Il contributo intende nella prima parte evidenziare l'importanza di possedere competenze plurilinguiste per un partecipazione attiva alla moderna società delle comunicazioni, mentre nella seconda analizza le problematiche connesse alla mediazione linguistica in ambito universitario. Il tempo nel quale viviamo viene da molti definito come “era della comunicazione globale” . Fin dalla metà del secolo scorso è stato messo in evidenza come, affinché la comunicazione abbia luogo, sia necessaria una condivisione del codice fra emittente e destinatario (Jacobson 1958); è ancora al codice che prestano attenzione trenta anni dopo De Beaugrande e Dressler (1981) quando introducono la coesione la coerenza e al primo ed al secondo posto dei sette criteri di testualità . La diffusione globale dell’inglese sembrerebbe aver risolto il problema della condivisione del codice. Ma l’inglese diffuso oggi come lingua franca a livello mondiale non è la lingua ricca e completa parlata dai discendenti di Shakespeare, ma un nuovo fenomeno, etichettato oramai da più parti come globish - lingua essenziale, impoverita nel lessico e nella struttura-, che, proprio a causa della sua enorme diffusione, ha generato vere e proprie lingue ibride (Graddol 2008). Un codice con queste caratteristiche, per quanto enormemente diffuso, non sembra più idoneo a garantire una comunicazione reale ed efficiente, soprattutto dal momento che poiché il processo di restrizione o allargamento del senso può essere diverso a seconda dell’ambiente linguistico culturale, e ogni lingua porta con sé una visione del mondo che gli è propria, si verificano delle differenze inevitabili fra lingue diverse (Bosco Coletsos 2004) e che ogni lingua veicola la cultura peculiare della comunità costituita da coloro che la usano, che si rispecchia nelle espressioni idiomatiche, nelle costruzioni sintattiche e nelle metafore che la caratterizzano (Lakoff & Johnson, 1980). La società nella quale viviamo, che garantisce a tutti noi la possibilità di attivare contatti diretti con i nostri interlocutori, senza più bisogno di intermediazioni richiede dunque di possedere competenze plurilinguistiche, altrimenti si corre il rischio di un appiattimento linguistico che può derivare dall’uso dell’inglese come lingua franca da parte di non anglofoni con la conseguenza che il parlante non riesce ad esprimere il proprio pensiero (Rega,2004). Da un sondaggio svolto dall’U.E. nel 2005 risulta che il 44% dei cittadini europei non parla nessuna lingua straniera oltre alla propria e che appena il 30 % ne parla due, proprio per questo l’Unione Europea promuove il plurilinguismo sottolineando la necessità di possedere competenze in almeno due lingue oltre che nella propria lingua madre ed ha inserito la comunicazione nelle lingue straniere fra le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente. In questo panorama internazionale le istituzioni universitarie avrebbero il compito di incoraggiare una formazione plurilingue, mentre sembra che ancora oggi ci si orienti preferibilmente verso una formazione bilingue italiano-inglese. Consapevole che qualsiasi apprendimento, ma soprattutto quello linguistico –qualsiasi lingua risente dei cambiamenti della società- necessita di un aggiornamento continuo, la formazione linguistica, oltre a mediare competenze linguistiche dovrebbe implementare anche la capacità di “imparare ad imparare”, competenza fondamentale per l’apprendimento autonomo.
Competenze plurilinguistiche in ambito universitario: l'Inglese non basta! / Bandini, Amelia. - STAMPA. - (2010), pp. 101-114.
Competenze plurilinguistiche in ambito universitario: l'Inglese non basta!
BANDINI, AMELIA
2010
Abstract
Il contributo intende nella prima parte evidenziare l'importanza di possedere competenze plurilinguiste per un partecipazione attiva alla moderna società delle comunicazioni, mentre nella seconda analizza le problematiche connesse alla mediazione linguistica in ambito universitario. Il tempo nel quale viviamo viene da molti definito come “era della comunicazione globale” . Fin dalla metà del secolo scorso è stato messo in evidenza come, affinché la comunicazione abbia luogo, sia necessaria una condivisione del codice fra emittente e destinatario (Jacobson 1958); è ancora al codice che prestano attenzione trenta anni dopo De Beaugrande e Dressler (1981) quando introducono la coesione la coerenza e al primo ed al secondo posto dei sette criteri di testualità . La diffusione globale dell’inglese sembrerebbe aver risolto il problema della condivisione del codice. Ma l’inglese diffuso oggi come lingua franca a livello mondiale non è la lingua ricca e completa parlata dai discendenti di Shakespeare, ma un nuovo fenomeno, etichettato oramai da più parti come globish - lingua essenziale, impoverita nel lessico e nella struttura-, che, proprio a causa della sua enorme diffusione, ha generato vere e proprie lingue ibride (Graddol 2008). Un codice con queste caratteristiche, per quanto enormemente diffuso, non sembra più idoneo a garantire una comunicazione reale ed efficiente, soprattutto dal momento che poiché il processo di restrizione o allargamento del senso può essere diverso a seconda dell’ambiente linguistico culturale, e ogni lingua porta con sé una visione del mondo che gli è propria, si verificano delle differenze inevitabili fra lingue diverse (Bosco Coletsos 2004) e che ogni lingua veicola la cultura peculiare della comunità costituita da coloro che la usano, che si rispecchia nelle espressioni idiomatiche, nelle costruzioni sintattiche e nelle metafore che la caratterizzano (Lakoff & Johnson, 1980). La società nella quale viviamo, che garantisce a tutti noi la possibilità di attivare contatti diretti con i nostri interlocutori, senza più bisogno di intermediazioni richiede dunque di possedere competenze plurilinguistiche, altrimenti si corre il rischio di un appiattimento linguistico che può derivare dall’uso dell’inglese come lingua franca da parte di non anglofoni con la conseguenza che il parlante non riesce ad esprimere il proprio pensiero (Rega,2004). Da un sondaggio svolto dall’U.E. nel 2005 risulta che il 44% dei cittadini europei non parla nessuna lingua straniera oltre alla propria e che appena il 30 % ne parla due, proprio per questo l’Unione Europea promuove il plurilinguismo sottolineando la necessità di possedere competenze in almeno due lingue oltre che nella propria lingua madre ed ha inserito la comunicazione nelle lingue straniere fra le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente. In questo panorama internazionale le istituzioni universitarie avrebbero il compito di incoraggiare una formazione plurilingue, mentre sembra che ancora oggi ci si orienti preferibilmente verso una formazione bilingue italiano-inglese. Consapevole che qualsiasi apprendimento, ma soprattutto quello linguistico –qualsiasi lingua risente dei cambiamenti della società- necessita di un aggiornamento continuo, la formazione linguistica, oltre a mediare competenze linguistiche dovrebbe implementare anche la capacità di “imparare ad imparare”, competenza fondamentale per l’apprendimento autonomo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.