Diviso in due puntate, il saggio ricostruisce la funzione liturgica e il contenuto iconografico di tre pale dipinte di ‘primitivi’, un tempo allestite in punti strategici dell’area presbiteriale di San Lorenzo Maggiore a Napoli, la più importante fondazione conventuale francescana del Regno angioino. Si tratta del ‘San Ludovico in gloria’ di Simone Martini e del polittico di Colantonio raffigurante ‘San Francesco che dà la Regola ai tre Ordini’, nel registro superiore, e ‘San Girolamo nello studio che toglie la spina al leone’ in quello inferiore, oggi esposti nel Museo Nazionale di Capodimonte, e del ‘Sant’Antonio in gloria’, dipinto da Leonardo da Besozzo, ma con trasformazioni successive, ubicato nell’omonimo cappellone costruito nel Seicento alla testata del transetto sinistro. Nella prima parte del saggio è affrontata l’analisi della celebre ancona di Simone Martini, tuttora al centro di accese dispute in merito all’ubicazione originaria, alla datazione, alla committenza, al significato. Grazie a un’attenta rilettura delle fonti storico-erudite e delle carte d’archivio, corroborate dalle peculiarità materiali dell’ancona, l’autore ne propone la collocazione sull’altare maggiore della chiesa, luogo ricco di ricordi del giovane principe angioino, come indirettamente trapela anche dal suo testamento. Questo allestimento fu tenuto in vita dai frati sino al 1528, allorché, nella mutata congiuntura artistica e storico-religiosa, il ‘San Ludovico’ venne addossato al pilastro divisorio della “Cappella della Regina”, poi “Cappellone di Sant’Antonio”, per far posto alla monumentale pala marmorea di Giovanni da Nola. L’ingaggio del pittore senese nella tarda primavera del 1317, dimostrabile anche con vincolanti argomenti storico-artistici, e l’irrituale decisione d’accordare il rango di pala regina della chiesa a un’ancona agiografica, dedicata per giunta a un santo “novello”, vengono ricondotti dall’autore alla primaria responsabilità dei frati, certamente incoraggiati e coadiuvati nel loro proposito dalla corte partenopea. Coerente con questa destinazione si è rivelato anche l’impianto iconografico del dipinto, ispirato figurativamente al contenuto della bolla di canonizzazione e di alcune lettere inviate nell’occasione dal pontefice Giovanni XXII ai familiari del Santo. L’attenta lettura degli atti del processo di canonizzazione ha consentito all’autore di chiarire i punti oscuri o controversi delle storie della predella, correlata visivamente e concettualmente alla glorificazione del Santo nel campo principale, dove rifulgono le doti inventive di Simone Martini nel dar forma ad astrusi concetti dottrinari. Alla predominante interpretazione “politica” del dipinto, considerato un manifesto voluto dal re Roberto d’Angiò per accreditare la legittimità della sua successione al trono, l’autore ne contrappone una più convenzionale, ma anche più conforme ai tempi e alla sua destinazione, in chiave devozionale, rivolta in primo luogo alla meditazione dei frati, che potevano rispecchiarsi nelle virtù incarnate dall’Angioino.
Spazio ecclesiale e pale di 'primitivi' in San Lorenzo Maggiore a Napoli: dal 'San Ludovico' di Simone martini al 'San Girolamo' di Colantonio, I / Aceto, Francesco. - In: PROSPETTIVA. - ISSN 0394-0802. - STAMPA. - 137(2010), pp. 2-50.
Spazio ecclesiale e pale di 'primitivi' in San Lorenzo Maggiore a Napoli: dal 'San Ludovico' di Simone martini al 'San Girolamo' di Colantonio, I
ACETO, FRANCESCO
2010
Abstract
Diviso in due puntate, il saggio ricostruisce la funzione liturgica e il contenuto iconografico di tre pale dipinte di ‘primitivi’, un tempo allestite in punti strategici dell’area presbiteriale di San Lorenzo Maggiore a Napoli, la più importante fondazione conventuale francescana del Regno angioino. Si tratta del ‘San Ludovico in gloria’ di Simone Martini e del polittico di Colantonio raffigurante ‘San Francesco che dà la Regola ai tre Ordini’, nel registro superiore, e ‘San Girolamo nello studio che toglie la spina al leone’ in quello inferiore, oggi esposti nel Museo Nazionale di Capodimonte, e del ‘Sant’Antonio in gloria’, dipinto da Leonardo da Besozzo, ma con trasformazioni successive, ubicato nell’omonimo cappellone costruito nel Seicento alla testata del transetto sinistro. Nella prima parte del saggio è affrontata l’analisi della celebre ancona di Simone Martini, tuttora al centro di accese dispute in merito all’ubicazione originaria, alla datazione, alla committenza, al significato. Grazie a un’attenta rilettura delle fonti storico-erudite e delle carte d’archivio, corroborate dalle peculiarità materiali dell’ancona, l’autore ne propone la collocazione sull’altare maggiore della chiesa, luogo ricco di ricordi del giovane principe angioino, come indirettamente trapela anche dal suo testamento. Questo allestimento fu tenuto in vita dai frati sino al 1528, allorché, nella mutata congiuntura artistica e storico-religiosa, il ‘San Ludovico’ venne addossato al pilastro divisorio della “Cappella della Regina”, poi “Cappellone di Sant’Antonio”, per far posto alla monumentale pala marmorea di Giovanni da Nola. L’ingaggio del pittore senese nella tarda primavera del 1317, dimostrabile anche con vincolanti argomenti storico-artistici, e l’irrituale decisione d’accordare il rango di pala regina della chiesa a un’ancona agiografica, dedicata per giunta a un santo “novello”, vengono ricondotti dall’autore alla primaria responsabilità dei frati, certamente incoraggiati e coadiuvati nel loro proposito dalla corte partenopea. Coerente con questa destinazione si è rivelato anche l’impianto iconografico del dipinto, ispirato figurativamente al contenuto della bolla di canonizzazione e di alcune lettere inviate nell’occasione dal pontefice Giovanni XXII ai familiari del Santo. L’attenta lettura degli atti del processo di canonizzazione ha consentito all’autore di chiarire i punti oscuri o controversi delle storie della predella, correlata visivamente e concettualmente alla glorificazione del Santo nel campo principale, dove rifulgono le doti inventive di Simone Martini nel dar forma ad astrusi concetti dottrinari. Alla predominante interpretazione “politica” del dipinto, considerato un manifesto voluto dal re Roberto d’Angiò per accreditare la legittimità della sua successione al trono, l’autore ne contrappone una più convenzionale, ma anche più conforme ai tempi e alla sua destinazione, in chiave devozionale, rivolta in primo luogo alla meditazione dei frati, che potevano rispecchiarsi nelle virtù incarnate dall’Angioino.File | Dimensione | Formato | |
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