Lo studio offre un ampio quadro della presenza della guerra nella letteratura italiana del Novecento, presentando lo svolgimento di un tema dalle importanti ricadute formali: la presenza della guerra anche in opere letterarie il cui tema non è direttamente collegato con l’esperienza bellica. L’analisi verte su aspetti strutturali ricorrenti: il trattamento della scansione del tempo, l’organizzazione degli spazi, l’impostazione allegorica della costruzione narrativa. In particolare, il lavoro analitico mostra che diverse ragioni – legate, da un lato, alla specifica storia d’Italia e, dall’altro, alla natura della rappresentazione del trauma – hanno fatto sì che un notevole numero di romanzi e componimenti poetici presentino disturbi nella sequenza temporale, con una forte tendenza alla sovrapposizione o al collegamento abrupto di epoche differenti. Ne va della difficoltà se non impossibilità di raccontare il trauma, grande questione che ha caratterizzato la riflessione filosofica, letteraria, storica, sociologica e giuridica del Novecento, soprattutto negli ultimi decenni del secolo, introducendo una nuova critica della testimonianza. La ricerca ha messo in evidenza che nei testi presi in esame è spesso presente il tema della giovinezza e della orfanità. La frequenza con cui scrittori molto diversi tra loro (da Goffredo Parise a Italo Calvino, da Giuseppe Berto a Cesare Pavese ed Elsa Morante) hanno deciso di orchestrare i loro racconti intorno a bambini o ragazzini orfani, al di là delle risonanze mitologiche o psicologiche, appare il segnale di quella frattura che la guerra opera all’interno della serie generazionale, impedendo il costituirsi di una tradizione comune. La tesi alla base del libro è che la letteratura, in quanto forma d’arte, si pone come obiettivo la permanenza dei fatti, vissuti o inventati che essi siano: permanenza ottenuta col trasferimento di una determinata esperienza al lettore, il quale ne diviene il depositario. Se la letteratura tende a «risolvere i problemi posti dalla storia», come è stato detto, ciò avviene perché la sua carica concettuale è sempre risolta in forme che “agitano” l’affettività del lettore, coinvolgendolo nell’enigma che quei problemi gli pongono e conducendolo a quella «intelligenza delle emozioni» di cui ha più volte parlato Ezio Raimondi.
Un orizzonte permanente. La traccia della guerra nella letteratura italiana del Novecento / Alfano, Giancarlo. - (2012), pp. IX-360.
Un orizzonte permanente. La traccia della guerra nella letteratura italiana del Novecento
ALFANO, GIANCARLO
2012
Abstract
Lo studio offre un ampio quadro della presenza della guerra nella letteratura italiana del Novecento, presentando lo svolgimento di un tema dalle importanti ricadute formali: la presenza della guerra anche in opere letterarie il cui tema non è direttamente collegato con l’esperienza bellica. L’analisi verte su aspetti strutturali ricorrenti: il trattamento della scansione del tempo, l’organizzazione degli spazi, l’impostazione allegorica della costruzione narrativa. In particolare, il lavoro analitico mostra che diverse ragioni – legate, da un lato, alla specifica storia d’Italia e, dall’altro, alla natura della rappresentazione del trauma – hanno fatto sì che un notevole numero di romanzi e componimenti poetici presentino disturbi nella sequenza temporale, con una forte tendenza alla sovrapposizione o al collegamento abrupto di epoche differenti. Ne va della difficoltà se non impossibilità di raccontare il trauma, grande questione che ha caratterizzato la riflessione filosofica, letteraria, storica, sociologica e giuridica del Novecento, soprattutto negli ultimi decenni del secolo, introducendo una nuova critica della testimonianza. La ricerca ha messo in evidenza che nei testi presi in esame è spesso presente il tema della giovinezza e della orfanità. La frequenza con cui scrittori molto diversi tra loro (da Goffredo Parise a Italo Calvino, da Giuseppe Berto a Cesare Pavese ed Elsa Morante) hanno deciso di orchestrare i loro racconti intorno a bambini o ragazzini orfani, al di là delle risonanze mitologiche o psicologiche, appare il segnale di quella frattura che la guerra opera all’interno della serie generazionale, impedendo il costituirsi di una tradizione comune. La tesi alla base del libro è che la letteratura, in quanto forma d’arte, si pone come obiettivo la permanenza dei fatti, vissuti o inventati che essi siano: permanenza ottenuta col trasferimento di una determinata esperienza al lettore, il quale ne diviene il depositario. Se la letteratura tende a «risolvere i problemi posti dalla storia», come è stato detto, ciò avviene perché la sua carica concettuale è sempre risolta in forme che “agitano” l’affettività del lettore, coinvolgendolo nell’enigma che quei problemi gli pongono e conducendolo a quella «intelligenza delle emozioni» di cui ha più volte parlato Ezio Raimondi.File | Dimensione | Formato | |
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