Agli inizi degli anni Cinquanta Paolo Soleri, dopo un primo soggiorno negli Stati Uniti, rientrò in Italia. Dopo aver trasformato un pulmino nella sua casa-studio itinerante, iniziò un viaggio lungo la penisola che lo porterà anche sulla costiera amalfitana. Si ferma a Vietri sul Mare per apprendere l’antica arte della ceramica. Qui incrocia la famiglia di ceramisti Solimene che lo incarica di realizzare la loro nuova fabbrica. Essa resta una delle realizzazioni architettoniche che riesce, chiaramente, a trasferire in un opificio l’intima consapevolezza del processo ceramico e la sua ancestrale poetica. La struttura compositiva della fabbrica è caratterizzata da verticalità e circolarità, aspetti che nascono dall’emulazione del processo al tornio con cui si modella, plasmandolo dal fondo verso la cima, il vasellame. Un ulteriore suggerimento verso il dimensionamento prevalentemente verticale è dato dai tradizionali forni di cottura a legna, che si sviluppavano fortemente in altezza. La fabbrica si articola attraverso una serie di volumi cavi, svasati verso l’alto in modo da convogliare verso l’interno il massimo della luce, lasciando alla superficie di facciata la funzione di tessitura grafica.L’elemento caratterizzante del rivestimento è il componente ceramico, costituito da dischi regolari disposti in file. Fondi di vasi in terracotta, le antiche “mummarelle” pervenuteci dall’architettura romana, lasciate grezze o smaltate verde bottiglia, che –annegate nel calcestruzzo- rivestono e decorano la facciata. Questa trama rappresenta il legame più evidente con il luogo, ma anche un modo molto semplice, ancora oggi efficace dopo cinquant’anni dalla sua messa in opera, per ridurre i problemi legati alla coibentazione ed alla manutenzione in facciata. L’uso adeguato di un materiale diviene, in questa parte dell’edificio, un legame con la storia, con la cultura materiale ed antropologica del luogo in un senso di continuità con una produzione antica che affonda le sue radici lontano, nel mondo arabo, nella diffusione in tutto il Mediterraneo di una tecnica, che permette, a partire dalle cupole maiolicate policrome di cui è punteggiata la costiera di produrre un linguaggio completamente moderno.A ben vedere questo senso di continuità è proprio l’elemento che in maniera più evidente lega un luogo, il Mediterraneo, alla sua cultura materiale attraverso un tipico processo di lavorazione identitario, come quello ceramico. Ricostruire gli intrecci che hanno portato alla diffusione della produzione ceramica nel bacino del Mediterraneo, significa, infatti, inevitabilmente parlare di popoli, di rotte, di culture, in una sorta di racconto d’avventura che, superando gli ambiti specifici, contribuisce a dare un senso più generale e concreto all’idea stessa di Mediterraneo.Per primi cretesi e micenei, successivamente macedoni, romani, bizantini e poi subito dopo l’Islam. Attraverso la produzione ceramica si concretizza l’idea stessa del Mediterraneo espressa da Braudel come “cicatrice” tra la cultura occidentale e quella orientale. Un mondo concreto che si trasforma in un racconto fiabesco con l’esplosione del colore. La ceramica, nelle sue varie applicazioni locali, concretizza l’idea di Gillo Dorfles dell’esistenza di una “peculiarità creativa“, che accomuna le genti dell’Africa Settentrionale, delle penisole greca, italiana, iberica, con le sponde dell’Asia Minore e le grandi isole di Sardegna, Sicilia, Creta e Malta e che unisce nel tempo le generazioni.
Mediterraneo: artigianato e produzione nell’uso della ceramica in architettura / Mediterranean: ceramics in architecture between crafts and production / Morone, Alfonso. - In: AREA. - ISSN 0394-0055. - n.°136 anno XXV 2014 settembre(2014), pp. II-V.
Mediterraneo: artigianato e produzione nell’uso della ceramica in architettura / Mediterranean: ceramics in architecture between crafts and production
MORONE, ALFONSO
2014
Abstract
Agli inizi degli anni Cinquanta Paolo Soleri, dopo un primo soggiorno negli Stati Uniti, rientrò in Italia. Dopo aver trasformato un pulmino nella sua casa-studio itinerante, iniziò un viaggio lungo la penisola che lo porterà anche sulla costiera amalfitana. Si ferma a Vietri sul Mare per apprendere l’antica arte della ceramica. Qui incrocia la famiglia di ceramisti Solimene che lo incarica di realizzare la loro nuova fabbrica. Essa resta una delle realizzazioni architettoniche che riesce, chiaramente, a trasferire in un opificio l’intima consapevolezza del processo ceramico e la sua ancestrale poetica. La struttura compositiva della fabbrica è caratterizzata da verticalità e circolarità, aspetti che nascono dall’emulazione del processo al tornio con cui si modella, plasmandolo dal fondo verso la cima, il vasellame. Un ulteriore suggerimento verso il dimensionamento prevalentemente verticale è dato dai tradizionali forni di cottura a legna, che si sviluppavano fortemente in altezza. La fabbrica si articola attraverso una serie di volumi cavi, svasati verso l’alto in modo da convogliare verso l’interno il massimo della luce, lasciando alla superficie di facciata la funzione di tessitura grafica.L’elemento caratterizzante del rivestimento è il componente ceramico, costituito da dischi regolari disposti in file. Fondi di vasi in terracotta, le antiche “mummarelle” pervenuteci dall’architettura romana, lasciate grezze o smaltate verde bottiglia, che –annegate nel calcestruzzo- rivestono e decorano la facciata. Questa trama rappresenta il legame più evidente con il luogo, ma anche un modo molto semplice, ancora oggi efficace dopo cinquant’anni dalla sua messa in opera, per ridurre i problemi legati alla coibentazione ed alla manutenzione in facciata. L’uso adeguato di un materiale diviene, in questa parte dell’edificio, un legame con la storia, con la cultura materiale ed antropologica del luogo in un senso di continuità con una produzione antica che affonda le sue radici lontano, nel mondo arabo, nella diffusione in tutto il Mediterraneo di una tecnica, che permette, a partire dalle cupole maiolicate policrome di cui è punteggiata la costiera di produrre un linguaggio completamente moderno.A ben vedere questo senso di continuità è proprio l’elemento che in maniera più evidente lega un luogo, il Mediterraneo, alla sua cultura materiale attraverso un tipico processo di lavorazione identitario, come quello ceramico. Ricostruire gli intrecci che hanno portato alla diffusione della produzione ceramica nel bacino del Mediterraneo, significa, infatti, inevitabilmente parlare di popoli, di rotte, di culture, in una sorta di racconto d’avventura che, superando gli ambiti specifici, contribuisce a dare un senso più generale e concreto all’idea stessa di Mediterraneo.Per primi cretesi e micenei, successivamente macedoni, romani, bizantini e poi subito dopo l’Islam. Attraverso la produzione ceramica si concretizza l’idea stessa del Mediterraneo espressa da Braudel come “cicatrice” tra la cultura occidentale e quella orientale. Un mondo concreto che si trasforma in un racconto fiabesco con l’esplosione del colore. La ceramica, nelle sue varie applicazioni locali, concretizza l’idea di Gillo Dorfles dell’esistenza di una “peculiarità creativa“, che accomuna le genti dell’Africa Settentrionale, delle penisole greca, italiana, iberica, con le sponde dell’Asia Minore e le grandi isole di Sardegna, Sicilia, Creta e Malta e che unisce nel tempo le generazioni.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.