La sorte toccata all’art. 116 Cost., in specie al suo terzo comma, è stata quanto mai singolare. Per anni, prima delle iniziative recenti volte a dare un seguito alla differenziazione, si è trattato di una disposizione pressoché afona; se ne stava lì, per lo più oggetto dell’attenzione dei clercs, che hanno provato a estrarre dal testo dei significati compatibili non solo con il titolo V ma anche con i principi costituzionali nel loro complesso. In anni recenti, però, la letteratura sul tema è esplosa, con accenti fortemente polarizzati, replicando in tal modo i toni del dibattito tra i partiti politici che, spesso attraverso un astuto cherry picking dei dati disponibili, si adoperavano per portare avanti le proprie rivendicazioni. Riparlare con serenità della norma e cercarne una lettura compatibile non solo con la Costituzione ma anche con l’idea complessiva di regionalismo che si intende realizzare è l’obiettivo di questo scritto. Alcune domande sembrano ineludibili. La clausola di differenziazione è volta a introdurre un generale principio di asimmetria nel nostro ordinamento ? Posto che le Regioni speciali dimostrano la preesistenza dell’asimmetria de jure, perché la differenziazione è più disturbante della specialità? è vero che le asimmetrie de jure sono, di per sé sole, foriere di diseguaglianze tra cittadini? È possibile una lettura del regionalismo differenziato volta a bilanciare i principi di autonomia (differenziata) ed eguaglianza, talora presentati nel discorso pubblico come dei veri e propri antonimi? Quale ruolo ha lo Stato centrale in questo processo? Come è, cioè, possibile, recuperare il suo ruolo di garante dell’unità senza che ciò si converta inevitabilmente in centralismo delle competenze? Quale interpretazione dell’art. 116, comma 3, è possibile senza deprimere il ruolo delle assemblee deliberative (Parlamento e Consigli regionali) scongiurando il rischio che la differenziazione regionale diventi un opaco affare tra Esecutivi? A che punto è l’avanzamento sulla differenziazione? C’è un disegno, una direzione, anche solo una linea tendenziale che si intende imprimere al regionalismo italiano o tutto è lasciato alle congiunture, agli umori del momento? Per provare a rispondere a queste domande, o almeno ad alcune di esse, dividerò il saggio in quattro parti: l’esistente; il poter essere; il dover essere; il voler essere. Solo partendo da ciò che è si può, infatti, presagire dove si andrà, cercando di aggiustare la rotta delle alternative possibili, conformemente al doveroso rispetto dei principi costituzionali, nella direzione che si vuole intraprendere.
Orientarsi con le stelle: regionalismo differenziato, unità repubblicana, principi costituzionali / Parisi, Stefania. - (2023), pp. 281-303.
Orientarsi con le stelle: regionalismo differenziato, unità repubblicana, principi costituzionali
stefania parisi
2023
Abstract
La sorte toccata all’art. 116 Cost., in specie al suo terzo comma, è stata quanto mai singolare. Per anni, prima delle iniziative recenti volte a dare un seguito alla differenziazione, si è trattato di una disposizione pressoché afona; se ne stava lì, per lo più oggetto dell’attenzione dei clercs, che hanno provato a estrarre dal testo dei significati compatibili non solo con il titolo V ma anche con i principi costituzionali nel loro complesso. In anni recenti, però, la letteratura sul tema è esplosa, con accenti fortemente polarizzati, replicando in tal modo i toni del dibattito tra i partiti politici che, spesso attraverso un astuto cherry picking dei dati disponibili, si adoperavano per portare avanti le proprie rivendicazioni. Riparlare con serenità della norma e cercarne una lettura compatibile non solo con la Costituzione ma anche con l’idea complessiva di regionalismo che si intende realizzare è l’obiettivo di questo scritto. Alcune domande sembrano ineludibili. La clausola di differenziazione è volta a introdurre un generale principio di asimmetria nel nostro ordinamento ? Posto che le Regioni speciali dimostrano la preesistenza dell’asimmetria de jure, perché la differenziazione è più disturbante della specialità? è vero che le asimmetrie de jure sono, di per sé sole, foriere di diseguaglianze tra cittadini? È possibile una lettura del regionalismo differenziato volta a bilanciare i principi di autonomia (differenziata) ed eguaglianza, talora presentati nel discorso pubblico come dei veri e propri antonimi? Quale ruolo ha lo Stato centrale in questo processo? Come è, cioè, possibile, recuperare il suo ruolo di garante dell’unità senza che ciò si converta inevitabilmente in centralismo delle competenze? Quale interpretazione dell’art. 116, comma 3, è possibile senza deprimere il ruolo delle assemblee deliberative (Parlamento e Consigli regionali) scongiurando il rischio che la differenziazione regionale diventi un opaco affare tra Esecutivi? A che punto è l’avanzamento sulla differenziazione? C’è un disegno, una direzione, anche solo una linea tendenziale che si intende imprimere al regionalismo italiano o tutto è lasciato alle congiunture, agli umori del momento? Per provare a rispondere a queste domande, o almeno ad alcune di esse, dividerò il saggio in quattro parti: l’esistente; il poter essere; il dover essere; il voler essere. Solo partendo da ciò che è si può, infatti, presagire dove si andrà, cercando di aggiustare la rotta delle alternative possibili, conformemente al doveroso rispetto dei principi costituzionali, nella direzione che si vuole intraprendere.File | Dimensione | Formato | |
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