Nei sei mesi che vanno dall’agosto 2010 al gennaio 2011, un gruppo di ricerca del Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica dell’Università di Napoli “Federico II” (coordinato da Carmine Piscopo e da me con la consulenza di Paola Marotta) ha lavorato per produrre una serie di studi e di proposte relative alle aree polivalenti del Progetto C.A.S.E. Il metodo di lavoro del gruppo di ricerca - abituato a fondare i propri studi su una descrizione accurata delle caratteristiche dei luoghi, e le proprie proposte su una interpretazione il più possibile approfondita delle condizioni di partenza con cui è necessario confrontarsi - ha fatto emergere con chiarezza tutta la complessità di un processo progettuale che si poneva a valle del tempo (e dello spazio) del “primo intervento” ma ancora dentro il tempo (e lo spazio) dell’emergenza. Questa esperienza, i cui esiti scientifici e materiali verranno raccontati sinteticamente nel paper, ha consentito una utile riflessione sui modi e sui tempi con cui questo processo di “uscita dall’emergenza”, al tempo stesso tortuoso e direzionato, si articola: qual è il rapporto che in questi casi è possibile (e necessario) strutturare, nelle fasi della ricostruzione, tra emergenza e sviluppo? E’ possibile parlare di sviluppo, (cioè di una ricostruzione non meccanica di ciò che è andato distrutto) quando si è ancora dentro l’emergenza? Tutta la storia delle ricostruzioni post-terremoto è segnata da questo dilemma: soprattutto in Italia, dove la profonda “storicità” dei territori segnati dagli eventi sismici pone in termini molto problematici il tema della loro trasformazione. Guardando anche ai drammatici precedenti italiani, si vede che su questo tema, nel tempo, si sono confrontate due posizioni che possiamo definire radicali: l’una, con qualche cinismo, ha guardato al terremoto come a un formidabile “acceleratore dei processi di sviluppo”; l’altra, con qualche moralismo, ha sostenuto che è impensabile (e comunque ingiustificabile) affidare a una condizione di drammatica emergenza la soluzione (o anche solo l’avvio) di trasformazioni che non sono state praticate in momenti di normalità. L’esperienza del gruppo dipartimentale non ha potuto che praticare questa “opposizione” muovendosi con cura e attenzione nel territorio “intermedio” tra i due termini opposti.
Uscire dall'emergenza / Amirante, Roberta. - 005:(2013), pp. 139-143. (Intervento presentato al convegno Biennale dello Spazio Pubblico tenutosi a Roma nel 15-18 maggio 2013).
Uscire dall'emergenza
AMIRANTE, ROBERTA
2013
Abstract
Nei sei mesi che vanno dall’agosto 2010 al gennaio 2011, un gruppo di ricerca del Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica dell’Università di Napoli “Federico II” (coordinato da Carmine Piscopo e da me con la consulenza di Paola Marotta) ha lavorato per produrre una serie di studi e di proposte relative alle aree polivalenti del Progetto C.A.S.E. Il metodo di lavoro del gruppo di ricerca - abituato a fondare i propri studi su una descrizione accurata delle caratteristiche dei luoghi, e le proprie proposte su una interpretazione il più possibile approfondita delle condizioni di partenza con cui è necessario confrontarsi - ha fatto emergere con chiarezza tutta la complessità di un processo progettuale che si poneva a valle del tempo (e dello spazio) del “primo intervento” ma ancora dentro il tempo (e lo spazio) dell’emergenza. Questa esperienza, i cui esiti scientifici e materiali verranno raccontati sinteticamente nel paper, ha consentito una utile riflessione sui modi e sui tempi con cui questo processo di “uscita dall’emergenza”, al tempo stesso tortuoso e direzionato, si articola: qual è il rapporto che in questi casi è possibile (e necessario) strutturare, nelle fasi della ricostruzione, tra emergenza e sviluppo? E’ possibile parlare di sviluppo, (cioè di una ricostruzione non meccanica di ciò che è andato distrutto) quando si è ancora dentro l’emergenza? Tutta la storia delle ricostruzioni post-terremoto è segnata da questo dilemma: soprattutto in Italia, dove la profonda “storicità” dei territori segnati dagli eventi sismici pone in termini molto problematici il tema della loro trasformazione. Guardando anche ai drammatici precedenti italiani, si vede che su questo tema, nel tempo, si sono confrontate due posizioni che possiamo definire radicali: l’una, con qualche cinismo, ha guardato al terremoto come a un formidabile “acceleratore dei processi di sviluppo”; l’altra, con qualche moralismo, ha sostenuto che è impensabile (e comunque ingiustificabile) affidare a una condizione di drammatica emergenza la soluzione (o anche solo l’avvio) di trasformazioni che non sono state praticate in momenti di normalità. L’esperienza del gruppo dipartimentale non ha potuto che praticare questa “opposizione” muovendosi con cura e attenzione nel territorio “intermedio” tra i due termini opposti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.