La crisi che le istituzioni europee e l’idea stessa di Europa stanno attraversando deriva da cause in cui fattori culturali e fattori economici si connettono strettamente. Ma questo intreccio sfugge in prevalenza ai commentatori, i quali si lasciano attrarre da un certo scientismo economicista, mostrandosi del tutto inconsapevoli del processo storico come fatto umano, cioè come fatto dell’uomo nella sua concreta storicità; ovvero, all’opposto, si contrappongono all’«Europa dei mercati» su basi ideologizzanti, poco permeabili anch’esse alle repliche della storia, fornendo, se non una vera base teorica, almeno un repertorio retorico ai populismi e alle loro espressioni partitiche. Se, invece, ci si orienti a costruire – sulle orme di Carl Polanyi – un’«antropologia economica generale» dell’Europa, si possono intravvedere, e valutare nella loro portata, fattori che spingono alla coesione e fattori che spingono alla disarticolazione. Quanto ai fattori di unificazione, viene in primo piano l’avvicinamento tra i ceppi sistemici nella produzione del diritto, in ispecie con l’affermazione del diritto a formazione giurisprudenziale, anche di rango costituzionale, nell’Europa continentale: processo complesso, che tocca le connotazioni strutturali degli ordinamenti, e ancora irrisolto per molto rilevanti motivi. In connessione – ancora come fattore di unificazione – v’è l’integrazione multilivello delle giurisdizioni nazionali e sovranazionali. Sul versante delle forze che spingono alla «frammentazione» e contrastano l'«unità», la maggiore pietra d'inciampo sulla via dell'integrazione è nelle esigenze di garanzia dei diritti sociali: su questo terreno entrano in tensione politiche economiche, sistemi di produzione giuridica e potenti condizionamenti culturali. Sarebbe, infatti, un’astrazione poco virtuosa non considerare che il tentativo di dar luogo al «Trattato costituzionale», e il suo fallimento, si sono accompagnati a una crisi dei sistemi di welfare, e sono stati poi seguiti da una più generale crisi economica segnata dalle distorsioni dei mercati finanziari derivanti dall’insufficiente contrasto dei meccanismi speculativi. Alla prova dei fatti, la strumentazione istituzionale apprestata per fronteggiare le difficoltà della fase di ratifica, si è rivelata inadeguata innanzi alla tensione crescente tra livelli e i modi di garanzia di diritti «civili» (o diritti «cui corrispondono doveri di garanzia») e diritti «sociali» (o diritti «cui corrispondono doveri di aiuto materiale»). I diritti sociali – per ragioni storiche e culturali risalenti nella lunga durata, aventi radice negli stati più profondi dell’esperienza giuridica occidentale, come rileva Martha Nussbaum – sono diritti definiti «per prossimità», in una sfera protetta dai confini. I diritti civili invece possono esser più agevolmente estesi, universalizzati. La questione dell’universalizzazione dei diritti sociali e la tensione tra questa e il processo di integrazione, se assunte a riferimento nella considerazione del percorso dal Trattato alla Costituzione, mettono in mora sia le tesi «negazioniste», secondo le quali non è concepibile una federazione europea su basi democratiche, poiché l’Europa è in realtà un ambito in cui si dispiegano liberamente le forze dominatrici del mercato; sia le retoriche volontariste , per le quali ogni nodo, ogni ostacolo all’integrazione equivale a un’incomprensione culturale, a un ritardo regionale, a una miseria tattica. In realtà, il processo di formazione dell’ordinamento costituzionale europeo si svolge in forme molto distanti da quello che ha caratterizzato il costituzionalismo consolidatosi intorno allo Stato-Nazione, per la «non discontinuità» dagli assetti consolidati, per la corrispondenza a regole giuridiche, per l’indipendenza nel fondamento da un démos identificato secondo fattori di coesione primordiali, originari e permanenti, sublimati in una «coscienza nazionale» in cui confluiscano legami di sangue, di suolo, di cultura. Il fondamento è invece nel diritto prodotto dai giudici, nei diritti garantiti dalle giurisdizioni; e i giudici sono legittimati in via mediata dalla norma, prodotta nel circuito democratico o in sede giudiziale per volontà delle Costituzioni, e dalla soggezione a essa. Una legittimazione «processiva», però, che dovrà avere esito in una Costituzione scritta, se non si vuole che l’ordinamento europeo collassi. Tuttavia per arrivare a tanto occorre sciogliere il nodo dei diritti sociali. E su questo piano contrastare un’altra «falsa credenza»: quella della «frigidità sociale» dei padri fondatori, dunque di un vizio genetico, in ragione del quale vi sarà sempre un’Europa dei mercati, mai un’Europa dei diritti sociali. Al contrario, la logica dei padri fondatori è quella della costruzione giuridica dei mercato, che è anche alla base della tecnica normativa e dei contenuti dei Trattati nella loro configurazione originaria. Semmai vi è una tensione permanente tra il filo robusto derivante da tale più autentica ispirazione originaria e una concezione diversa, a tratti effettivamente dominante (ellitticamente: «spirito di Maastricht») orientata in modo tanto ferreo agli equilibri di bilancio e al contenimento della spesa pubblica da impedire le politiche anticicliche che altrove hanno condotto a fronteggiare efficacemente la crisi. Fatto è che da tutti i dati di sistema si può evincere che l’Europa sorretta da una sua Costituzione non è obiettivo conseguibile senza la costruzione di un welfare europeo.
The Crisis of State Sovereignty and Social Rights / Staiano, Sandro. - In: THE AGE OF HUMAN RIGHTS. - ISSN 2340-9592. - 2(2014), pp. 25-45.
The Crisis of State Sovereignty and Social Rights
STAIANO, SANDRO
2014
Abstract
La crisi che le istituzioni europee e l’idea stessa di Europa stanno attraversando deriva da cause in cui fattori culturali e fattori economici si connettono strettamente. Ma questo intreccio sfugge in prevalenza ai commentatori, i quali si lasciano attrarre da un certo scientismo economicista, mostrandosi del tutto inconsapevoli del processo storico come fatto umano, cioè come fatto dell’uomo nella sua concreta storicità; ovvero, all’opposto, si contrappongono all’«Europa dei mercati» su basi ideologizzanti, poco permeabili anch’esse alle repliche della storia, fornendo, se non una vera base teorica, almeno un repertorio retorico ai populismi e alle loro espressioni partitiche. Se, invece, ci si orienti a costruire – sulle orme di Carl Polanyi – un’«antropologia economica generale» dell’Europa, si possono intravvedere, e valutare nella loro portata, fattori che spingono alla coesione e fattori che spingono alla disarticolazione. Quanto ai fattori di unificazione, viene in primo piano l’avvicinamento tra i ceppi sistemici nella produzione del diritto, in ispecie con l’affermazione del diritto a formazione giurisprudenziale, anche di rango costituzionale, nell’Europa continentale: processo complesso, che tocca le connotazioni strutturali degli ordinamenti, e ancora irrisolto per molto rilevanti motivi. In connessione – ancora come fattore di unificazione – v’è l’integrazione multilivello delle giurisdizioni nazionali e sovranazionali. Sul versante delle forze che spingono alla «frammentazione» e contrastano l'«unità», la maggiore pietra d'inciampo sulla via dell'integrazione è nelle esigenze di garanzia dei diritti sociali: su questo terreno entrano in tensione politiche economiche, sistemi di produzione giuridica e potenti condizionamenti culturali. Sarebbe, infatti, un’astrazione poco virtuosa non considerare che il tentativo di dar luogo al «Trattato costituzionale», e il suo fallimento, si sono accompagnati a una crisi dei sistemi di welfare, e sono stati poi seguiti da una più generale crisi economica segnata dalle distorsioni dei mercati finanziari derivanti dall’insufficiente contrasto dei meccanismi speculativi. Alla prova dei fatti, la strumentazione istituzionale apprestata per fronteggiare le difficoltà della fase di ratifica, si è rivelata inadeguata innanzi alla tensione crescente tra livelli e i modi di garanzia di diritti «civili» (o diritti «cui corrispondono doveri di garanzia») e diritti «sociali» (o diritti «cui corrispondono doveri di aiuto materiale»). I diritti sociali – per ragioni storiche e culturali risalenti nella lunga durata, aventi radice negli stati più profondi dell’esperienza giuridica occidentale, come rileva Martha Nussbaum – sono diritti definiti «per prossimità», in una sfera protetta dai confini. I diritti civili invece possono esser più agevolmente estesi, universalizzati. La questione dell’universalizzazione dei diritti sociali e la tensione tra questa e il processo di integrazione, se assunte a riferimento nella considerazione del percorso dal Trattato alla Costituzione, mettono in mora sia le tesi «negazioniste», secondo le quali non è concepibile una federazione europea su basi democratiche, poiché l’Europa è in realtà un ambito in cui si dispiegano liberamente le forze dominatrici del mercato; sia le retoriche volontariste , per le quali ogni nodo, ogni ostacolo all’integrazione equivale a un’incomprensione culturale, a un ritardo regionale, a una miseria tattica. In realtà, il processo di formazione dell’ordinamento costituzionale europeo si svolge in forme molto distanti da quello che ha caratterizzato il costituzionalismo consolidatosi intorno allo Stato-Nazione, per la «non discontinuità» dagli assetti consolidati, per la corrispondenza a regole giuridiche, per l’indipendenza nel fondamento da un démos identificato secondo fattori di coesione primordiali, originari e permanenti, sublimati in una «coscienza nazionale» in cui confluiscano legami di sangue, di suolo, di cultura. Il fondamento è invece nel diritto prodotto dai giudici, nei diritti garantiti dalle giurisdizioni; e i giudici sono legittimati in via mediata dalla norma, prodotta nel circuito democratico o in sede giudiziale per volontà delle Costituzioni, e dalla soggezione a essa. Una legittimazione «processiva», però, che dovrà avere esito in una Costituzione scritta, se non si vuole che l’ordinamento europeo collassi. Tuttavia per arrivare a tanto occorre sciogliere il nodo dei diritti sociali. E su questo piano contrastare un’altra «falsa credenza»: quella della «frigidità sociale» dei padri fondatori, dunque di un vizio genetico, in ragione del quale vi sarà sempre un’Europa dei mercati, mai un’Europa dei diritti sociali. Al contrario, la logica dei padri fondatori è quella della costruzione giuridica dei mercato, che è anche alla base della tecnica normativa e dei contenuti dei Trattati nella loro configurazione originaria. Semmai vi è una tensione permanente tra il filo robusto derivante da tale più autentica ispirazione originaria e una concezione diversa, a tratti effettivamente dominante (ellitticamente: «spirito di Maastricht») orientata in modo tanto ferreo agli equilibri di bilancio e al contenimento della spesa pubblica da impedire le politiche anticicliche che altrove hanno condotto a fronteggiare efficacemente la crisi. Fatto è che da tutti i dati di sistema si può evincere che l’Europa sorretta da una sua Costituzione non è obiettivo conseguibile senza la costruzione di un welfare europeo.File | Dimensione | Formato | |
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