Con due pronunce del gennaio 2023 Cassazione e Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2023 n. 616 e Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 2023 n. 1669) forniscono un’interpretazione della categoria di intervento edilizio della “ristrutturazione edilizia”, di cui all'art. 3 t.u.edilizia (d.P.R. n. 380/2001) che ne circoscrive rigorosamente l’ambito di applicazione con riguardo, rispettivamente, alla demo-ricostruzione e al ripristino di edifici diruti. I ripetuti interventi del legislatore di revisione della disciplina edilizia sottendono un intento non solo semplificatorio, con auspicati effetti favorevoli sugli investimenti, ma anche di maggiore sostenibilità ambientale, in collegamento con gli obiettivi di riduzione del consumo di suolo e di efficientamento energetico . Le novità recate al t.u. edilizia con una sequenza quasi alluvionale di novelle sono senz’altro apprezzabili quanto a obiettivi sottesi, ma risultano, come le sentenze commentate dimostrano, fonte di problemi interpretativi, teorici e applicativi, e di conseguente incertezza per gli operatori e gli amministratori e, quindi, contenzioso. Il che ridonda sul grado di effettività delle stesse. Le fattispecie oggetto delle sentenze commentate della Cassazione e del Consiglio di Stato evidenziano la necessità di una rivisitazione normativa delle definizioni degli interventi edilizi che torni a categorie generali e alla summa divisio tra interventi conservativi, trasformativi e di nuova costruzione, rifuggendo da un’eccessiva analiticità e fornendo, piuttosto, chiarezza sulla ratio identificativa e distintiva delle diverse categorie, sì che possa tale ratio orientare secondo ragionevolezza l’interprete e i professionisti dinanzi agli innumerevoli casi pratici. L’eccessiva minuziosità delle definizioni non elimina quell’incertezza applicativa, generata dalla casistica, che è la causa stessa delle ripetute modifiche legislative, non raramente avendo anzi contribuito ad accrescere la divergenza delle interpretazioni . L’incertezza delle definizioni si traduce in incertezza sui titoli abilitativi necessari e sul regime giuridico dell’intervento, esito aggravato dall’orientamento giurisprudenziale che qualifica come privo di titolo l’intervento realizzato o intrapreso sulla base di un titolo inidoneo (come una s.c.i.a. in luogo dell’istanza di permesso di costruire). Le pronunce commentate appaiono allora utili, nei termini illustrati, a ribadire, bloccando eccessive fughe in avanti incoerenti con gli stessi obiettivi di sostenibilità ambientale citati, che la demo-ricostruzione – in qualunque modalità essa si estrinsechi – non è attività costruttiva del “nuovo”, ma è relativa al recupero estetico e funzionale dell’“esistente”, come tale non fonte di ulteriore compromissione del territorio e di incremento del carico antropico, e a chiarire che il ripristino di un volume non più esistente identifica, nella sostanza, una “nuova costruzione” inserita in via eccezionale nella categoria di intervento minore a meri fini di semplificazione procedimentale e di consentire l’accesso a incentivi.

Demo-ricostruzione e ripristino di edifici crollati: le declinazioni della continuità ai fini dell’inquadramento nella ristrutturazione edilizia (Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2023 n. 616 e Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 2023 n. 1669) / Mari, G.. - (2023), pp. 201-220.

Demo-ricostruzione e ripristino di edifici crollati: le declinazioni della continuità ai fini dell’inquadramento nella ristrutturazione edilizia (Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2023 n. 616 e Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 2023 n. 1669)

G. Mari
2023

Abstract

Con due pronunce del gennaio 2023 Cassazione e Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2023 n. 616 e Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 2023 n. 1669) forniscono un’interpretazione della categoria di intervento edilizio della “ristrutturazione edilizia”, di cui all'art. 3 t.u.edilizia (d.P.R. n. 380/2001) che ne circoscrive rigorosamente l’ambito di applicazione con riguardo, rispettivamente, alla demo-ricostruzione e al ripristino di edifici diruti. I ripetuti interventi del legislatore di revisione della disciplina edilizia sottendono un intento non solo semplificatorio, con auspicati effetti favorevoli sugli investimenti, ma anche di maggiore sostenibilità ambientale, in collegamento con gli obiettivi di riduzione del consumo di suolo e di efficientamento energetico . Le novità recate al t.u. edilizia con una sequenza quasi alluvionale di novelle sono senz’altro apprezzabili quanto a obiettivi sottesi, ma risultano, come le sentenze commentate dimostrano, fonte di problemi interpretativi, teorici e applicativi, e di conseguente incertezza per gli operatori e gli amministratori e, quindi, contenzioso. Il che ridonda sul grado di effettività delle stesse. Le fattispecie oggetto delle sentenze commentate della Cassazione e del Consiglio di Stato evidenziano la necessità di una rivisitazione normativa delle definizioni degli interventi edilizi che torni a categorie generali e alla summa divisio tra interventi conservativi, trasformativi e di nuova costruzione, rifuggendo da un’eccessiva analiticità e fornendo, piuttosto, chiarezza sulla ratio identificativa e distintiva delle diverse categorie, sì che possa tale ratio orientare secondo ragionevolezza l’interprete e i professionisti dinanzi agli innumerevoli casi pratici. L’eccessiva minuziosità delle definizioni non elimina quell’incertezza applicativa, generata dalla casistica, che è la causa stessa delle ripetute modifiche legislative, non raramente avendo anzi contribuito ad accrescere la divergenza delle interpretazioni . L’incertezza delle definizioni si traduce in incertezza sui titoli abilitativi necessari e sul regime giuridico dell’intervento, esito aggravato dall’orientamento giurisprudenziale che qualifica come privo di titolo l’intervento realizzato o intrapreso sulla base di un titolo inidoneo (come una s.c.i.a. in luogo dell’istanza di permesso di costruire). Le pronunce commentate appaiono allora utili, nei termini illustrati, a ribadire, bloccando eccessive fughe in avanti incoerenti con gli stessi obiettivi di sostenibilità ambientale citati, che la demo-ricostruzione – in qualunque modalità essa si estrinsechi – non è attività costruttiva del “nuovo”, ma è relativa al recupero estetico e funzionale dell’“esistente”, come tale non fonte di ulteriore compromissione del territorio e di incremento del carico antropico, e a chiarire che il ripristino di un volume non più esistente identifica, nella sostanza, una “nuova costruzione” inserita in via eccezionale nella categoria di intervento minore a meri fini di semplificazione procedimentale e di consentire l’accesso a incentivi.
2023
9791259765994
Demo-ricostruzione e ripristino di edifici crollati: le declinazioni della continuità ai fini dell’inquadramento nella ristrutturazione edilizia (Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2023 n. 616 e Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 2023 n. 1669) / Mari, G.. - (2023), pp. 201-220.
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