Nei corsi di studio a carattere economico aziendale, dove è sovente riscontrabile una sorta di ansia da troppa teoria, la faccenda è ancora più evidente. Le motivazioni di questo modo di intendere il ruolo dello studio durante gli anni della propria formazione sono rintracciabili da un lato in una consolidata tradizione che considera (a torto o a ragione) applicative le discipline manageriali, dall’altro trovano riscontro nelle recenti tendenze del Legislatore, che ha riformato negli ultimi anni le Politiche della formazione primaria, secondaria e universitaria, ispirandosi a logiche di education di matrice anglosassone, un po’ per l’esigenza di armonizzare le pratiche sociali tra i Paesi europei, un po’ in ragione della cornice neoliberista entro cui siamo portati a muoverci, spesso acriticamente, in molti campi del nostro agire e interagire. Si pensi, ad esempio, al tirocinio formativo (prima “Alternanza Scuola-Lavoro, oggi PCTO) presente lungo gran parte dei processi di scolarizzazione delle nuove generazioni, che si basa proprio sull’idea di accorciare quella distanza tra teoria e pratica. Inoltre, pensino gli studenti anche alle possibili offerte di carriera con cui entrano in contatto dopo il completamento del percorso di laurea, come, ad esempio, i tirocini aziendali e le diverse forme di apprendistato che alimentano l’idea (e il timore) di una difficoltà a far sintesi tra ciò che si è studiato e ciò che si è in grado di fare in azienda. In questo Capitolo non entreremo nel merito di questo interessante dibattito, assai articolato in tante sfaccettature, ma – indipendentemente dalle idee che si possono avere su questo argomento – si vuole innanzitutto rilevare come sia diffusa, tanto nei libri di testo quanto nei corsi d’Organizzazione Aziendale (e non solo), la consuetudine di affrontare il tema delle distanze tra teoria e pratica, attraverso diverse modalità: per citarne alcune, il continuo richiamo ad esempi e a “casi di scuola” tratti dalle realtà delle organizzazioni aziendali, oppure facendo ricorso alla presenza di testimoni (manager, professionisti, ecc…) che portano in aula i propri contributi d’esperienza agli studenti o, ancora e non da ultimo, l’adozione a fianco di un manuale, di uno o più testi spesso volutamente focalizzati su strumenti di management riferiti a specifiche realtà aziendali. Tutto ciò ha lo scopo di suscitare negli studenti una propria abilità a ragionare autonomamente e a costruire un pensiero critico e flessibile sul mondo delle organizzazioni aziendali, fino a sviluppare delle competenze in termini di diagnosi organizzativa (Sicca, 2020).
Studiare organizzazione aziendale come ambito di produzione culturale / Sicca, LUIGI MARIA; Ripetta, Silvio. - (2024), pp. 449-471.
Studiare organizzazione aziendale come ambito di produzione culturale
Luigi Maria Sicca
;Silvio Ripetta
2024
Abstract
Nei corsi di studio a carattere economico aziendale, dove è sovente riscontrabile una sorta di ansia da troppa teoria, la faccenda è ancora più evidente. Le motivazioni di questo modo di intendere il ruolo dello studio durante gli anni della propria formazione sono rintracciabili da un lato in una consolidata tradizione che considera (a torto o a ragione) applicative le discipline manageriali, dall’altro trovano riscontro nelle recenti tendenze del Legislatore, che ha riformato negli ultimi anni le Politiche della formazione primaria, secondaria e universitaria, ispirandosi a logiche di education di matrice anglosassone, un po’ per l’esigenza di armonizzare le pratiche sociali tra i Paesi europei, un po’ in ragione della cornice neoliberista entro cui siamo portati a muoverci, spesso acriticamente, in molti campi del nostro agire e interagire. Si pensi, ad esempio, al tirocinio formativo (prima “Alternanza Scuola-Lavoro, oggi PCTO) presente lungo gran parte dei processi di scolarizzazione delle nuove generazioni, che si basa proprio sull’idea di accorciare quella distanza tra teoria e pratica. Inoltre, pensino gli studenti anche alle possibili offerte di carriera con cui entrano in contatto dopo il completamento del percorso di laurea, come, ad esempio, i tirocini aziendali e le diverse forme di apprendistato che alimentano l’idea (e il timore) di una difficoltà a far sintesi tra ciò che si è studiato e ciò che si è in grado di fare in azienda. In questo Capitolo non entreremo nel merito di questo interessante dibattito, assai articolato in tante sfaccettature, ma – indipendentemente dalle idee che si possono avere su questo argomento – si vuole innanzitutto rilevare come sia diffusa, tanto nei libri di testo quanto nei corsi d’Organizzazione Aziendale (e non solo), la consuetudine di affrontare il tema delle distanze tra teoria e pratica, attraverso diverse modalità: per citarne alcune, il continuo richiamo ad esempi e a “casi di scuola” tratti dalle realtà delle organizzazioni aziendali, oppure facendo ricorso alla presenza di testimoni (manager, professionisti, ecc…) che portano in aula i propri contributi d’esperienza agli studenti o, ancora e non da ultimo, l’adozione a fianco di un manuale, di uno o più testi spesso volutamente focalizzati su strumenti di management riferiti a specifiche realtà aziendali. Tutto ciò ha lo scopo di suscitare negli studenti una propria abilità a ragionare autonomamente e a costruire un pensiero critico e flessibile sul mondo delle organizzazioni aziendali, fino a sviluppare delle competenze in termini di diagnosi organizzativa (Sicca, 2020).File | Dimensione | Formato | |
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