tracce di piccoli miracoli, come quello di “diventare grandi da grandi”, ossia di consentirsi una nuova infanzia sia attraverso la scrittura che nel gioco e nella leggerezza della vita vissuta. Le mie citazioni qui sono parole di Paola Calvi, che della sua autobiografia scrive: “è la storia del ritrovamento di ricordi smarriti o bloccati, e della costruzione dell’immagine della favola della mia vita, vista coi miei occhi, solo per guardarla finita e poi lasciarla andare. Per chiudere una stagione e iniziare a viverne un’altra. Senza sentire più quell’ombra sul cuore che mi ha tenuto compagnia per molto, moltissimo tempo”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.