Danilo Dolci intende la poesia nel suo senso etimologico: quel ποιε̃ιν che in greco è verbo spalancato del fare si indirizza verso un punto di mira, in cui tutte le ipotesi sono sottoposte alla prova di una verifica: poiché nel mirare, gesto che va distinto dalle astrazioni dell’utopia, le parole conservano il contatto con le cose, con la sostanza più profonda del mondo. Sembra delinearsi, così, la vasta ottica di una «cosmologia oculare», in cui la vita viene avvertita come un fenomeno visivo. La poesia intensifica questa sorta di messa a fuoco, di concentrazione fantastica. Si fa trasparenza. Scorgere la vita là dove essa è ancora sommersa: è questo il gesto fondamentale per tentare il cambiamento: la figura del proteus anguinus, creatura delle grotte carsiche, i cui occhi rudimentali vengono col tempo assorbiti dalla pelle, si fonde con quella mitica di Proteo e delle sue incessanti mutazioni. Quando la troppa luce diventa minaccia per la perdita della vista, i suoi occhi si calcificano e il mirare si ripiega in un destino di cecità. E tuttavia, l’animale non smette di muoversi, rendendo il suo brancolare una forma inesauribile di resistenza.
Mirare / Acocella, Silvia. - IV:(2018), pp. 27-38.
Mirare
Acocella, Silvia
2018
Abstract
Danilo Dolci intende la poesia nel suo senso etimologico: quel ποιε̃ιν che in greco è verbo spalancato del fare si indirizza verso un punto di mira, in cui tutte le ipotesi sono sottoposte alla prova di una verifica: poiché nel mirare, gesto che va distinto dalle astrazioni dell’utopia, le parole conservano il contatto con le cose, con la sostanza più profonda del mondo. Sembra delinearsi, così, la vasta ottica di una «cosmologia oculare», in cui la vita viene avvertita come un fenomeno visivo. La poesia intensifica questa sorta di messa a fuoco, di concentrazione fantastica. Si fa trasparenza. Scorgere la vita là dove essa è ancora sommersa: è questo il gesto fondamentale per tentare il cambiamento: la figura del proteus anguinus, creatura delle grotte carsiche, i cui occhi rudimentali vengono col tempo assorbiti dalla pelle, si fonde con quella mitica di Proteo e delle sue incessanti mutazioni. Quando la troppa luce diventa minaccia per la perdita della vista, i suoi occhi si calcificano e il mirare si ripiega in un destino di cecità. E tuttavia, l’animale non smette di muoversi, rendendo il suo brancolare una forma inesauribile di resistenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.