La problematica del c.d. suicidio assistito sottende opzioni di fondo che vanno ben oltre il livello dei casi di stati patologici gravi e tendenzialmente irreversibili. Le tragiche vicende umane sottese a questi ultimi, tuttavia, incidono profondamente sulla sensibilità dell’opinione pubblica, ed è proprio da una di tali fattispecie concrete che, nell’ordinamento italiano, ha tratto origine il giudizio costituzionale conclusosi con la dichiarazione di parziale illegittimità dell’art. 580 c.p., nel cui orizzonte assiologico si stagliano le questioni filosofiche, religiose ed etiche, prima ancora che giuridiche, implicate dal rapporto tra diritto penale e malattia irreversibile, cui snodo è l’individuazione del punto di equilibrio tra il riconoscimento del diritto di autodeterminazione terapeutico/clinica, ed il temuto ‘slippery slope’ per le persone vulnerabili, ossia proprio di coloro che più degli altri necessiterebbero di empatico supporto e di un sostegno autentico, e non meramente formale o burocratico. In prospettiva comparatistica, poi, sul tema si è innestata con dirompente forza la sentenza del 2020 con la quale il Bundesverfassungsgericht, nel dichiarare illegittimo il § 217 StGB, ha affermato il ‘diritto ad una morte autodeterminata’ in una dimensione ben più ampia di quella fino ad allora teorizzata nell’ordinamento tedesco, poiché non subordinata a condizioni oggettive, sganciate dai desiderata del diretto interessato, e tantomeno ad una condizione patologica che affligga quest’ultimo. Tale ultimo pronuncia appare atta a valorizzare, in una prospettiva non più limitata all’ambito terapeutico/clinico, il diritto di autodeterminazione. D’altro lato, però, essa amplifica il rischio di abusi a strumentalizzazioni, facendo finanché paventare esiti di ‘rottamazione consensuale’ dei soggetti più deboli. L’autore, nell’ambito del ‘forum’ de la Legislazione penale sul tema, al quale con tale contributo partecipa, muove da tali pronunce, e dagli effetti ben diversi che essi esse implicano negli assetti ordinamentali in cui si inseriscono, per svolgere un’analisi in una prospettiva teleologicamente orientata ai princìpi di laicità e pluralismo, ma tesa ad operare un equilibrato contemperamento tra i molteplici interessi in gioco, che valorizzi il diritto di autodeterminazione – cui nucleo è la validità del consenso ad esso sotteso – senza però tralignare in esiti di ‘rottamazione consensuale’ delle persone vulnerabili.
A CHI APPARTIENE LA PROPRIA VITA? DIRITTO PENALE E AUTODETERMINAZIONE NEL MORIRE: DALLA GIURISPRUDENZA DELLA CONSULTA ALLA EPOCALE SVOLTA DEL BUNDESVERFASSUNGSGERICHT / Nappi, Antonio. - In: LA LEGISLAZIONE PENALE. - ISSN 2421-552X. - (2020), pp. 1-27.
A CHI APPARTIENE LA PROPRIA VITA? DIRITTO PENALE E AUTODETERMINAZIONE NEL MORIRE: DALLA GIURISPRUDENZA DELLA CONSULTA ALLA EPOCALE SVOLTA DEL BUNDESVERFASSUNGSGERICHT
Antonio Nappi
2020
Abstract
La problematica del c.d. suicidio assistito sottende opzioni di fondo che vanno ben oltre il livello dei casi di stati patologici gravi e tendenzialmente irreversibili. Le tragiche vicende umane sottese a questi ultimi, tuttavia, incidono profondamente sulla sensibilità dell’opinione pubblica, ed è proprio da una di tali fattispecie concrete che, nell’ordinamento italiano, ha tratto origine il giudizio costituzionale conclusosi con la dichiarazione di parziale illegittimità dell’art. 580 c.p., nel cui orizzonte assiologico si stagliano le questioni filosofiche, religiose ed etiche, prima ancora che giuridiche, implicate dal rapporto tra diritto penale e malattia irreversibile, cui snodo è l’individuazione del punto di equilibrio tra il riconoscimento del diritto di autodeterminazione terapeutico/clinica, ed il temuto ‘slippery slope’ per le persone vulnerabili, ossia proprio di coloro che più degli altri necessiterebbero di empatico supporto e di un sostegno autentico, e non meramente formale o burocratico. In prospettiva comparatistica, poi, sul tema si è innestata con dirompente forza la sentenza del 2020 con la quale il Bundesverfassungsgericht, nel dichiarare illegittimo il § 217 StGB, ha affermato il ‘diritto ad una morte autodeterminata’ in una dimensione ben più ampia di quella fino ad allora teorizzata nell’ordinamento tedesco, poiché non subordinata a condizioni oggettive, sganciate dai desiderata del diretto interessato, e tantomeno ad una condizione patologica che affligga quest’ultimo. Tale ultimo pronuncia appare atta a valorizzare, in una prospettiva non più limitata all’ambito terapeutico/clinico, il diritto di autodeterminazione. D’altro lato, però, essa amplifica il rischio di abusi a strumentalizzazioni, facendo finanché paventare esiti di ‘rottamazione consensuale’ dei soggetti più deboli. L’autore, nell’ambito del ‘forum’ de la Legislazione penale sul tema, al quale con tale contributo partecipa, muove da tali pronunce, e dagli effetti ben diversi che essi esse implicano negli assetti ordinamentali in cui si inseriscono, per svolgere un’analisi in una prospettiva teleologicamente orientata ai princìpi di laicità e pluralismo, ma tesa ad operare un equilibrato contemperamento tra i molteplici interessi in gioco, che valorizzi il diritto di autodeterminazione – cui nucleo è la validità del consenso ad esso sotteso – senza però tralignare in esiti di ‘rottamazione consensuale’ delle persone vulnerabili.| File | Dimensione | Formato | |
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