Il presente lavoro ha ad oggetto il lungo dibattito che si è svolto in dottrina, tra i secoli XIX e XX fino ad arrivare all’attualità, relativo al tema della discrezionalità amministrativa. Infatti, il concetto di “discrezionalità” nasce con lo Stato liberale ottocentesco e i suoi primi studi scientifici sono stati svolti nel XIX secolo. In particolare, nell’Ottocento, la discrezionalità amministrativa indicava gli atti dell’amministrazione che, in ossequio al principio della separazione dei poteri, erano sottratti al sindacato giurisdizionale. Si trattava del fenomeno della indeterminatezza della norma giuridica, oggetto, nel corso del XIX e del XX secolo, di molteplici sviluppi interpretativi da parte della teoria generale del diritto. Il lungo dibattito sui concetti giuridici indeterminati, che ha influenzato la dottrina relativa alla discrezionalità, in particolare della discrezionalità tecnica, è stato importato dalla giuspubblicistica tedesca grazie al contributo di Federico Cammeo e di Errico Presutti, in particolare, che hanno elaborano la teoria della norma imprecisa. Oreste Ranelletti, invece, ha equiparato la discrezionalità tecnica a quella pura, ritenendo che entrambi i tipi di discrezionalità costituiscono sempre discrezionalità amministrativa, in quanto tra i due tipi di apprezzamento non vi era alcuna rilevanza giuridica. In realtà, la storicità della nozione di discrezionalità e la sua evoluzione si colgono facilmente solo se si considera il differente atteggiamento della discrezionalità nei passaggi tra le diverse forme di Stato nel corso dei secoli, fino a definire le sue caratteristiche attuali, che caratterizzano una forma di Stato ancora difficile da qualificare. Fondamentale è stato il contributo dato da Costantino Mortati, il quale si rese conto, negli anni ’30, del fatto che le problematiche relative agli atti politici, e più in genere al nesso costituzione – indirizzo politico, non potevano rimanere confinate a livello della definizione della forma di governo e della relazione tra gli organi costituzionali; esse dovevano estendersi, invece, proprio a causa dell’impostazione teorica di fondo, a tutta la macchina dello Stato, ivi compresa la stessa amministrazione. Più precisamente, a suo parere, la Costituzione doveva porsi come programma per l’amministrazione; un programma che veniva attuato, se occorreva, saltando la mediazione legislativo – parlamentare, o passando per essa, ma solo in quanto anche questa fosse strumento di attuazione della costituzione medesima, alla quale si riconduceva, quindi, in definitiva tutto l’ordinamento delle potestà pubbliche. Mortati, anche sulla scia della nota teoria della “costruzione a gradi” di Kelsen e di Merkl, disegnava i lineamenti di una vera e propria teoria generale della discrezionalità, che egli collocava a livello costituzionale della teoria delle fonti. Egli partiva dal presupposto che la crisi della legalità formale, dovuta alla crisi dello Stato legislativo parlamentare, aveva determinato un ampliamento del “campo dell’attività concreta sottratta alla predeterminazione legale”, ovvero di un campo della legittimità sempre più vistosamente staccato da quella della legalità, ed affidato così in modo quasi esclusivo al libero operare del governo e dell’amministrazione. Lo spazio della legittimità veniva riempito da una vera e propria attività giuridica di produzione di norme derivate, tenuto conto delle posizioni di autonomia riconosciute dall’ordinamento alla pubblica amministrazione con lo strumento tipico dell’atto amministrativo, e ai privati con lo strumento altrettanto tipico del negozio. In sintesi, alla crisi della legalità formale, Mortati non reagiva come avevano fatto Santi Romano ed Oreste Ranelletti con l’amministrativizzazione del diritto pubblico, ma con la costituzionalizzazione dell’intera esperienza giuridica, includendo nel campo della Costituzione anche l’espressione di autonomia e, quindi, di potere discrezionale, dei privati. Con Massimo Severo Giannini, infine, la discrezionalità assume le caratteristiche di comparazione tra interessi pubblici ed interessi privati concorrenti in una determinata situazione oggettiva, venendo ad esprimere un potere che “implica giudizio e volontà insieme” mentre la discrezionalità tecnica si ascrive ad “un momento conoscitivo” il quale “implica solo giudizio: ciò che attiene alla volizione viene dopo, e può coinvolgere una separata valutazione discrezionale”. Attraverso l’analisi del dibattito tra i più rilevanti autori della giuspubblicistica che si sono susseguiti nelle diverse forme di Stato, si cercherà di giungere alla individuazione e alla comprensione dell’impatto che il concetto di discrezionalità ha avuto con l’attuale forma di Stato, che la dottrina ancora non riesce a qualificare, al fine di individuare anche le ricadute che essa ha avuto a seguito dell’incontro tra il diritto europeo ed il nostro diritto interno.
La discrezionalità amministrativa nell'evoluzione della forma di Stato / Terrano, Giovanni. - (2023).
La discrezionalità amministrativa nell'evoluzione della forma di Stato
Giovanni Terrano
2023
Abstract
Il presente lavoro ha ad oggetto il lungo dibattito che si è svolto in dottrina, tra i secoli XIX e XX fino ad arrivare all’attualità, relativo al tema della discrezionalità amministrativa. Infatti, il concetto di “discrezionalità” nasce con lo Stato liberale ottocentesco e i suoi primi studi scientifici sono stati svolti nel XIX secolo. In particolare, nell’Ottocento, la discrezionalità amministrativa indicava gli atti dell’amministrazione che, in ossequio al principio della separazione dei poteri, erano sottratti al sindacato giurisdizionale. Si trattava del fenomeno della indeterminatezza della norma giuridica, oggetto, nel corso del XIX e del XX secolo, di molteplici sviluppi interpretativi da parte della teoria generale del diritto. Il lungo dibattito sui concetti giuridici indeterminati, che ha influenzato la dottrina relativa alla discrezionalità, in particolare della discrezionalità tecnica, è stato importato dalla giuspubblicistica tedesca grazie al contributo di Federico Cammeo e di Errico Presutti, in particolare, che hanno elaborano la teoria della norma imprecisa. Oreste Ranelletti, invece, ha equiparato la discrezionalità tecnica a quella pura, ritenendo che entrambi i tipi di discrezionalità costituiscono sempre discrezionalità amministrativa, in quanto tra i due tipi di apprezzamento non vi era alcuna rilevanza giuridica. In realtà, la storicità della nozione di discrezionalità e la sua evoluzione si colgono facilmente solo se si considera il differente atteggiamento della discrezionalità nei passaggi tra le diverse forme di Stato nel corso dei secoli, fino a definire le sue caratteristiche attuali, che caratterizzano una forma di Stato ancora difficile da qualificare. Fondamentale è stato il contributo dato da Costantino Mortati, il quale si rese conto, negli anni ’30, del fatto che le problematiche relative agli atti politici, e più in genere al nesso costituzione – indirizzo politico, non potevano rimanere confinate a livello della definizione della forma di governo e della relazione tra gli organi costituzionali; esse dovevano estendersi, invece, proprio a causa dell’impostazione teorica di fondo, a tutta la macchina dello Stato, ivi compresa la stessa amministrazione. Più precisamente, a suo parere, la Costituzione doveva porsi come programma per l’amministrazione; un programma che veniva attuato, se occorreva, saltando la mediazione legislativo – parlamentare, o passando per essa, ma solo in quanto anche questa fosse strumento di attuazione della costituzione medesima, alla quale si riconduceva, quindi, in definitiva tutto l’ordinamento delle potestà pubbliche. Mortati, anche sulla scia della nota teoria della “costruzione a gradi” di Kelsen e di Merkl, disegnava i lineamenti di una vera e propria teoria generale della discrezionalità, che egli collocava a livello costituzionale della teoria delle fonti. Egli partiva dal presupposto che la crisi della legalità formale, dovuta alla crisi dello Stato legislativo parlamentare, aveva determinato un ampliamento del “campo dell’attività concreta sottratta alla predeterminazione legale”, ovvero di un campo della legittimità sempre più vistosamente staccato da quella della legalità, ed affidato così in modo quasi esclusivo al libero operare del governo e dell’amministrazione. Lo spazio della legittimità veniva riempito da una vera e propria attività giuridica di produzione di norme derivate, tenuto conto delle posizioni di autonomia riconosciute dall’ordinamento alla pubblica amministrazione con lo strumento tipico dell’atto amministrativo, e ai privati con lo strumento altrettanto tipico del negozio. In sintesi, alla crisi della legalità formale, Mortati non reagiva come avevano fatto Santi Romano ed Oreste Ranelletti con l’amministrativizzazione del diritto pubblico, ma con la costituzionalizzazione dell’intera esperienza giuridica, includendo nel campo della Costituzione anche l’espressione di autonomia e, quindi, di potere discrezionale, dei privati. Con Massimo Severo Giannini, infine, la discrezionalità assume le caratteristiche di comparazione tra interessi pubblici ed interessi privati concorrenti in una determinata situazione oggettiva, venendo ad esprimere un potere che “implica giudizio e volontà insieme” mentre la discrezionalità tecnica si ascrive ad “un momento conoscitivo” il quale “implica solo giudizio: ciò che attiene alla volizione viene dopo, e può coinvolgere una separata valutazione discrezionale”. Attraverso l’analisi del dibattito tra i più rilevanti autori della giuspubblicistica che si sono susseguiti nelle diverse forme di Stato, si cercherà di giungere alla individuazione e alla comprensione dell’impatto che il concetto di discrezionalità ha avuto con l’attuale forma di Stato, che la dottrina ancora non riesce a qualificare, al fine di individuare anche le ricadute che essa ha avuto a seguito dell’incontro tra il diritto europeo ed il nostro diritto interno.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.