L’articolo analizza la multiforme attività teorica di Gordon Craig che, come Appia ed Artaud, è stato spesso considerato dalla critica come un rappresentante di quella ristretta schiera di utopisti “concreti” o di inattivi sognatori che hanno però sollevato il mondo, influenzando i migliori drammaturghi e uomini di teatro della modernità. In tutta la cultura teatrale del ‘900 sembra esserci qualcosa di Craig, ma è vero anche che in tutta l’opera di Craig precipitarono le più significative tendenze della cultura teatrale del ‘900. Se si analizza il maggiore dei suoi paradossi, quello della Übermarionette, va riconosciuto come quella enigmatica profezia fosse incastonata in un flusso teorico sul tema della marionetta che partiva da lontano (dalle settecentesche novelle di E.T.A. Hoffmann e dal Paradosso sull’attore di Diderot, ma soprattutto dal saggio del 1810 Über das Marionettentheater di Heinrich von Kleist) ma che raccoglieva anche un sentimento che si andava diffondendo nelle avanguardie del primo ‘900: da diverse sponde (Dadaismo, Futurismo, Bauhaus, Costruttivismo o Metafisica) si facevano avanti, infatti, inquietanti o divertenti figure inanimate, che, nel teatro, rubavano la scena ai Grandi Attori, agli imitatori della realtà. Quando Craig formulò la sua utopia della Supermarionetta nei fatti fissò un importante punto di svolta nella riflessione sull’attore e sullo spazio della scena. Craig, che ha creato attorno a sé un indicibile frastuono, fu, però, anche il regista del silenzio. Lo dimostrano tutte le sue scene avvolte in una nebbiolina sottile che sfuma e sospende la realtà, che toglie gravità alle cose, che traduce ogni corpo in un’anima. Craig, solitario poeta delle ombre, dell’invisibile e del silenzio, nemico acerrimo della parola, ha tuttavia usato parole e segni capaci di attrarre le più disparate sensibilità e di far scendere in campo le più diverse coscienze critiche.
La poesia scenica di Gordon Craig / Fiorillo, Clara. - In: OP. CIT.. - ISSN 0030-3305. - (2019), pp. 25-36.
La poesia scenica di Gordon Craig
Clara Fiorillo
2019
Abstract
L’articolo analizza la multiforme attività teorica di Gordon Craig che, come Appia ed Artaud, è stato spesso considerato dalla critica come un rappresentante di quella ristretta schiera di utopisti “concreti” o di inattivi sognatori che hanno però sollevato il mondo, influenzando i migliori drammaturghi e uomini di teatro della modernità. In tutta la cultura teatrale del ‘900 sembra esserci qualcosa di Craig, ma è vero anche che in tutta l’opera di Craig precipitarono le più significative tendenze della cultura teatrale del ‘900. Se si analizza il maggiore dei suoi paradossi, quello della Übermarionette, va riconosciuto come quella enigmatica profezia fosse incastonata in un flusso teorico sul tema della marionetta che partiva da lontano (dalle settecentesche novelle di E.T.A. Hoffmann e dal Paradosso sull’attore di Diderot, ma soprattutto dal saggio del 1810 Über das Marionettentheater di Heinrich von Kleist) ma che raccoglieva anche un sentimento che si andava diffondendo nelle avanguardie del primo ‘900: da diverse sponde (Dadaismo, Futurismo, Bauhaus, Costruttivismo o Metafisica) si facevano avanti, infatti, inquietanti o divertenti figure inanimate, che, nel teatro, rubavano la scena ai Grandi Attori, agli imitatori della realtà. Quando Craig formulò la sua utopia della Supermarionetta nei fatti fissò un importante punto di svolta nella riflessione sull’attore e sullo spazio della scena. Craig, che ha creato attorno a sé un indicibile frastuono, fu, però, anche il regista del silenzio. Lo dimostrano tutte le sue scene avvolte in una nebbiolina sottile che sfuma e sospende la realtà, che toglie gravità alle cose, che traduce ogni corpo in un’anima. Craig, solitario poeta delle ombre, dell’invisibile e del silenzio, nemico acerrimo della parola, ha tuttavia usato parole e segni capaci di attrarre le più disparate sensibilità e di far scendere in campo le più diverse coscienze critiche.File | Dimensione | Formato | |
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