L’attuale riscoperta dei valori dell’artigianato, anzi della “perizia artigianale”, come il sociologo statunitense Richard Sennett ha efficacemente sancito alcuni anni fa con il libro The craftsman, senza nostalgie o retoriche retrò, ha un’origine lontana, almeno in Italia. Se è vero che l’amore per il “fatto a mano” ha sempre convissuto nelle pieghe della civiltà delle macchine, come un lusso ed una raffinatezza riservati ai pochi eletti della borghesia ricca, il Radical ‒ anzi, una parte territorialmente definita di questo fenomeno ‒ ha invertito la tendenza nella cultura italiana. Come un fiume carsico che fluisce sotterraneo nella cultura del progetto da Gio Ponti in poi, almeno per limitarci al ’900, una nuova dignità dell’artigianato, a partire dagli anni ’70, questa volta provocatoria, irriverente, nutrita dai ribellismi sessantottisti Artigianato in Design. L'estremismo gentile e il rigorismo introverso di Dalisi e Alison e ostentata dagli sperimentalismi dell’Antidesign e dei laboratori didattici della Global Tools, prende sempre più corpo. E questo non poteva non avvenire che nel territorio povero di industrie, nel Sud dell’Italia, a Napoli e in Campania, con Riccardo Dalisi, figura paradigmatica del progetto italiano antispecialistico e sinestetico verso le arti. Dalisi, per inventare un design tagliato su misura del suo antiprofessionismo ideologico, ma dolcemente eretico, e utilizzando ‒ si direbbe oggi ‒ la forza mediatica del Radical e dei suoi testimonial come Branzi, Sottsass e soprattutto Mendini con Casabella e Domus, non può non affidare al suo esercito di bambini e vecchi del sottoproletariato urbano il ruolo di detonatore, e all’artigianato (senza artigiani o con artigiani sottooccupati) il ruolo di ordigno lasciato esplodere nel Good Design e il cui potenziale, 428 oggi, rilascia ancora un’energia vitale e costruttiva intercettata dagli studiosi al tempo della crisi. La straordinaria contraddizione – una delle tante vissute nella cultura partenopea e da questa provocate – è che l’artigianato è stato risvegliato anche da forze completamente opposte a Dalisi e al Radical. L’opera silenziosa, contemplativa e rigorosa di un altro napoletano schivo come Filippo Alison, che lo ha portato alla collezione “I Maestri” per Cassina, è stata costruita seguendo un tracciato diverso, concepito all’interno di quella cultura europea che prende spunto dal movimento Arts and Crafts e dalle esperienze del Deutscher Werkbund e della Wiener Werkstätte. Alison, successivamente alla collaborazione intrapresa con Cassina nel 1972 – proprio negli anni in cui Dalisi si schierava per la cultura Radical – rafforza la sua posizione teorica, concependo con Renato De Fusco l’Artidesign, il genere “terzo” tra artigianato e design. Ciò che unisce Dalisi e Alison, contrapposti nel metodo di lavoro e nelle posizioni ideologiche, è il coinvolgimento dell’università, riuscendo a travasare le proprie ricerche e sperimentazioni extra accademiche nell’insegnamento e, ovviamente, l’aver saputo offrire un’altra chance all’artigianato. Ed è singolare che una sintesi concreta del lavoro dei due nasca al Sud, con la realizzazione a Pompei del Museo Temporaneo delle Imprese del prodotto di eccellenza campano.
Artigianato in design. L'estremismo gentile ed il rigorismo introverso di Dalisi e Alison / Cafiero, Gioconda; Claudio, Gambardella. - (2013), pp. 427-434. (Intervento presentato al convegno Rebel Matters Radical Patterns tenutosi a Genova nel 21-23 marzo 2013).
Artigianato in design. L'estremismo gentile ed il rigorismo introverso di Dalisi e Alison
CAFIERO, GIOCONDA;
2013
Abstract
L’attuale riscoperta dei valori dell’artigianato, anzi della “perizia artigianale”, come il sociologo statunitense Richard Sennett ha efficacemente sancito alcuni anni fa con il libro The craftsman, senza nostalgie o retoriche retrò, ha un’origine lontana, almeno in Italia. Se è vero che l’amore per il “fatto a mano” ha sempre convissuto nelle pieghe della civiltà delle macchine, come un lusso ed una raffinatezza riservati ai pochi eletti della borghesia ricca, il Radical ‒ anzi, una parte territorialmente definita di questo fenomeno ‒ ha invertito la tendenza nella cultura italiana. Come un fiume carsico che fluisce sotterraneo nella cultura del progetto da Gio Ponti in poi, almeno per limitarci al ’900, una nuova dignità dell’artigianato, a partire dagli anni ’70, questa volta provocatoria, irriverente, nutrita dai ribellismi sessantottisti Artigianato in Design. L'estremismo gentile e il rigorismo introverso di Dalisi e Alison e ostentata dagli sperimentalismi dell’Antidesign e dei laboratori didattici della Global Tools, prende sempre più corpo. E questo non poteva non avvenire che nel territorio povero di industrie, nel Sud dell’Italia, a Napoli e in Campania, con Riccardo Dalisi, figura paradigmatica del progetto italiano antispecialistico e sinestetico verso le arti. Dalisi, per inventare un design tagliato su misura del suo antiprofessionismo ideologico, ma dolcemente eretico, e utilizzando ‒ si direbbe oggi ‒ la forza mediatica del Radical e dei suoi testimonial come Branzi, Sottsass e soprattutto Mendini con Casabella e Domus, non può non affidare al suo esercito di bambini e vecchi del sottoproletariato urbano il ruolo di detonatore, e all’artigianato (senza artigiani o con artigiani sottooccupati) il ruolo di ordigno lasciato esplodere nel Good Design e il cui potenziale, 428 oggi, rilascia ancora un’energia vitale e costruttiva intercettata dagli studiosi al tempo della crisi. La straordinaria contraddizione – una delle tante vissute nella cultura partenopea e da questa provocate – è che l’artigianato è stato risvegliato anche da forze completamente opposte a Dalisi e al Radical. L’opera silenziosa, contemplativa e rigorosa di un altro napoletano schivo come Filippo Alison, che lo ha portato alla collezione “I Maestri” per Cassina, è stata costruita seguendo un tracciato diverso, concepito all’interno di quella cultura europea che prende spunto dal movimento Arts and Crafts e dalle esperienze del Deutscher Werkbund e della Wiener Werkstätte. Alison, successivamente alla collaborazione intrapresa con Cassina nel 1972 – proprio negli anni in cui Dalisi si schierava per la cultura Radical – rafforza la sua posizione teorica, concependo con Renato De Fusco l’Artidesign, il genere “terzo” tra artigianato e design. Ciò che unisce Dalisi e Alison, contrapposti nel metodo di lavoro e nelle posizioni ideologiche, è il coinvolgimento dell’università, riuscendo a travasare le proprie ricerche e sperimentazioni extra accademiche nell’insegnamento e, ovviamente, l’aver saputo offrire un’altra chance all’artigianato. Ed è singolare che una sintesi concreta del lavoro dei due nasca al Sud, con la realizzazione a Pompei del Museo Temporaneo delle Imprese del prodotto di eccellenza campano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.