L'articolo analizza la dicotomia tra la "città dell'immagine" e la "città degli esclusi", un contrasto che caratterizza la società contemporanea e che ha radici storiche profonde. Sebbene l'urbanistica moderna abbia cercato di costruire una "città dei diritti", ispirata a principi di inclusione e uguaglianza sociale, questa visione si scontra con le contraddizioni della modernità stessa. In Italia, il DM1444 del 1968 sancisce gli standard urbanistici per garantire spazi pubblici adeguati, ma l'imposizione di un modello rigido ha spesso trascurato le specificità locali e la diversità sociale, contribuendo a un'esclusione involontaria. Il dibattito sulla progettazione urbana si intensifica con la crisi del Movimento Moderno e l’avvio di una fase sperimentale promossa dal Team X, che esplora nuove forme di partecipazione e rinnovamento urbano. Tuttavia, la distanza tra la città pianificata e la città vissuta rimane un nodo irrisolto, rendendo necessario un ripensamento delle politiche urbane. Un esempio positivo è rappresentato dal modello di housing sociale di Vienna, dove il 60% della popolazione risiede in abitazioni comunali, evitando la stigmatizzazione dei quartieri popolari. Questo sistema garantisce equità attraverso affitti a costo reale e il reinserimento degli alloggi nel circuito pubblico, prevenendo la speculazione immobiliare. Inoltre, la qualità architettonica e la presenza di servizi comunitari contribuiscono al benessere collettivo. In Italia, invece, l’accesso all’edilizia pubblica è limitato a categorie svantaggiate, creando ghettizzazioni e precarietà abitativa. Il modello tradizionale di ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) fatica a offrire soluzioni sostenibili, mentre alcune sperimentazioni di social housing, soprattutto nel Nord, cercano di avvicinarsi agli standard europei. Tuttavia, il settore rimane frammentato e influenzato da politiche emergenziali, con risultati spesso deludenti. L’Italia può trarre insegnamento dal caso viennese, ma il semplice trasferimento di modelli non è sufficiente. È essenziale un approccio calibrato sulle specificità locali, con strategie progressivamente monitorabili. Alcuni progetti recenti, come il polo universitario a Scampia o il condominio sociale a Napoli, rappresentano tentativi di rigenerazione urbana basati sulla costruzione di rapporti di fiducia tra cittadini e istituzioni. Tuttavia, affinché tali iniziative abbiano successo, è necessaria una volontà politica di lungo termine, capace di sostenere politiche abitative strutturate e inclusive. Il superamento della dicotomia tra immagine e realtà richiede quindi un ripensamento dell'urbanistica, basato non solo sulla qualità architettonica, ma anche su una governance attenta alle dinamiche sociali e territoriali.

Abito nelle Palazzine: edilizia popolare in Italia e stigma sociale / Scala, P.. - (2024), pp. 67-74.

Abito nelle Palazzine: edilizia popolare in Italia e stigma sociale

Scala P.
2024

Abstract

L'articolo analizza la dicotomia tra la "città dell'immagine" e la "città degli esclusi", un contrasto che caratterizza la società contemporanea e che ha radici storiche profonde. Sebbene l'urbanistica moderna abbia cercato di costruire una "città dei diritti", ispirata a principi di inclusione e uguaglianza sociale, questa visione si scontra con le contraddizioni della modernità stessa. In Italia, il DM1444 del 1968 sancisce gli standard urbanistici per garantire spazi pubblici adeguati, ma l'imposizione di un modello rigido ha spesso trascurato le specificità locali e la diversità sociale, contribuendo a un'esclusione involontaria. Il dibattito sulla progettazione urbana si intensifica con la crisi del Movimento Moderno e l’avvio di una fase sperimentale promossa dal Team X, che esplora nuove forme di partecipazione e rinnovamento urbano. Tuttavia, la distanza tra la città pianificata e la città vissuta rimane un nodo irrisolto, rendendo necessario un ripensamento delle politiche urbane. Un esempio positivo è rappresentato dal modello di housing sociale di Vienna, dove il 60% della popolazione risiede in abitazioni comunali, evitando la stigmatizzazione dei quartieri popolari. Questo sistema garantisce equità attraverso affitti a costo reale e il reinserimento degli alloggi nel circuito pubblico, prevenendo la speculazione immobiliare. Inoltre, la qualità architettonica e la presenza di servizi comunitari contribuiscono al benessere collettivo. In Italia, invece, l’accesso all’edilizia pubblica è limitato a categorie svantaggiate, creando ghettizzazioni e precarietà abitativa. Il modello tradizionale di ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) fatica a offrire soluzioni sostenibili, mentre alcune sperimentazioni di social housing, soprattutto nel Nord, cercano di avvicinarsi agli standard europei. Tuttavia, il settore rimane frammentato e influenzato da politiche emergenziali, con risultati spesso deludenti. L’Italia può trarre insegnamento dal caso viennese, ma il semplice trasferimento di modelli non è sufficiente. È essenziale un approccio calibrato sulle specificità locali, con strategie progressivamente monitorabili. Alcuni progetti recenti, come il polo universitario a Scampia o il condominio sociale a Napoli, rappresentano tentativi di rigenerazione urbana basati sulla costruzione di rapporti di fiducia tra cittadini e istituzioni. Tuttavia, affinché tali iniziative abbiano successo, è necessaria una volontà politica di lungo termine, capace di sostenere politiche abitative strutturate e inclusive. Il superamento della dicotomia tra immagine e realtà richiede quindi un ripensamento dell'urbanistica, basato non solo sulla qualità architettonica, ma anche su una governance attenta alle dinamiche sociali e territoriali.
2024
9791223502075
Abito nelle Palazzine: edilizia popolare in Italia e stigma sociale / Scala, P.. - (2024), pp. 67-74.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/998700
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