Nel 2015 la Commissione europea ha pubblicato un rapporto dal titolo The Knowledge Future: Intelligent Policy Choices for Europe 2050, che delinea alcune tendenze di lungo periodo nel campo delle politiche pubbliche per la conoscenza in Europa, in particolare, riguardo la capacità di incentivare la ricerca, generare nuove competenze e favorire l’innovazione tecnologica. I mutamenti che si profilano nelle policies sono legati alla globalizzazione, ai cambiamenti demografici e allo sviluppo delle tecnologie, che vedono come protagonista le Università europee oltre che le aziende, le istituzioni e le comunità del Continente. In questo rapporto si delinea per il 2050 uno scenario che, secondo la Commissione, prevede il dimezzamento del numero delle Università europee (2.000 rispetto alle 4.000 attuali) e la creazione di raggruppamenti scientifico-tecnologici sempre più concentrati intorno ai grandi centri di ricerca europei. Inoltre, grazie all’ausilio delle nuove tecnologie (si pensi, ad esempio, ai Massive Open On line Courses-MOOC) e dei ranking internazionali, la Commissione prevede che nel 2050 «a few European countries have managed to maintain a small number of world class universities – the ones, again, whose research strengths, international reputation, and deep private pockets have made them winners». Oltre a queste Università, ne esisteranno altre, di carattere più locale, impegnate in una formazione più generalista ma allo stesso tempo fortemente specializzate sui bisogni e le specializzazioni delle differenti regioni europee in linea con gli indirizzi delle Smart specialization strategies. In accordo con questa impostazione, negli ultimi anni sono stati numerosi e autorevoli gli interventi di rappresentanti politici che, prefigurando il possibile futuro dell’Università italiana, hanno fatto esplicito richiamo all’attuazione di una politica universitaria coerente con l’idea di due modelli diversi di Atenei: uno orientato alla ricerca e alla didattica avanzata (lauree magistrali, PhD, ricerca avanzata), l’altro più centrato intorno alla didattica di base (lauree triennali e specializzazione territoriale). Se si assegna all’Università il ruolo di uno dei principali motori per l’accrescimento del capitale umano necessario ad intraprendere le traiettorie dello 220 sviluppo sociale e civile e della crescita economica di una regione, non ci si può non interrogare con preoccupazione sugli effetti che una politica del genere potrà avere sul Paese e sul Mezzogiorno. Questi effetti, si intende, sono frutti che si raccolgono (oppure non si raccolgono) solo nel lungo periodo, ma è importante capire che essi sono strettamente legati alle scelte che oggi si stanno facendo in merito alla selezione della classe docenti, ai servizi offerti agli studenti, alle modalità di distribuzione delle risorse. Il filosofo Micheal Sandel ha detto che «Chiedersi se una società sia giusta significa chiedersi come distribuisce le cose a cui diamo valore: il reddito e la ricchezza, i doveri e i diritti, il potere e le occasioni, le cariche e gli onori». Ed è proprio sulle modalità distributive di questo disegno che bisogna discutere. Come si coniuga questa strategia con lo stato dell’Università in Italia? Come il Paese si sta preparando a questo cambiamento? Si è oggi in grado di stimolare nelle nuove generazioni il desiderio di approfondire la conoscenza per giungere a nuove scoperte, per continuare ad innovare? E poi, quali risorse sta mettendo in campo la politica universitaria per permettere agli Atenei italiani di affrontare queste difficili sfide? I paragrafi che seguono cercheranno di rispondere a queste domande trattando, soprattutto in un’ottica regionale, due questioni strutturali: la distribuzione delle risorse dal MIUR agli Atenei italiani e il calo degli immatricolati. L’ultimo paragrafo prima delle conclusioni affronterà in maniera non sistematica alcune questioni particolarmente problematiche come il diritto allo studio, le tasse universitarie e i falsi miti sull’Università in Italia come la produttività della ricerca o la diffusione territoriale delle sedi universitarie. È in ultimo doveroso ricordare che il presente Capitolo fa tesoro di due ottime recenti monografie sul tema: La questione meridionale dell’Università di Mauro Fiorentino e il settimo Rapporto della Fondazione RES Università in declino, curato da Gianfranco Viesti. Questi due volumi hanno il grande merito di spiegare in maniera chiara il funzionamento e i principali risultati di un sistema che impiega circa 100.000 persone (52% docenti, 48% tecnicoamministrativi), fa studiare circa 1 milione e 800.000 persone, immatricola ogni anno circa 265.000 studenti5. Pur differenti nella impostazione e nelle tematiche trattate (il primo più attento alle dinamiche tecniche e politiche che hanno determinato la distribuzione delle risorse degli ultimi anni, il secondo più orientato al commento e all’analisi delle principali criticità del sistema universitario evidenziate dall’impressionante mole di dati da varie fonti come MIUR, ANVUR e ISTAT), questi due volumi risultano strumenti di analisi imprescindibili.
L’Università e il Mezzogiorno / Vecchione, Gaetano. - (2016), pp. 219-229.
L’Università e il Mezzogiorno
Gaetano Vecchione
2016
Abstract
Nel 2015 la Commissione europea ha pubblicato un rapporto dal titolo The Knowledge Future: Intelligent Policy Choices for Europe 2050, che delinea alcune tendenze di lungo periodo nel campo delle politiche pubbliche per la conoscenza in Europa, in particolare, riguardo la capacità di incentivare la ricerca, generare nuove competenze e favorire l’innovazione tecnologica. I mutamenti che si profilano nelle policies sono legati alla globalizzazione, ai cambiamenti demografici e allo sviluppo delle tecnologie, che vedono come protagonista le Università europee oltre che le aziende, le istituzioni e le comunità del Continente. In questo rapporto si delinea per il 2050 uno scenario che, secondo la Commissione, prevede il dimezzamento del numero delle Università europee (2.000 rispetto alle 4.000 attuali) e la creazione di raggruppamenti scientifico-tecnologici sempre più concentrati intorno ai grandi centri di ricerca europei. Inoltre, grazie all’ausilio delle nuove tecnologie (si pensi, ad esempio, ai Massive Open On line Courses-MOOC) e dei ranking internazionali, la Commissione prevede che nel 2050 «a few European countries have managed to maintain a small number of world class universities – the ones, again, whose research strengths, international reputation, and deep private pockets have made them winners». Oltre a queste Università, ne esisteranno altre, di carattere più locale, impegnate in una formazione più generalista ma allo stesso tempo fortemente specializzate sui bisogni e le specializzazioni delle differenti regioni europee in linea con gli indirizzi delle Smart specialization strategies. In accordo con questa impostazione, negli ultimi anni sono stati numerosi e autorevoli gli interventi di rappresentanti politici che, prefigurando il possibile futuro dell’Università italiana, hanno fatto esplicito richiamo all’attuazione di una politica universitaria coerente con l’idea di due modelli diversi di Atenei: uno orientato alla ricerca e alla didattica avanzata (lauree magistrali, PhD, ricerca avanzata), l’altro più centrato intorno alla didattica di base (lauree triennali e specializzazione territoriale). Se si assegna all’Università il ruolo di uno dei principali motori per l’accrescimento del capitale umano necessario ad intraprendere le traiettorie dello 220 sviluppo sociale e civile e della crescita economica di una regione, non ci si può non interrogare con preoccupazione sugli effetti che una politica del genere potrà avere sul Paese e sul Mezzogiorno. Questi effetti, si intende, sono frutti che si raccolgono (oppure non si raccolgono) solo nel lungo periodo, ma è importante capire che essi sono strettamente legati alle scelte che oggi si stanno facendo in merito alla selezione della classe docenti, ai servizi offerti agli studenti, alle modalità di distribuzione delle risorse. Il filosofo Micheal Sandel ha detto che «Chiedersi se una società sia giusta significa chiedersi come distribuisce le cose a cui diamo valore: il reddito e la ricchezza, i doveri e i diritti, il potere e le occasioni, le cariche e gli onori». Ed è proprio sulle modalità distributive di questo disegno che bisogna discutere. Come si coniuga questa strategia con lo stato dell’Università in Italia? Come il Paese si sta preparando a questo cambiamento? Si è oggi in grado di stimolare nelle nuove generazioni il desiderio di approfondire la conoscenza per giungere a nuove scoperte, per continuare ad innovare? E poi, quali risorse sta mettendo in campo la politica universitaria per permettere agli Atenei italiani di affrontare queste difficili sfide? I paragrafi che seguono cercheranno di rispondere a queste domande trattando, soprattutto in un’ottica regionale, due questioni strutturali: la distribuzione delle risorse dal MIUR agli Atenei italiani e il calo degli immatricolati. L’ultimo paragrafo prima delle conclusioni affronterà in maniera non sistematica alcune questioni particolarmente problematiche come il diritto allo studio, le tasse universitarie e i falsi miti sull’Università in Italia come la produttività della ricerca o la diffusione territoriale delle sedi universitarie. È in ultimo doveroso ricordare che il presente Capitolo fa tesoro di due ottime recenti monografie sul tema: La questione meridionale dell’Università di Mauro Fiorentino e il settimo Rapporto della Fondazione RES Università in declino, curato da Gianfranco Viesti. Questi due volumi hanno il grande merito di spiegare in maniera chiara il funzionamento e i principali risultati di un sistema che impiega circa 100.000 persone (52% docenti, 48% tecnicoamministrativi), fa studiare circa 1 milione e 800.000 persone, immatricola ogni anno circa 265.000 studenti5. Pur differenti nella impostazione e nelle tematiche trattate (il primo più attento alle dinamiche tecniche e politiche che hanno determinato la distribuzione delle risorse degli ultimi anni, il secondo più orientato al commento e all’analisi delle principali criticità del sistema universitario evidenziate dall’impressionante mole di dati da varie fonti come MIUR, ANVUR e ISTAT), questi due volumi risultano strumenti di analisi imprescindibili.File | Dimensione | Formato | |
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