La mimesi di auctores canonici, ellenistici e/o quasi contemporanei non ha negli autori tardoantichi e bizantini un esclusivo fine esornativo ma cela anche un intendimento ideologico; attraverso la imitatio il μιμητής vuole esprimersi ed affrontare tèmi e concetti, che spetta al suo interprete decrittare e intendere. È questo il caso occorrente nel de magistratibus 1, 3 di Giovanni Lido, nel quale l’autore affronta un argomento decisivo nell’elaborazione dell’ideologia imperiale bizantina in una fase particolarmente delicata della sua formazione, quale fu l’età giustinianea: la denominazione della nuova figura imperiale, il cui ruolo ed i cui poteri avevano subìto una lunga trasformazione. Il discorso di Giovanni Lido, nel quale egli definisce il βασιλεύς e precisa il ruolo del sovrano ed i limiti dei suoi poteri, è incastonato tra due citazioni; la prima è tratta da uno degli auctores canonici, Sofocle, l’altra da un quasi contemporaneo, Sinesio di Cirene. I riferimenti a questi autori, costituiscono per l’autore la chiave interpretativa della sua definizione del sovrano, nella quale è delineata la motivazione principale della differenza tra l’antico rex ed il nuovo basileus. La citazione del verso 135 dell’Aiace sofocleo, con la modifica di di βάθρον in βάθρα ha il fine di corroborare il concetto principale del capitolo 3: i caratteri distintivi del nuovo sovrano bizantino. Il fondamento dell’impero è il basileus, il quale per volontà di Dio è il primo dei cittadini, che lo hanno eletto; l’unico, che, avendo ricevuto l’investitura dall’alto, può rendere il regno terreno somigliante a quello celeste, portare ordine ed armonia alla basileia. Sofocle e Sinesio sono stati chiamati a conferire il sigillo della loro autorevolezza alla nuova figura di imperatore, quale da Giustiniano in poi si affermerà in maniera chiara e definitiva
Per l’esegesi di Giovanni Lido, de magistratibus 1, 3 / Matino, Giuseppina. - (2016), pp. 299-314.
Per l’esegesi di Giovanni Lido, de magistratibus 1, 3
MATINO, GIUSEPPINA
2016
Abstract
La mimesi di auctores canonici, ellenistici e/o quasi contemporanei non ha negli autori tardoantichi e bizantini un esclusivo fine esornativo ma cela anche un intendimento ideologico; attraverso la imitatio il μιμητής vuole esprimersi ed affrontare tèmi e concetti, che spetta al suo interprete decrittare e intendere. È questo il caso occorrente nel de magistratibus 1, 3 di Giovanni Lido, nel quale l’autore affronta un argomento decisivo nell’elaborazione dell’ideologia imperiale bizantina in una fase particolarmente delicata della sua formazione, quale fu l’età giustinianea: la denominazione della nuova figura imperiale, il cui ruolo ed i cui poteri avevano subìto una lunga trasformazione. Il discorso di Giovanni Lido, nel quale egli definisce il βασιλεύς e precisa il ruolo del sovrano ed i limiti dei suoi poteri, è incastonato tra due citazioni; la prima è tratta da uno degli auctores canonici, Sofocle, l’altra da un quasi contemporaneo, Sinesio di Cirene. I riferimenti a questi autori, costituiscono per l’autore la chiave interpretativa della sua definizione del sovrano, nella quale è delineata la motivazione principale della differenza tra l’antico rex ed il nuovo basileus. La citazione del verso 135 dell’Aiace sofocleo, con la modifica di di βάθρον in βάθρα ha il fine di corroborare il concetto principale del capitolo 3: i caratteri distintivi del nuovo sovrano bizantino. Il fondamento dell’impero è il basileus, il quale per volontà di Dio è il primo dei cittadini, che lo hanno eletto; l’unico, che, avendo ricevuto l’investitura dall’alto, può rendere il regno terreno somigliante a quello celeste, portare ordine ed armonia alla basileia. Sofocle e Sinesio sono stati chiamati a conferire il sigillo della loro autorevolezza alla nuova figura di imperatore, quale da Giustiniano in poi si affermerà in maniera chiara e definitivaI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.