L’anno 2017 è iniziato con la notizia della distribuzione della parte premiale del fondo di finanziamento ordinario (FFO) per le università italiane. La distribuzione è avvenuta in base ai risultati raggiunti nella valutazione della qualità della ricerca (VQR) nel periodo 2011-2014 e, se confrontata con quella avvenuta in relazione ai risultati 2004-2010, le sorprese non sono mancate. Il dato più significativo è che ben l’82% delle università meridionali è riuscito a migliorare la performance sulla parte premiale (il 18% l’ha peggiorata); le università del centro nord hanno invece riportato una quota similare tra quelle che hanno incrementato la loro parte premiale (il 54% di esse) e quelle che l’hanno diminuita (il 46%). Questo dato, seppur nelle diversità strutturali che permangono non possono non evidenziare l’inizio di un piccolo processo di convergenza , una buona notizia per il Mezzogiorno. Nella stessa direzione va anche la modifica del metodo di calcolo della quota base dell’FFO. A seguito della sentenza della Consulta del maggio 2017 e del DL 91 sul Mezzogiorno proposto dal governo Gentiloni, dal 2018 nel computo del costo standard saranno inseriti anche gli studenti del primo anno fuori corso. Questa modifica, apparentemente poco importante, sarà invece in grado di spostare risorse considerevoli per gli atenei del Mezzogiorno, è un’altra buona notizia. Rimangono tuttavia le gravi carenze strutturali che, come evidenziato nell’ultimo rapporto OCSE sull’istruzione Education at Glance 2017 relativo al 2016, rilegano l’Italia agli ultimi posti nella classifica dell’istruzione terziaria con meno del 18% di laureati sulla popolazione adulta (25-64enni). Si tratta praticamente della metà della quota media di laureati registrata nei Paesi OCSE (36%), ben lontana dei valori raggiunti da USA e Regno Unito (46%), ma anche al di sotto di quelli registrati nell’area mediterranea dell’UE da Spagna (36%) Grecia (30%) e Portogallo (24%). Com’è noto, l’intero sistema educativo italiano è stato negli ultimi quindici anni oggetto di una profonda riforma che ha interessato a più riprese tutti i livelli di istruzione, primaria, secondaria e terziaria, con l’intento, tra gli altri, proprio di ridurre i gap con gli altri Paesi raggiungendo i traguardi comuni all’UE e rendere più competitivo il Paese dal punto di vista della formazione del capitale umano. La riforma dei cicli di istruzione avviata con primi anni del Duemila ha profondamente cambiato l’offerta didattica universitaria con l’introduzione del cosiddetto 3+2 ed è stata poi affiancata anche da un processo di riflessione sulla missione delle università e di valutazione delle strutture e dei soggetti della ricerca, con l’obiettivo di migliorare la qualità del sistema riducendo sprechi e inefficienze e massimizzando l’efficacia. Diversi autori, tra cui Viesti (2016), Fiorentino (2017) e Buono et al. (2016) sottolineano come il ritardo formativo riguardi l’intero Paese ma assuma nel Mezzogiorno una connotazione ancora più grave. Tale divario, lungi dall’essere risolto, rischia addirittura di aggravarsi nei prossimi anni in mancanza di interventi di policy mirati. Il presente capitolo si sviluppa lungo due direttrici, che rappresentano altrettante area di criticità del sistema universitario italiano: 1) la domanda di istruzione universitaria; 2) le fonti di finanziamento e l’allocazione delle risorse agli Atenei. Il primo punto analizzerà i trend in atto in Italia, con confronti internazionali, relativi al proseguimento degli studi, alla scelta universitaria, e agli immatricolati di primo e secondo livello in Italia per ripartizione e regione. La seconda tratterà dell’allocazione delle risorse analizzando in particolare la redistribuzione dell’FFO Fondo di Finanziamento Ordinario degli Atenei nell’ultimo triennio.
La scelta universitaria e il Mezzogiorno / Affuso, Serena; Vecchione, Gaetano. - (2017), pp. 217-227.
La scelta universitaria e il Mezzogiorno
Gaetano Vecchione
2017
Abstract
L’anno 2017 è iniziato con la notizia della distribuzione della parte premiale del fondo di finanziamento ordinario (FFO) per le università italiane. La distribuzione è avvenuta in base ai risultati raggiunti nella valutazione della qualità della ricerca (VQR) nel periodo 2011-2014 e, se confrontata con quella avvenuta in relazione ai risultati 2004-2010, le sorprese non sono mancate. Il dato più significativo è che ben l’82% delle università meridionali è riuscito a migliorare la performance sulla parte premiale (il 18% l’ha peggiorata); le università del centro nord hanno invece riportato una quota similare tra quelle che hanno incrementato la loro parte premiale (il 54% di esse) e quelle che l’hanno diminuita (il 46%). Questo dato, seppur nelle diversità strutturali che permangono non possono non evidenziare l’inizio di un piccolo processo di convergenza , una buona notizia per il Mezzogiorno. Nella stessa direzione va anche la modifica del metodo di calcolo della quota base dell’FFO. A seguito della sentenza della Consulta del maggio 2017 e del DL 91 sul Mezzogiorno proposto dal governo Gentiloni, dal 2018 nel computo del costo standard saranno inseriti anche gli studenti del primo anno fuori corso. Questa modifica, apparentemente poco importante, sarà invece in grado di spostare risorse considerevoli per gli atenei del Mezzogiorno, è un’altra buona notizia. Rimangono tuttavia le gravi carenze strutturali che, come evidenziato nell’ultimo rapporto OCSE sull’istruzione Education at Glance 2017 relativo al 2016, rilegano l’Italia agli ultimi posti nella classifica dell’istruzione terziaria con meno del 18% di laureati sulla popolazione adulta (25-64enni). Si tratta praticamente della metà della quota media di laureati registrata nei Paesi OCSE (36%), ben lontana dei valori raggiunti da USA e Regno Unito (46%), ma anche al di sotto di quelli registrati nell’area mediterranea dell’UE da Spagna (36%) Grecia (30%) e Portogallo (24%). Com’è noto, l’intero sistema educativo italiano è stato negli ultimi quindici anni oggetto di una profonda riforma che ha interessato a più riprese tutti i livelli di istruzione, primaria, secondaria e terziaria, con l’intento, tra gli altri, proprio di ridurre i gap con gli altri Paesi raggiungendo i traguardi comuni all’UE e rendere più competitivo il Paese dal punto di vista della formazione del capitale umano. La riforma dei cicli di istruzione avviata con primi anni del Duemila ha profondamente cambiato l’offerta didattica universitaria con l’introduzione del cosiddetto 3+2 ed è stata poi affiancata anche da un processo di riflessione sulla missione delle università e di valutazione delle strutture e dei soggetti della ricerca, con l’obiettivo di migliorare la qualità del sistema riducendo sprechi e inefficienze e massimizzando l’efficacia. Diversi autori, tra cui Viesti (2016), Fiorentino (2017) e Buono et al. (2016) sottolineano come il ritardo formativo riguardi l’intero Paese ma assuma nel Mezzogiorno una connotazione ancora più grave. Tale divario, lungi dall’essere risolto, rischia addirittura di aggravarsi nei prossimi anni in mancanza di interventi di policy mirati. Il presente capitolo si sviluppa lungo due direttrici, che rappresentano altrettante area di criticità del sistema universitario italiano: 1) la domanda di istruzione universitaria; 2) le fonti di finanziamento e l’allocazione delle risorse agli Atenei. Il primo punto analizzerà i trend in atto in Italia, con confronti internazionali, relativi al proseguimento degli studi, alla scelta universitaria, e agli immatricolati di primo e secondo livello in Italia per ripartizione e regione. La seconda tratterà dell’allocazione delle risorse analizzando in particolare la redistribuzione dell’FFO Fondo di Finanziamento Ordinario degli Atenei nell’ultimo triennio.File | Dimensione | Formato | |
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