Se le costituzioni si muovono, lo fanno, dunque, non solo per adattarsi ai fatti e all’evoluzione imposta dalla Storia ma anche per avere, esse stesse, una funzione ordinante del reale e per continuare, attraverso il proprio mutamento, «a salvaguardare il quid che esse intendono preservare». Quale quid, quali valori costituzionali ha inteso preservare il legislatore di revisione costituzionale quando ha assecondato le spinte della Storia e del reale nel 2001? A questa domanda, cerco di rispondere nelle pagine che seguono, provando a entrare nella «prospettiva storica» di quest’ultima stagione del regionalismo, che a più riprese si è tentato di trasformare in penultima. Il tema, però, non è soltanto quello delle ragioni della revisione costituzionale, e quindi dell’insieme degli eventi, dei fatti storici che hanno innescato il processo. Difatti, la relazione ha nel suo titolo anche la questione dell’attuazione della revisione costituzionale: l’obiettivo è capire quale verso si voleva imprimere al regionalismo italiano, in che misura la voce della Storia sia stata ascoltata e se gli attori istituzionali si siano comportati nel modo che ci si sarebbe attesi, al fine di preservare il quid, l’essenza di valori che della Costituzione aspirano all’eternità, nonostante eventi traumatici come le revisioni. Per questo, nella «prospettiva storica» della revisione del 2001 entra non una asettica cronologia di eventi ma anche un giudizio sulla revisione e sulla sua attuazione. Posto l’obiettivo, strutturerò il lavoro in questo modo: dopo aver individuato le cause politiche e giuridiche che hanno portato all’approvazione della riforma del 2001 – sottolineando come sia essa stessa attuazione della legislazione e della giurisprudenza precedente, specie quella ha provato a spingere verso la leale cooperazione (1.2.)– mi soffermerò sul moto legislativo e giurisprudenziale dell’attuazione (1.3), mettendo in rilievo come quest’ultimo rappresenti una vera cifra di stile del diritto regionale, che ha assunto connotati di normalità, anche se per alcuni4 ciò non coincide affatto con la fisiologia del rapporto tra Costituzione e sua attuazione. Mi soffermerò su fili rossi selezionati (2.), concernenti precipuamente l’autonomia politica e, dunque, legislativa delle Regioni (3. e relativi sottoparagrafi) evidenziando come si sia realizzata una sorta di eterogenesi dei fini della riforma: un ampliamento deludente degli spazi di 3 autonomia che ha portato, come in un circolo vizioso, anche a un peggioramento anche della qualità media della legislazione regionale. Nonostante l’impiego, da parte della Corte costituzionale, di una interessante tecnica volta a consentire una migliore interazione tra legislatori (che però necessità di ulteriori aggiustamenti 3.2.5), dunque, una lettura centralista delle competenze normative non bilanciata da adeguati meccanismi cooperativi in fase legislativa5 (4) hanno contribuito a rafforzare l’idea che la riforma del 2001 abbia rafforzato elementi duali e competitivi nell’ordinamento regionale. Se ce ne fosse ancora bisogno, un’ulteriore conferma di un andamento non cooperativo (ma piuttosto duale e competitivo) dei rapporti Stato- Regioni proviene dalle vicende riguardanti le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» di cui all’art. 116, comma 3, Cost. (5.): norma che è stata silente per tutto il tempo che la politica ha voluto, fino a quando non si è deciso di implementarla prima attraverso una attuazione diretta/interpretazione della Costituzione (mi riferisco alle intese siglate tra il governo e alcune Regioni, ormai prima della pandemia) e poi con una legge divisiva e tecnicamente carente come la n. 86/2024. Mentre si scrive, si attendono le motivazioni della sentenza con cui la Corte, decidendo sui ricorsi presentati da alcune Regioni avverso la legge, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale: nondimeno se ne possono già individuare i profili manifestamente incostituzionali. Il lavoro si chiude con un giudizio complessivo sulla riforma del 2001, cercando di intrecciare i fili della revisione costituzionale, della sua attuazione e, conseguentemente, del ruolo di Legislatore e Corte rispetto alla domanda, radicale, brutale: cosa si vuole che siano le Regioni.

La legge costituzionale n. 3 del 2001 e la sua attuazione / Parisi, Stefania. - (In corso di stampa).

La legge costituzionale n. 3 del 2001 e la sua attuazione

parisi stefania
In corso di stampa

Abstract

Se le costituzioni si muovono, lo fanno, dunque, non solo per adattarsi ai fatti e all’evoluzione imposta dalla Storia ma anche per avere, esse stesse, una funzione ordinante del reale e per continuare, attraverso il proprio mutamento, «a salvaguardare il quid che esse intendono preservare». Quale quid, quali valori costituzionali ha inteso preservare il legislatore di revisione costituzionale quando ha assecondato le spinte della Storia e del reale nel 2001? A questa domanda, cerco di rispondere nelle pagine che seguono, provando a entrare nella «prospettiva storica» di quest’ultima stagione del regionalismo, che a più riprese si è tentato di trasformare in penultima. Il tema, però, non è soltanto quello delle ragioni della revisione costituzionale, e quindi dell’insieme degli eventi, dei fatti storici che hanno innescato il processo. Difatti, la relazione ha nel suo titolo anche la questione dell’attuazione della revisione costituzionale: l’obiettivo è capire quale verso si voleva imprimere al regionalismo italiano, in che misura la voce della Storia sia stata ascoltata e se gli attori istituzionali si siano comportati nel modo che ci si sarebbe attesi, al fine di preservare il quid, l’essenza di valori che della Costituzione aspirano all’eternità, nonostante eventi traumatici come le revisioni. Per questo, nella «prospettiva storica» della revisione del 2001 entra non una asettica cronologia di eventi ma anche un giudizio sulla revisione e sulla sua attuazione. Posto l’obiettivo, strutturerò il lavoro in questo modo: dopo aver individuato le cause politiche e giuridiche che hanno portato all’approvazione della riforma del 2001 – sottolineando come sia essa stessa attuazione della legislazione e della giurisprudenza precedente, specie quella ha provato a spingere verso la leale cooperazione (1.2.)– mi soffermerò sul moto legislativo e giurisprudenziale dell’attuazione (1.3), mettendo in rilievo come quest’ultimo rappresenti una vera cifra di stile del diritto regionale, che ha assunto connotati di normalità, anche se per alcuni4 ciò non coincide affatto con la fisiologia del rapporto tra Costituzione e sua attuazione. Mi soffermerò su fili rossi selezionati (2.), concernenti precipuamente l’autonomia politica e, dunque, legislativa delle Regioni (3. e relativi sottoparagrafi) evidenziando come si sia realizzata una sorta di eterogenesi dei fini della riforma: un ampliamento deludente degli spazi di 3 autonomia che ha portato, come in un circolo vizioso, anche a un peggioramento anche della qualità media della legislazione regionale. Nonostante l’impiego, da parte della Corte costituzionale, di una interessante tecnica volta a consentire una migliore interazione tra legislatori (che però necessità di ulteriori aggiustamenti 3.2.5), dunque, una lettura centralista delle competenze normative non bilanciata da adeguati meccanismi cooperativi in fase legislativa5 (4) hanno contribuito a rafforzare l’idea che la riforma del 2001 abbia rafforzato elementi duali e competitivi nell’ordinamento regionale. Se ce ne fosse ancora bisogno, un’ulteriore conferma di un andamento non cooperativo (ma piuttosto duale e competitivo) dei rapporti Stato- Regioni proviene dalle vicende riguardanti le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» di cui all’art. 116, comma 3, Cost. (5.): norma che è stata silente per tutto il tempo che la politica ha voluto, fino a quando non si è deciso di implementarla prima attraverso una attuazione diretta/interpretazione della Costituzione (mi riferisco alle intese siglate tra il governo e alcune Regioni, ormai prima della pandemia) e poi con una legge divisiva e tecnicamente carente come la n. 86/2024. Mentre si scrive, si attendono le motivazioni della sentenza con cui la Corte, decidendo sui ricorsi presentati da alcune Regioni avverso la legge, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale: nondimeno se ne possono già individuare i profili manifestamente incostituzionali. Il lavoro si chiude con un giudizio complessivo sulla riforma del 2001, cercando di intrecciare i fili della revisione costituzionale, della sua attuazione e, conseguentemente, del ruolo di Legislatore e Corte rispetto alla domanda, radicale, brutale: cosa si vuole che siano le Regioni.
In corso di stampa
La legge costituzionale n. 3 del 2001 e la sua attuazione / Parisi, Stefania. - (In corso di stampa).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/990474
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