La compressione dei diritti individuali, derivante dalle misure di sicurezza detentive, rende necessario interrogarsi sulla legittimità di tali misure (anche) in rapporto alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Esse incidono sul diritto alla libertà e alla sicurezza, riconosciuto dall’art. 5 CEDU; vengono, poi, in rilievo l’art. 3 CEDU, contenente il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, e – a condizione che le misure di sicurezza siano qualificate come sanzioni penali − l’art. 7 CEDU, che sancisce il principio nulla poena sine lege. I referenti normativi, così individuati, vanno intesi nel significato ad essi attribuito dalla Corte di Strasburgo. Dalle sentenze in materia di Sicherungsverwahrung e da quelle concernenti le misure destinate agli infermi di mente socialmente pericolosi è possibile estrapolare alcune affermazioni di principio, valide anche al di là dei casi oggetto di giudizio. Ponendo in relazione i risultati di tale indagine con il sistema italiano, emergono profili di dubbia legittimità convenzionale della disciplina e delle prassi attuali, che vanno ad aggiungersi a quelli di controversa legittimità costituzionale. In una prospettiva de lege ferenda, ciò suggerisce l’introduzione di un ‘binario sanzionatorio unico’, diversificato nella fase esecutiva, anche in considerazione di eventuali esigenze terapeutiche.
Misure di sicurezza detentive e CEDU / Masarone, V.. - In: RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE. - ISSN 0557-1391. - 1(2022), pp. 369-381.
Misure di sicurezza detentive e CEDU
V. Masarone
2022
Abstract
La compressione dei diritti individuali, derivante dalle misure di sicurezza detentive, rende necessario interrogarsi sulla legittimità di tali misure (anche) in rapporto alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Esse incidono sul diritto alla libertà e alla sicurezza, riconosciuto dall’art. 5 CEDU; vengono, poi, in rilievo l’art. 3 CEDU, contenente il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, e – a condizione che le misure di sicurezza siano qualificate come sanzioni penali − l’art. 7 CEDU, che sancisce il principio nulla poena sine lege. I referenti normativi, così individuati, vanno intesi nel significato ad essi attribuito dalla Corte di Strasburgo. Dalle sentenze in materia di Sicherungsverwahrung e da quelle concernenti le misure destinate agli infermi di mente socialmente pericolosi è possibile estrapolare alcune affermazioni di principio, valide anche al di là dei casi oggetto di giudizio. Ponendo in relazione i risultati di tale indagine con il sistema italiano, emergono profili di dubbia legittimità convenzionale della disciplina e delle prassi attuali, che vanno ad aggiungersi a quelli di controversa legittimità costituzionale. In una prospettiva de lege ferenda, ciò suggerisce l’introduzione di un ‘binario sanzionatorio unico’, diversificato nella fase esecutiva, anche in considerazione di eventuali esigenze terapeutiche.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.