Le corrispondenze epistolari e le altre fonti diplomatiche prodotte negli stati italiani del tardo Medioevo, di diversa consistenza a seconda del contesto (Napoli, Firenze, Milano, Mantova e Ferrara), sono vagliate alla ricerca del potenziale decantare in regola – per quanto informale – di pratiche sempre più condivise e diffuse. I singoli paragrafi, concentrati sul secondo Quattrocento, ruotano attorno a una serie di elementi comuni: il panorama delle fonti, la peculiarità del contesto, il rapporto fra la pratica e le eventuali norme generali, la fisionomia dell’ambasciatore e i suoi comportamenti, i linguaggi. Il caso napoletano e quello fiorentino dimostrano come nella prassi si andassero formando un lessico e una topica dell’ambasciatore, che non erano esclusivi dell’attività diplomatica e che non potevano certo attingere all’organicità della trattatistica più matura, ma che di essa anticiparono molti motivi. I fondi diplomatici di Mantova e di Ferrara evidenziano d’un lato l’assoluta pragmaticità del procedere dei vari agenti della diplomazia, dall’altro l’enfasi sulla negoziazione e sulla raccolta dell’informazione. Le corrispondenze milanesi, a partire da quelle con Venezia, consentono di analizzare la pratica diplomatica che gli stati italiani elaborarono dopo la pace di Lodi: si fissò un “canone italico” che riguardava l’elaborazione delle scritture, le regole di comportamento e la socialità.
Pratiche e norme di comportamento nella diplomazia italiana: i carteggi di Napoli, Firenze, Milano, Mantova e Ferrara tra fine XIV e fine XV secolo / Covini, Nadia; Lazzarini, Isabella; Figliuolo, Bruno; Senatore, Francesco. - (2015), pp. 113-161.
Pratiche e norme di comportamento nella diplomazia italiana: i carteggi di Napoli, Firenze, Milano, Mantova e Ferrara tra fine XIV e fine XV secolo
LAZZARINI, ISABELLA;FIGLIUOLO, BRUNO;SENATORE, FRANCESCO
2015
Abstract
Le corrispondenze epistolari e le altre fonti diplomatiche prodotte negli stati italiani del tardo Medioevo, di diversa consistenza a seconda del contesto (Napoli, Firenze, Milano, Mantova e Ferrara), sono vagliate alla ricerca del potenziale decantare in regola – per quanto informale – di pratiche sempre più condivise e diffuse. I singoli paragrafi, concentrati sul secondo Quattrocento, ruotano attorno a una serie di elementi comuni: il panorama delle fonti, la peculiarità del contesto, il rapporto fra la pratica e le eventuali norme generali, la fisionomia dell’ambasciatore e i suoi comportamenti, i linguaggi. Il caso napoletano e quello fiorentino dimostrano come nella prassi si andassero formando un lessico e una topica dell’ambasciatore, che non erano esclusivi dell’attività diplomatica e che non potevano certo attingere all’organicità della trattatistica più matura, ma che di essa anticiparono molti motivi. I fondi diplomatici di Mantova e di Ferrara evidenziano d’un lato l’assoluta pragmaticità del procedere dei vari agenti della diplomazia, dall’altro l’enfasi sulla negoziazione e sulla raccolta dell’informazione. Le corrispondenze milanesi, a partire da quelle con Venezia, consentono di analizzare la pratica diplomatica che gli stati italiani elaborarono dopo la pace di Lodi: si fissò un “canone italico” che riguardava l’elaborazione delle scritture, le regole di comportamento e la socialità.File | Dimensione | Formato | |
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