Superato il trauma dell’invasione italiana dell’ottobre del 1940, un episodio completamente fuori contesto in una storia di rapporti positivi, con la fine della Seconda guerra mondiale le relazioni fra l’Italia e la Grecia conobbero un progressivo miglioramento, per poi evolvere in un’inevitabile amicizia. All’indomani del conflitto e per un quindicennio, l’adozione di differenti politiche sulla questione albanese fu però all’origine di contrasti particolarmente dialettici. Gli ellenici manifestarono insofferenza verso le iniziative italiane in Albania, Roma cercò di opporsi all’idea che Atene, grazie al sostegno britannico, ottenesse un ruolo prioritario nella definizione delle direttive dell’Occidente nella regione ionica e, in senso più ampio, nel Mediterraneo orientale. Fin dal principio il Governo italiano sostenne apertamente una politica di normalizzazione delle relazioni con la Repubblica popolare albanese, ritenendo che la natura comunista del suo Regime non rappresentasse un ostacolo verso lo stabilimento di rapporti di “buon vicinato”, che avrebbero potuto produrre interessanti possibilità specialmente in campo economico e culturale. Questa politica, fra la metà degli anni Quaranta e la seconda parte del decennio successivo, si scontrò con differenti direttive elleniche, finalizzate ad ottenere un rovesciamento del Regime cominformista albanese, che avrebbe potuto consentire ad Atene, d’intesa con la Jugoslavia di Tito, di estendere la sua sovranità sull’Albania meridionale, dove numerosa era la minoranza greca. Roma operò al contrario per una politica di difesa dell’indipendenza e dell’integrità territoriale della Repubblica popolare albanese, opponendosi con abili iniziative diplomatiche anche alle direttive degli angloamericani, per diversi anni persuasi della possibilità di staccare l’Albania dal mondo comunista tramite Covert Operations che avrebbero dovuto provocare un cambio di Regime. L’Italia riuscì altresì a contenere gli effetti di alcune iniziative regionali, quali il Patto balcanico, e grazie anche al mutato contesto internazionale, fu in grado di acquisire – a partire dalla fine degli anni Cinquanta ed almeno fino alla metà degli anni Ottanta – una posizione privilegiata nelle relazioni con l’Albania comunista, divenendo un punto di riferimento per tutta la Comunità euro-atlantica (e per la stessa Grecia, che decise di normalizzare le sue relazioni con Tirana nel 1971) per la definizione di politiche efficaci verso un Paese che si collocò per sua scelta, prima d’isolarsi completamente, al di fuori del complesso istituzionalizzato del sistema internazionale.
Una difficile convergenza. Le politiche di Italia e Grecia verso l'Albania comunista / Stallone, Settimio. - (2023), pp. 727-750.
Una difficile convergenza. Le politiche di Italia e Grecia verso l'Albania comunista
settimio stallone
2023
Abstract
Superato il trauma dell’invasione italiana dell’ottobre del 1940, un episodio completamente fuori contesto in una storia di rapporti positivi, con la fine della Seconda guerra mondiale le relazioni fra l’Italia e la Grecia conobbero un progressivo miglioramento, per poi evolvere in un’inevitabile amicizia. All’indomani del conflitto e per un quindicennio, l’adozione di differenti politiche sulla questione albanese fu però all’origine di contrasti particolarmente dialettici. Gli ellenici manifestarono insofferenza verso le iniziative italiane in Albania, Roma cercò di opporsi all’idea che Atene, grazie al sostegno britannico, ottenesse un ruolo prioritario nella definizione delle direttive dell’Occidente nella regione ionica e, in senso più ampio, nel Mediterraneo orientale. Fin dal principio il Governo italiano sostenne apertamente una politica di normalizzazione delle relazioni con la Repubblica popolare albanese, ritenendo che la natura comunista del suo Regime non rappresentasse un ostacolo verso lo stabilimento di rapporti di “buon vicinato”, che avrebbero potuto produrre interessanti possibilità specialmente in campo economico e culturale. Questa politica, fra la metà degli anni Quaranta e la seconda parte del decennio successivo, si scontrò con differenti direttive elleniche, finalizzate ad ottenere un rovesciamento del Regime cominformista albanese, che avrebbe potuto consentire ad Atene, d’intesa con la Jugoslavia di Tito, di estendere la sua sovranità sull’Albania meridionale, dove numerosa era la minoranza greca. Roma operò al contrario per una politica di difesa dell’indipendenza e dell’integrità territoriale della Repubblica popolare albanese, opponendosi con abili iniziative diplomatiche anche alle direttive degli angloamericani, per diversi anni persuasi della possibilità di staccare l’Albania dal mondo comunista tramite Covert Operations che avrebbero dovuto provocare un cambio di Regime. L’Italia riuscì altresì a contenere gli effetti di alcune iniziative regionali, quali il Patto balcanico, e grazie anche al mutato contesto internazionale, fu in grado di acquisire – a partire dalla fine degli anni Cinquanta ed almeno fino alla metà degli anni Ottanta – una posizione privilegiata nelle relazioni con l’Albania comunista, divenendo un punto di riferimento per tutta la Comunità euro-atlantica (e per la stessa Grecia, che decise di normalizzare le sue relazioni con Tirana nel 1971) per la definizione di politiche efficaci verso un Paese che si collocò per sua scelta, prima d’isolarsi completamente, al di fuori del complesso istituzionalizzato del sistema internazionale.File | Dimensione | Formato | |
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