Il libro indaga l’archetipo dell’Ipostilo come singolare modalità di “edificazione dello spazio” architettonico che si caratterizza per uno stringente rapporto tra costruzione elementare – a partire dal sistema trilitico architravato fino a quello reticolare spaziale – e misura normata della ripetizione uniforme o differenziata di un medesimo elemento – la colonna/sostegno nelle sue tante declinazioni – sia esso deputato o meno a sostenere una copertura. La necessità di soffermarsi su questa sintetica idea di costruzione nasce dalla volontà di riflettere ancora sull’essenza dell’architettura, sul progetto come modo specifico della conoscenza della realtà e sul rapporto sempre fertile tra tradizione e innovazione, tra retaggio e futuro, tra le forme e la loro appropriatezza contro la programmatica negazione (tipicamente postmoderna e debolista) di ogni fondamento o verità anche provvisoria, di ogni riferimento stabile in cui è immersa parte consistente dell’architettura contemporanea interessata piuttosto alla ricerca soggettiva dell’inedito e del sorprendente in un progressivo e incessante delirio nichilista e relativista. Se è vero, come affermava GUSTAVE COURBET contrapponendosi a un eccessivo processo di idealizzazione dell’arte che «è necessario conoscere per potere», allora il ritorno agli archetipi, la loro evocazione, vuole inscriversi in un punto di vista razionale secondo il quale l’ideazione non può essere confusa con la creazione ab nihilo di aggregati informi e virtuali. Una posizione teorica e operativa in cui le forme aspirano a una lunga durata e devono rendersi intellegibili delle loro motivazioni per esprimere con chiarezza e adeguatezza i rinnovati temi che di volta in volta la collettività ci potrà proporre nel tentativo di risolvere le sue contraddizioni e non solo accettandole o estetizzandole. Un’opzione razionale – in un momento in cui sembra essere legittimo solo l’atteggiamento relativista per cui l’unica punto di vista accettabile sarebbe quello di non avere un punto di vista – che si traduce immediatamente in una stretta relazione con la realtà poiché come ha affermato ALDO ROSSI «L’architettura razionale non è una visione estetica o morale, un modo di vivere, ma l’unica risposta sistematica ai problemi posti dalla realtà». Una realtà che va “accertata” e non “accettata” o riflessa in termini costatativi, indagata e conosciuta in profondità come condizione di partenza per la sua modificazione e trasformazione progressiva attraverso la ragione. La razionalità, in questo senso, rappresenta un orizzonte imprescindibile del pensiero – la ragione per SANT’AGOSTINO, rimane «il principio di tutto l’operare umano» – e lo è in particolare di una sua forma concreta, di una sua manifestazione reale che è appunto l’architettura. Infatti, come ci ricorda ERACLITO, «la ragione è comune a tutti», universale come lo è, in senso “numinoso”, l’archetipo essendo ciò che con chiarezza si rende comprensibile consentendo alla architettura una ricezione allargata, generalizzata, collettiva: in tal senso si spiega l’insistenza sugli archetipi quali strutture pre-discorsive e permanenti, poste prima delle mobili narrazioni, delle soggettive interpretazioni, delle false descrizioni. La trattazione quindi del tema assunto si articola in tre parti correlate, messe in sequenza solo per comodità discorsiva. La prima, riguardante i Principia, indaga il senso e il valore germinale dell’archetipo in senso generale e poi in ambito squisitamente architettonico definendo lo spazio innanzitutto come conformazione di un interno che muove dalla disposizione di forme in stretta relazione con l’identità tra architettura e costruzione tettonica previa l’adozione di procedure proporzionali e sintattiche di controllo. La parte seconda, sugli Elementa, discutendo della mutua articolazione degli elementi primordiali e costituenti gli edifici pubblici – non solo individuati nel tetto su sostegni puntuali e nel recinto riferimto al sistema continuo murario – perverrà a individuare nell’Ipostilo – che nel seguito dovrà intendersi sempre come “archetipo dell’Ipostilo”– l’origine e il principio costitutivo dei tipi collettivi assieme all’aula (contrapposti al labirinto dedalico) chiarendo la differenza e complementarietà tra queste due sintetiche idee di organizzazione della forma dello spazio comunitario. Sarà inoltre indagata l’ascendenza dell’Ipostilo da alcune “quasi regolari” organizzazioni e conformazioni presenti in natura non per mimesi delle forme ma come analogia della struttura ordinata che le sottende. A queste due parti squisitamente teoriche – riaffermando la circolarità tra teoria e opere, tra Principia ed Exempla come condizione ineliminabile dell’arte del costruire – corrisponderà, nel definire alcune questioni di fondo, la terza parte che, nell’esaminare la persistenza di tale archetipo nel corso dello spessore storico dell’architettura occidentale, perverrà alla sua riformulazione nel moderno nelle ricerche dei suoi riconosciuti maestri e indagherà analiticamente numerose architetture realizzate o progettate, alcune paradigmatiche, altre emblematiche, altre confondenti nei modi di adozione dell’Ipostilo al fine di comprendere i differenti assetti compositivi sondati e messi a punto nelle varie stagioni culturali individuando corrispondenze sincroniche con sorprendenti e rassicuranti riformulazioni e riprese di soluzioni e assetti molto distanti nel tempo e nello spazio. Infine nella quarta e ultima parte – Modus hodiernus/Futurum – si farà vedere come nell’architettura contemporanea l’Ipostilo si caricherà di ulteriori valenze ponendosi come dispositivo potente e versatile in grado di declinare, in termini interscalari, una moltitudine di temi soprattutto in ambito urbano, con una amplificazione dimensionale densa di sperimentazioni e trasversalità di significati mai sondate in precedenza. Completano il volume gli Addenda con alcuni rilevanti contributi di studiosi e colleghi – CARLO MOCCIA (per il Saggio Introduttivo), ARMANDO DAL FABBRO, FRANCO DEFILIPPIS, GAETANO FUSCO, MARCO MANNINO, DINA NENCINI, PIETRO NUNZIANTE, MARIA LAURA POLIGNANO, MIRKO RUSSO, FEDERICA VISCONTI – cui va il mio sentito ringraziamento. Ulteriori e preziosi approfondimenti, condotti da punti di vista condivisi e complementari che, se da un lato hanno focalizzato alcuni aspetti teorici utilizzando sovente alcuni degli esempi di autori e maestri già evocati nel testo, dall’altro hanno contribuito a definire, nel loro complesso, in maniera ancor più significativa e ampia, il senso e il carattere delle architetture ipostile che qui si sono volute indagare.
L’architettura dell’Ipostilo / Capozzi, Renato. - (2016), pp. 1-208.
L’architettura dell’Ipostilo
CAPOZZI, RENATO
2016
Abstract
Il libro indaga l’archetipo dell’Ipostilo come singolare modalità di “edificazione dello spazio” architettonico che si caratterizza per uno stringente rapporto tra costruzione elementare – a partire dal sistema trilitico architravato fino a quello reticolare spaziale – e misura normata della ripetizione uniforme o differenziata di un medesimo elemento – la colonna/sostegno nelle sue tante declinazioni – sia esso deputato o meno a sostenere una copertura. La necessità di soffermarsi su questa sintetica idea di costruzione nasce dalla volontà di riflettere ancora sull’essenza dell’architettura, sul progetto come modo specifico della conoscenza della realtà e sul rapporto sempre fertile tra tradizione e innovazione, tra retaggio e futuro, tra le forme e la loro appropriatezza contro la programmatica negazione (tipicamente postmoderna e debolista) di ogni fondamento o verità anche provvisoria, di ogni riferimento stabile in cui è immersa parte consistente dell’architettura contemporanea interessata piuttosto alla ricerca soggettiva dell’inedito e del sorprendente in un progressivo e incessante delirio nichilista e relativista. Se è vero, come affermava GUSTAVE COURBET contrapponendosi a un eccessivo processo di idealizzazione dell’arte che «è necessario conoscere per potere», allora il ritorno agli archetipi, la loro evocazione, vuole inscriversi in un punto di vista razionale secondo il quale l’ideazione non può essere confusa con la creazione ab nihilo di aggregati informi e virtuali. Una posizione teorica e operativa in cui le forme aspirano a una lunga durata e devono rendersi intellegibili delle loro motivazioni per esprimere con chiarezza e adeguatezza i rinnovati temi che di volta in volta la collettività ci potrà proporre nel tentativo di risolvere le sue contraddizioni e non solo accettandole o estetizzandole. Un’opzione razionale – in un momento in cui sembra essere legittimo solo l’atteggiamento relativista per cui l’unica punto di vista accettabile sarebbe quello di non avere un punto di vista – che si traduce immediatamente in una stretta relazione con la realtà poiché come ha affermato ALDO ROSSI «L’architettura razionale non è una visione estetica o morale, un modo di vivere, ma l’unica risposta sistematica ai problemi posti dalla realtà». Una realtà che va “accertata” e non “accettata” o riflessa in termini costatativi, indagata e conosciuta in profondità come condizione di partenza per la sua modificazione e trasformazione progressiva attraverso la ragione. La razionalità, in questo senso, rappresenta un orizzonte imprescindibile del pensiero – la ragione per SANT’AGOSTINO, rimane «il principio di tutto l’operare umano» – e lo è in particolare di una sua forma concreta, di una sua manifestazione reale che è appunto l’architettura. Infatti, come ci ricorda ERACLITO, «la ragione è comune a tutti», universale come lo è, in senso “numinoso”, l’archetipo essendo ciò che con chiarezza si rende comprensibile consentendo alla architettura una ricezione allargata, generalizzata, collettiva: in tal senso si spiega l’insistenza sugli archetipi quali strutture pre-discorsive e permanenti, poste prima delle mobili narrazioni, delle soggettive interpretazioni, delle false descrizioni. La trattazione quindi del tema assunto si articola in tre parti correlate, messe in sequenza solo per comodità discorsiva. La prima, riguardante i Principia, indaga il senso e il valore germinale dell’archetipo in senso generale e poi in ambito squisitamente architettonico definendo lo spazio innanzitutto come conformazione di un interno che muove dalla disposizione di forme in stretta relazione con l’identità tra architettura e costruzione tettonica previa l’adozione di procedure proporzionali e sintattiche di controllo. La parte seconda, sugli Elementa, discutendo della mutua articolazione degli elementi primordiali e costituenti gli edifici pubblici – non solo individuati nel tetto su sostegni puntuali e nel recinto riferimto al sistema continuo murario – perverrà a individuare nell’Ipostilo – che nel seguito dovrà intendersi sempre come “archetipo dell’Ipostilo”– l’origine e il principio costitutivo dei tipi collettivi assieme all’aula (contrapposti al labirinto dedalico) chiarendo la differenza e complementarietà tra queste due sintetiche idee di organizzazione della forma dello spazio comunitario. Sarà inoltre indagata l’ascendenza dell’Ipostilo da alcune “quasi regolari” organizzazioni e conformazioni presenti in natura non per mimesi delle forme ma come analogia della struttura ordinata che le sottende. A queste due parti squisitamente teoriche – riaffermando la circolarità tra teoria e opere, tra Principia ed Exempla come condizione ineliminabile dell’arte del costruire – corrisponderà, nel definire alcune questioni di fondo, la terza parte che, nell’esaminare la persistenza di tale archetipo nel corso dello spessore storico dell’architettura occidentale, perverrà alla sua riformulazione nel moderno nelle ricerche dei suoi riconosciuti maestri e indagherà analiticamente numerose architetture realizzate o progettate, alcune paradigmatiche, altre emblematiche, altre confondenti nei modi di adozione dell’Ipostilo al fine di comprendere i differenti assetti compositivi sondati e messi a punto nelle varie stagioni culturali individuando corrispondenze sincroniche con sorprendenti e rassicuranti riformulazioni e riprese di soluzioni e assetti molto distanti nel tempo e nello spazio. Infine nella quarta e ultima parte – Modus hodiernus/Futurum – si farà vedere come nell’architettura contemporanea l’Ipostilo si caricherà di ulteriori valenze ponendosi come dispositivo potente e versatile in grado di declinare, in termini interscalari, una moltitudine di temi soprattutto in ambito urbano, con una amplificazione dimensionale densa di sperimentazioni e trasversalità di significati mai sondate in precedenza. Completano il volume gli Addenda con alcuni rilevanti contributi di studiosi e colleghi – CARLO MOCCIA (per il Saggio Introduttivo), ARMANDO DAL FABBRO, FRANCO DEFILIPPIS, GAETANO FUSCO, MARCO MANNINO, DINA NENCINI, PIETRO NUNZIANTE, MARIA LAURA POLIGNANO, MIRKO RUSSO, FEDERICA VISCONTI – cui va il mio sentito ringraziamento. Ulteriori e preziosi approfondimenti, condotti da punti di vista condivisi e complementari che, se da un lato hanno focalizzato alcuni aspetti teorici utilizzando sovente alcuni degli esempi di autori e maestri già evocati nel testo, dall’altro hanno contribuito a definire, nel loro complesso, in maniera ancor più significativa e ampia, il senso e il carattere delle architetture ipostile che qui si sono volute indagare.File | Dimensione | Formato | |
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