L’art. 421 bis c.p.p., introdotto dall’art. 21 della legge 16 dicembre 1999 n. 479, che disciplina il potere del giudice dell’udienza preliminare di ordinare al pubblico ministero l’integrazione delle indagini, apparentemente semplice nel suo contenuto, anche ad una prima lettura pone una serie di problematiche che possono essere così sintetizzate: a) se possano ritenersi incomplete le indagini anche nel caso in cui gli elementi di prova acquisiti siano inutilizzabili; b) se il giudice dell’udienza preliminare possa ordinare la ripetizione di un atto inutilizzabile compiuto nella fase delle indagini preliminari; c) se possa definirsi abnorme il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare, ritenuta l’incompletezza delle indagini, ordini la ripetizione di un atto inutilizzabile compiuto in tale fase. La soluzione delle prime due questioni è certamente legata al principio di completezza delle indagini preliminari, che, secondo la Corte Costituzionale (sent. 41/93) opera sia per l’archiviazione che per l’udienza preliminare. Tuttavia, l’unica possibile incompletezza delle indagini preliminari che legittimi il giudice ad emettere l'ordinanza di integrazione é quella derivante da una carente o contraddittoria ricostruzione dei fatti, addebitabile al pubblico ministero, vuoi perché questi ha omesso di approfondire temi di indagine emergenti dagli atti, vuoi perché l’investigazione risulta lacunosa su alcuni punti, vuoi, infine, perché il pubblico ministero non ha verificato una delle ipotesi ricostruttive del fatto così come emergente dagli elementi probatori già acquisiti. Allora, per sciogliere il dubbio se e quando un atto inutilizzabile possa essere rinnovato è opportuno distinguere fra inutilizzabilità dell’atto probatorio derivante dalla mancata osservanza di un divieto di ammissione ed inutilizzabilità derivante, invece, dalla sua illegittima acquisizione. Nel primo caso è ovvio che l’invalidità non possa mai essere sanata attraverso la rinnovazione, la quale non farebbe altro che reiterare la patologia: allorché la prova risulta vietata nell’ammissione, ossia laddove il divieto è relativo all’an della prova, questo opera a monte della stessa acquisizione. A diversa conclusione deve giungersi nel caso, invece, l’atto probatorio sia in astratto ammissibile, ma sia stato acquisito in violazione delle disposizioni che ne regolano le modalità di formazione. Allora, atteso che il giudice dell’udienza preliminare, laddove impieghi l’ordinanza di integrazione investigativa per provvedere alla rinnovazione di atti di indagine inutilizzabili nel quomodo, tradisce il senso della disposizione prevista dall’art. 421 bis c.p.p. perché, in tal caso, il surplus esplorativo si dirigerà verso nuove aree di indagine del tutto indipendenti dalle ipotesi ricostruttive prospettate dalle parti, e, pertanto, tale via gli é preclusa bisogna concludere che la prova dichiarativa - anche se decisiva - vada assolutamente dispersa e non possa essere recuperata in alcun modo? Considerato che, al fine di operare detto recupero, il giudice dell’udienza preliminare non può esercitare neanche il potere attribuitogli, ex art. 422 c.p.p., in quanto egli, in funzione di garante della presunzione di innocenza, può esercitare il potere di integrazione probatoria solamente allo scopo di assumere una prova favorevole all’imputato onde pervenire ad una sentenza di non luogo a procedere, forse la via di uscita è rappresentata da un ulteriore intervento ad integrandum esperibile in sede dibattimentale. In questo caso l’intervento ad integrandum del giudice del dibattimento, che disponga d’ufficio l’esame delle persone imputate in procedimento connesso o per reato collegato al termine dell’istruzione appalesandosene la assoluta necessità, permette di integrare un quadro probatorio incompleto e di pervenire alla decisione in ordine alla responsabilità dell’imputato. Circa l’esatto inquadramento del vizio dell’ordinanza con la quale il giudice dell’udienza preliminare, ritenuta l’incompletezza delle indagini, ordini al pubblico ministero la rinnovazione di un atto inutilizzabile da quest’ultimo compiuto nella «fase procedimentale finalizzata alla determinazione circa l’esercizio dell’azione penale», va osservato che la soluzione implica, necessariamente, il richiamo ad altre categorie di invalidità e, in particolare, proprio a quella che, nel caso di specie, le prassi applicative escludono possa ricorrere: la abnormità. Infatti, in tal caso, il giudice oltrepassa i confini normativi ed esercita un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale. In altri termini, supera il perimetro dei poteri attribuitigli e tale indebito sconfinamento fa sì che compia un atto in “difetto di potere” che, perciò, non può sfuggire alla sanzione della abnormità processuale, sia sotto il profilo strutturale, come atto talmente singolare da porsi al di fuori del sistema processuale, sia sotto quello funzionale, dal momento che esso potrebbe determinare una regressione del processo alla fase di indagine. Tuttavia, sia l’inquadramento del vizio dell’ordinanza di integrazione investigativa emessa dal giudice dell’udienza preliminare nella categoria dell’abnormità, sia le prassi applicative - che qualificano il vizio di tale ordinanza con la illegittimità - non consentono di evitare la dispersione del materiale “probatorio” raccolto nella fase procedimentale. Tale impasse appare superabile attraverso l’intervento integrativo del giudice del dibattimento, nel procedimento di formazione della prova, ex art. 507 del codice di rito penale, che rende possibile e consente di recuperare degli elementi probatori che, sebbene decisivi, andrebbero, altrimenti, dispersi.

Sui limiti dei poteri integrativi del giudice dell'udienza preliminare / Tabasco, Giuseppe. - In: LA GIUSTIZIA PENALE. - ISSN 1971-4998. - 2(2008), pp. 117-128.

Sui limiti dei poteri integrativi del giudice dell'udienza preliminare

TABASCO, Giuseppe
2008

Abstract

L’art. 421 bis c.p.p., introdotto dall’art. 21 della legge 16 dicembre 1999 n. 479, che disciplina il potere del giudice dell’udienza preliminare di ordinare al pubblico ministero l’integrazione delle indagini, apparentemente semplice nel suo contenuto, anche ad una prima lettura pone una serie di problematiche che possono essere così sintetizzate: a) se possano ritenersi incomplete le indagini anche nel caso in cui gli elementi di prova acquisiti siano inutilizzabili; b) se il giudice dell’udienza preliminare possa ordinare la ripetizione di un atto inutilizzabile compiuto nella fase delle indagini preliminari; c) se possa definirsi abnorme il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare, ritenuta l’incompletezza delle indagini, ordini la ripetizione di un atto inutilizzabile compiuto in tale fase. La soluzione delle prime due questioni è certamente legata al principio di completezza delle indagini preliminari, che, secondo la Corte Costituzionale (sent. 41/93) opera sia per l’archiviazione che per l’udienza preliminare. Tuttavia, l’unica possibile incompletezza delle indagini preliminari che legittimi il giudice ad emettere l'ordinanza di integrazione é quella derivante da una carente o contraddittoria ricostruzione dei fatti, addebitabile al pubblico ministero, vuoi perché questi ha omesso di approfondire temi di indagine emergenti dagli atti, vuoi perché l’investigazione risulta lacunosa su alcuni punti, vuoi, infine, perché il pubblico ministero non ha verificato una delle ipotesi ricostruttive del fatto così come emergente dagli elementi probatori già acquisiti. Allora, per sciogliere il dubbio se e quando un atto inutilizzabile possa essere rinnovato è opportuno distinguere fra inutilizzabilità dell’atto probatorio derivante dalla mancata osservanza di un divieto di ammissione ed inutilizzabilità derivante, invece, dalla sua illegittima acquisizione. Nel primo caso è ovvio che l’invalidità non possa mai essere sanata attraverso la rinnovazione, la quale non farebbe altro che reiterare la patologia: allorché la prova risulta vietata nell’ammissione, ossia laddove il divieto è relativo all’an della prova, questo opera a monte della stessa acquisizione. A diversa conclusione deve giungersi nel caso, invece, l’atto probatorio sia in astratto ammissibile, ma sia stato acquisito in violazione delle disposizioni che ne regolano le modalità di formazione. Allora, atteso che il giudice dell’udienza preliminare, laddove impieghi l’ordinanza di integrazione investigativa per provvedere alla rinnovazione di atti di indagine inutilizzabili nel quomodo, tradisce il senso della disposizione prevista dall’art. 421 bis c.p.p. perché, in tal caso, il surplus esplorativo si dirigerà verso nuove aree di indagine del tutto indipendenti dalle ipotesi ricostruttive prospettate dalle parti, e, pertanto, tale via gli é preclusa bisogna concludere che la prova dichiarativa - anche se decisiva - vada assolutamente dispersa e non possa essere recuperata in alcun modo? Considerato che, al fine di operare detto recupero, il giudice dell’udienza preliminare non può esercitare neanche il potere attribuitogli, ex art. 422 c.p.p., in quanto egli, in funzione di garante della presunzione di innocenza, può esercitare il potere di integrazione probatoria solamente allo scopo di assumere una prova favorevole all’imputato onde pervenire ad una sentenza di non luogo a procedere, forse la via di uscita è rappresentata da un ulteriore intervento ad integrandum esperibile in sede dibattimentale. In questo caso l’intervento ad integrandum del giudice del dibattimento, che disponga d’ufficio l’esame delle persone imputate in procedimento connesso o per reato collegato al termine dell’istruzione appalesandosene la assoluta necessità, permette di integrare un quadro probatorio incompleto e di pervenire alla decisione in ordine alla responsabilità dell’imputato. Circa l’esatto inquadramento del vizio dell’ordinanza con la quale il giudice dell’udienza preliminare, ritenuta l’incompletezza delle indagini, ordini al pubblico ministero la rinnovazione di un atto inutilizzabile da quest’ultimo compiuto nella «fase procedimentale finalizzata alla determinazione circa l’esercizio dell’azione penale», va osservato che la soluzione implica, necessariamente, il richiamo ad altre categorie di invalidità e, in particolare, proprio a quella che, nel caso di specie, le prassi applicative escludono possa ricorrere: la abnormità. Infatti, in tal caso, il giudice oltrepassa i confini normativi ed esercita un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale. In altri termini, supera il perimetro dei poteri attribuitigli e tale indebito sconfinamento fa sì che compia un atto in “difetto di potere” che, perciò, non può sfuggire alla sanzione della abnormità processuale, sia sotto il profilo strutturale, come atto talmente singolare da porsi al di fuori del sistema processuale, sia sotto quello funzionale, dal momento che esso potrebbe determinare una regressione del processo alla fase di indagine. Tuttavia, sia l’inquadramento del vizio dell’ordinanza di integrazione investigativa emessa dal giudice dell’udienza preliminare nella categoria dell’abnormità, sia le prassi applicative - che qualificano il vizio di tale ordinanza con la illegittimità - non consentono di evitare la dispersione del materiale “probatorio” raccolto nella fase procedimentale. Tale impasse appare superabile attraverso l’intervento integrativo del giudice del dibattimento, nel procedimento di formazione della prova, ex art. 507 del codice di rito penale, che rende possibile e consente di recuperare degli elementi probatori che, sebbene decisivi, andrebbero, altrimenti, dispersi.
2008
Sui limiti dei poteri integrativi del giudice dell'udienza preliminare / Tabasco, Giuseppe. - In: LA GIUSTIZIA PENALE. - ISSN 1971-4998. - 2(2008), pp. 117-128.
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