Capua, tra le più prospere e sviluppate città del Regno tra tardo medioevo e prima età moderna, mostra un interesse costante per il proprio passato classico. La città nuova, di fondazione longobarda, osserva da vicino le vestigia abbandonate della Capua vetus, e cerca di ricostruire la sua storia remota. È la città stessa, tramite i suoi Eletti, a farsi carico di una politica culturale molto sensibile all’influenza dell’umanesimo latino, una politica che vede nella valorizzazione del passato classico un elemento imprescindibile della salvaguardia della propria identità civica. Nel Cinquecento si susseguono le iniziative finalizzate all’indagine dell’antico, e tuttavia la città dovette attendere la metà del Seicento perché venisse pubblicata una trattazione antiquaria sistematica sulle antichità locali, ad opera di Camillo Pellegrino junior (Apparato alle antichità di Capua, 1651). Nell’intervento si cercherà di indagare questa apparente anomalia, frutto verosimilmente delle difficoltà che la pur nutrita storiografia locale incontrava nel ripercorrere in diacronia la storia della propria città: come testimonia Flavio Biondo, nel Quattrocento i Capuani ignoravano chi avesse fondato la città nuova, e ignoravano le circostanze che avevano causato la soluzione della continuità abitativa. Nel Cinquecento il quadro non era mutato di molto. Solo a metà Seicento, con la pubblicazione delle fonti longobarde ad opera dello stesso Pellegrino (Historia principum Langobardorum, 1643-44), tutte le tessere del mosaico storico capuano vennero collocate con chiarezza al loro posto, consentendo un più agevole studio anche dell’antichità classica.
Due siti, una città. L’antiquaria capuana alla ricerca del proprio passato / Miletti, Lorenzo. - (2012). (Intervento presentato al convegno Nola, Capua, Fondi, Sessa Aurunca tenutosi a Napoli, Università Federico II, Biblioteca BRAU nel 20 settembre 2012).
Due siti, una città. L’antiquaria capuana alla ricerca del proprio passato
MILETTI, LORENZO
2012
Abstract
Capua, tra le più prospere e sviluppate città del Regno tra tardo medioevo e prima età moderna, mostra un interesse costante per il proprio passato classico. La città nuova, di fondazione longobarda, osserva da vicino le vestigia abbandonate della Capua vetus, e cerca di ricostruire la sua storia remota. È la città stessa, tramite i suoi Eletti, a farsi carico di una politica culturale molto sensibile all’influenza dell’umanesimo latino, una politica che vede nella valorizzazione del passato classico un elemento imprescindibile della salvaguardia della propria identità civica. Nel Cinquecento si susseguono le iniziative finalizzate all’indagine dell’antico, e tuttavia la città dovette attendere la metà del Seicento perché venisse pubblicata una trattazione antiquaria sistematica sulle antichità locali, ad opera di Camillo Pellegrino junior (Apparato alle antichità di Capua, 1651). Nell’intervento si cercherà di indagare questa apparente anomalia, frutto verosimilmente delle difficoltà che la pur nutrita storiografia locale incontrava nel ripercorrere in diacronia la storia della propria città: come testimonia Flavio Biondo, nel Quattrocento i Capuani ignoravano chi avesse fondato la città nuova, e ignoravano le circostanze che avevano causato la soluzione della continuità abitativa. Nel Cinquecento il quadro non era mutato di molto. Solo a metà Seicento, con la pubblicazione delle fonti longobarde ad opera dello stesso Pellegrino (Historia principum Langobardorum, 1643-44), tutte le tessere del mosaico storico capuano vennero collocate con chiarezza al loro posto, consentendo un più agevole studio anche dell’antichità classica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.