All’interno del paradigma culturale occidentale si sostiene comunemente che il linguaggio architettonico legato alla tradizione non sia di per sé portatore di alcun valore, che sia neutrale. E che, quando si realizza un edificio utilizzando un linguaggio diverso, il risultato, malgrado svolga tutte le funzioni richieste (benessere termo-igrometrico, visivo e tattile, comfort psicosomatico, accoglimento di precise attività, stimolo della vita sociale, eccetera) sarebbe, in realtà, un formalismo, una finzione. Cioè, per usare le parole di Stefano Boeri, una siffatta architettura lavorerebbe come una metafora rispetto al mondo non antropizzato - l'architettura "come se fosse" una forma di vita - mentre un’architettura "architettonicamente" coerente lavorerebbe per analogia, cioè in "autonomia" rispetto a ogni altro linguaggio. Se questo fosse vero, se, in altre parole, la traiettoria comunemente denominata razionale costituisse l’unica traiettoria intrinsecamente architettonica, quella contenente la sola "verità" disciplinare, allora bisognerebbe avere il coraggio di concludere che tutta la ricerca svolta negli ultimi trent’anni da Eisenman e dagli altri post-decostruttivisti sarebbe quantomeno superflua. Starebbero tutti fingendo che l’architettura sia ciò che non è, come si fa quando, romanticamente, si adotta la metafora. Ma siamo proprio sicuri che il paragone tra architettura e letteratura sia così lineare, immediato, facile? E che non sia proprio questo paragone, fatto in questa maniera, a cadere in errore, facendo una metafora – l’architettura "come se fosse" letteratura – che non ha ragion d’essere?
Metafora e finzione in architettura - Una introduzione a Peter Eisenman / Coppola, Mario. - In: ANFIONE E ZETO. - ISSN 0394-8021. - (2024).
Metafora e finzione in architettura - Una introduzione a Peter Eisenman
mario coppola
2024
Abstract
All’interno del paradigma culturale occidentale si sostiene comunemente che il linguaggio architettonico legato alla tradizione non sia di per sé portatore di alcun valore, che sia neutrale. E che, quando si realizza un edificio utilizzando un linguaggio diverso, il risultato, malgrado svolga tutte le funzioni richieste (benessere termo-igrometrico, visivo e tattile, comfort psicosomatico, accoglimento di precise attività, stimolo della vita sociale, eccetera) sarebbe, in realtà, un formalismo, una finzione. Cioè, per usare le parole di Stefano Boeri, una siffatta architettura lavorerebbe come una metafora rispetto al mondo non antropizzato - l'architettura "come se fosse" una forma di vita - mentre un’architettura "architettonicamente" coerente lavorerebbe per analogia, cioè in "autonomia" rispetto a ogni altro linguaggio. Se questo fosse vero, se, in altre parole, la traiettoria comunemente denominata razionale costituisse l’unica traiettoria intrinsecamente architettonica, quella contenente la sola "verità" disciplinare, allora bisognerebbe avere il coraggio di concludere che tutta la ricerca svolta negli ultimi trent’anni da Eisenman e dagli altri post-decostruttivisti sarebbe quantomeno superflua. Starebbero tutti fingendo che l’architettura sia ciò che non è, come si fa quando, romanticamente, si adotta la metafora. Ma siamo proprio sicuri che il paragone tra architettura e letteratura sia così lineare, immediato, facile? E che non sia proprio questo paragone, fatto in questa maniera, a cadere in errore, facendo una metafora – l’architettura "come se fosse" letteratura – che non ha ragion d’essere?File | Dimensione | Formato | |
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